Cento artisti per recitare il Decamerone: l’iniziativa di due libraie torinesi
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Torino - Dalla Torino di oggi alla Firenze del 1300, dalla diffusione del coronavirus all’epidemia della peste nera: è un viaggio nel tempo quello che hanno intrapreso Ilaria di Meo e Silvia Giuliano, titolari della libreria indipendente Luna’s Torta che, a Torino, hanno dato vita all’iniziativa “Decamerone 2020” per portare la lettura nelle case di tutti, come stimolo per reagire allo stato di isolamento… a suon di cultura.
L’iniziativa nasce dalla necessità di rispondere in modo creativo e condiviso alla forte crisi del settore culturale legata all’emergenza coronavirus: per la totale soppressione di ogni evento e la chiusura dei musei e delle scuole sono tantissimi gli operatori che, a vari livelli, sono stati fortemente danneggiati. Così le due libraie torinesi hanno trovato un modo per coinvolgere più di cento persone in una lettura collettiva dell’intero Decamerone del Boccaccio, come rimedio per affrontare insieme la chiusura dei luoghi legati alla cultura.
Come ci raccontano Silvia e Ilaria, l’iniziativa è stata pensata per interpretare una novella che è stata pubblicata in un video sulla pagina fb e trasformata in un racconto continuativo in modo da accompagnare i lunghi giorni di quarantena.
Perchè proprio il Decameron? Perché l’opera, ambientata durante la peste scoppiata a Firenze nel 1348, racconta la storia di dieci giovani che, per sfuggire al contagio, trascorrono il tempo raccontandosi a turno delle novelle, ricostruendo le relazioni e i valori di una società scossa dall’epidemia.
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Come ci raccontano le libraie, «Ognuno di noi il Decamerone se l’è vissuto in modo unico e personalizzato. Lo abbiamo preso, rimaneggiato, interpretato, cantato. Abbiamo quindi lasciato totale libertà di espressione: c’è chi lo ha semplicemente letto come nel caso di molti librai, chi, come alcuni artisti, ha realizzato video surreali, chi lo ha spiegato, chi ha scritto una lunghissima canzone, chi lo recitato. Così abbiamo ridato vita al Decamerone, attraverso centoventi interpretazioni che mostrassero il lavoro di chi tutti i giorni si impegna con passione a fare cultura».
E il successo dell’iniziativa non si è fatto attendere. «Siamo diventate più virali del virus» ci hanno raccontato ironicamente Silvia e Ilaria. La verità è che in tantissimi hanno aderito alla chiamata, scegliendo di raccontare l’opera in maniera originale, insolita e divertente. Centoventi persone in totale (nonostante abbiano risposto alla chiamata in numero ben maggiore) tra performers, organizzatori, artisti, attori, semplici spettatori, operatori culturali, gestori di locali a vari livelli provenienti da diverse città. Uniti, per diffondere cultura.
E proprio come il Decameron che, in lingua greca, significa letteralmente “di dieci giorni”, per lo stesso periodo di tempo la celebre opera di Boccaccio è giunta in tutte le case d’Italia, suscitando curiosità anche all’estero come nel caso di Barcellona e di un’università negli Stati Uniti.
«Il momento più emozionante per noi è stato quando uno dei “protagonisti” lo ha definito “Il nostro Decamerone”. E proprio in quel momento ci siamo rese conto che l’opera che abbiamo creato è di tutti: non solo nostra ma anche di ogni persona che ne ha preso parte, di coloro che non sono riusciti a partecipare, delle persone che da casa l’hanno potuta assaporare giorno per giorno».

Ciò che Silvia e Ilaria chiedono attraverso quest’iniziativa è che venga predisposto un fondo di emergenza per tutti coloro che in questi lunghi giorni hanno visto azzerare o ridurre drasticamente i propri introiti e che questo fondo resti attivo, per evitare e prevenire altre situazioni di simile gravità.
«L’augurio che possiamo farci è che quest’emergenza possa accendere una luce sul numero enorme di persone che lavorano senza tutele e riconoscimento. Sappiamo di non essere l’unico settore in cui questo accade e ci auguriamo che questa lunghissima maratona possa servire da stimolo per far conoscere la nostra situazione. In fondo quest’esperienza ci ha aiutato a riscoprire un senso di appartenenza fortissimo. E proprio qui risiede il vero senso di comunità, che ci rende uniti nonostante tutto».
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