11 Dic 2014

Io faccio così #51 – Le Banche del Tempo: ore al posto di denaro

Per superare l'economia monetaria, le Banche del Tempo consentono alle persone di scambiarsi ore invece di denaro. Così migliorano anche le relazioni umane! Ne abbiamo parlato con Maria Luisa Petrucci, presidente dell'Associazione  Nazionale delle Banche del Tempo e del coordinamento di Roma.

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In fondo è quanto di più semplice possa esserci: uno scambio di favori. Io dedico un’ora del mio tempo ad aiutarti e tu in cambio fai lo stesso con me. Senza assegni, senza bolle, senza fatture. Ma provate a immaginare una rete strutturata e ben ramificata che agevoli e organizzi questi scambi, che sia capace di gestire le ore di lavoro come se fossero dei soldi, accreditandole e addebitandole di volta in volta a chi le mette a disposizione e a chi ne usufruisce. Ebbene, questa rete esiste già ed è quella delle Banche del Tempo, simili a veri e propri istituti di credito dotati di sportelli, conti e correntisti, ma con questa piccola differenza: non amministrano euro, bensì ore lavoro.

Un iscritto al circuito offre un servizio della durata di un’ora a un altro iscritto, per esempio riparandogli la macchina o tagliandogli i capelli. Alla fine della prestazione, il primo avrà maturato un credito di un’ora, mentre il secondo un debito di pari importo. Crediti e debiti sono validi presso qualsiasi banca, durano nel tempo e possono essere spesi ovunque, proprio come i soldi di un conto corrente.

L’idea nasce quasi vent’anni fa, concepita da un sindaco e da alcune amministratrici di un piccolo comune della Romagna che avevano difficoltà a conciliare la propria attività con la cura della famiglia. Il funzionamento è molto semplice: se oggi ho poco tempo e tu mi metti a disposizione un’ora della tua giornata per badare ai miei bambini, domani io ricambierò dedicandoti un’ora per cucinare o per stirare la biancheria. «L’esperimento piacque moltissimo – ricorda Maria Luisa Petrucci –, tanto che l’anno successivo cominciarono a fiorire Banche del Tempo anche in altre città italiane. Una delle prime fu quella di Roma». Maria Luisa è presidente dell’Associazione  Nazionale delle Banche del Tempo e del coordinamento di Roma. «Naturalmente dalla metà degli anni novanta a oggi sono cambiate tante cose e si sono evoluti anche i due aspetti che hanno caratterizzato la nascita della prima banca, ovvero la prevalenza di un’utenza femminile e l’ispirazione alle altre esperienze europee».

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Riguardo al primo dato infatti, la forbice si è notevolmente ristretta: «Inizialmente quasi il 90% dei fruitori del sevizio era composto da donne. Oggi questa percentuale è calata fino al 65% circa, con un 35% di uomini». Non solo il sesso, ma anche l’età sta cambiando, abbassandosi notevolmente: «La maggior parte ha un’età fra i 55 e i 70 anni, ma sono sempre di più – indicativamente il 20% degli utenti totali – i ragazzi che si stanno avvicinando a questo tipo di scambio. A Roma abbiamo aperto due filiali all’interno dell’Università la Sapienza e proprio in questo periodo ne stiamo aprendo un’altra in un istituto comprensivo del Comune di Acilia».

È interessante rilevare anche come l’esperienza italiana si stia discostando da quelle del resto d’Europa. «All’estero – spiega Maria Luisa – le Banche del Tempo sono nate come risposta a crisi sociali o economiche: le persone si sono messe insieme e hanno supplito alla mancanza di servizi tramite questo scambio. In Italia invece, sono nate come spazio di socialità, come espressione dei principi dell’economia solidale. Coerentemente con tali principi, si è affermata un’altra regola tipica delle banche italiane: le ore messe a disposizione sono tutte uguali, non hanno un valore intrinseco legato al mercato o alle professionalità di chi le offre. Tutte le persone hanno pari dignità, tutti posso dare e ricevere, conta chi sei, non cosa fai».

Per capire meglio il loro funzionamento, ci facciamo spiegare da Maria Luisa come sono organizzate le Banche del Tempo al loro interno. «Alla base di tutto c’è il lavoro delle associazioni. Alcune hanno già altri progetti avviati, altre vengono create apposta per gestire una filiale. In ogni caso, la realtà che vuole intraprendere l’iter di apertura si rivolge a noi del coordinamento nazionale. È fondamentale il percorso di formazione dei volontari che gestiranno gli sportelli, che sono i luoghi in cui nascono tutte le relazioni umane e sociali che stanno alla base dello scambio. Affinché siano il più efficienti possibile, organizziamo periodicamente corsi di aggiornamento e seminari». Il lavoro offerto da coloro che gestiscono gli sportelli è volontario e non viene pagato in denaro, però ha comunque un suo riconoscimento: «Chi presta servizio in filiale accumula ore lavoro che gli vengono accreditate e che può riscuotere come qualunque altro correntista», chiarisce Maria Luisa. L’utente deve sempre rivolgersi allo sportello, recandovisi di persona o anche solo telefonando. Un software apposito permette di far combaciare chi richiede e chi offre servizi. Se i due non si conoscono, il primo incontro avviene in banca visà-vis, perché deve scattare l’empatia, la fiducia reciproca. Dopo essersi parlati e messi d’accordo, avviene lo scambio.

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Un altro aspetto su cui la presidente si sofferma è quello riguardante i rapporti con le istituzioni. «La collaborazione con le amministrazioni è molto importante per noi, ma ci tengo a sottolineare che il volontariato non può essere un alibi per trascurare le politiche del terzo settore. Noi ci siamo posti dei confini ben precisi: siamo delle reti parallele e non ci sostituiamo assolutamente ai servizi che le istituzioni hanno il compito di fornire. I ruoli sono diversi, quello che abbiamo in comune è l’obiettivo della coesione sociale». In fondo, come fa notare la stessa Maria Luisa, quella delle Banche del Tempo non è tanto un’iniziativa economica, quanto piuttosto un esperimento comunitario, che ha l’obiettivo di facilitare gli scambi di servizi rimettendo al centro la solidarietà e le relazioni umane.

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