5 Lug 2022

Giocherenda: per un gruppo di migranti il gioco è diventato uno strumento di riscatto e inclusione

Scritto da: Salvina Elisa Cutuli

Una visione di lungo termine per immaginare forme di volontariato e di impresa che facciano fiorire le potenzialità di ciascuno e rechino valore al paese che accoglie. Con questa idea è nato a Palermo, nel 2017, Giocherenda, un progetto di cooperazione allo sviluppo umano ed economico, in cui i giovani aiutano i cittadini europei a scoprire la solidarietà nell’interdipendenza e nella creatività attraverso giochi di cooperazione e non competitivi.

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Palermo - Giocherenda è una parola della lingua africana pulaar che significa solidarietà, consapevolezza dell’interdipendenza, forza che nasce dalla condivisione, gioia del fare insieme. Giocherenda è anche un negozio del centro storico di Palermo in cui si trovano giochi creativi, cooperativi e non competitivi costruiti da giovani per dare un nuovo input alla narrazione e per far crescere la condivisione. 

Sei anni fa alcuni ragazzi si sono ritrovati nel capoluogo siciliano. Provenivano dalla Guinea, dal Gambia, Mali, Burkina Faso e Marocco. Molti di loro avevano lasciato i loro paesi a causa dei conflitti e delle dittature, affrontando un duro viaggio in cerca di pace, libertà e avventura verso un nuovo futuro. Si sono incontrati sui banchi di scuola per imparare l’italiano e dopo pochi mesi hanno cominciato a condividere e riflettere su alcuni atteggiamenti e su come migliorarli.

«Ci sembrava che parole come comunicazione e integrazione avessero perso completamente di significato. Se salutavamo un passante non ricevevamo risposta, l’associazione immediata nei nostri riguardi era la richiesta di elemosina. Se cedevamo un posto sull’autobus a una persona più grande di noi, quel posto rimaneva vuoto», raccontano.

«Eravamo confusi, noi avevamo ricevuto un’educazione improntata su questi valori, così ci siamo chiesti come poter offrire un contributo positivo alla città che ci ha accolto, mettendo in gioco la nostra creatività e la nostra intraprendenza», spiega Din, uno dei fondatori di Giocherenda. Determinante è stata Clelia Bartoli, la loro insegnante di italiano, oggi coordinatrice di Giocherenda, che ha ascoltato le esigenze di Din e dei suoi amici, offrendo casa sua come spazio di condivisione in cui immaginare i giochi da proporre.  

giocherenda 2

La somiglianza con la parola giocare ha dato loro l’idea di usare il gioco per creare strumenti efficaci in grado di generare narrazioni, recuperare memorie e sperimentare il gusto della condivisione. L’obiettivo di Giocherenda è infatti aiutare tutti a scoprire che la solidarietà è una scelta obbligata perché tutti dipendiamo dagli altri.

Dalla casa della professoressa Clelia, Din e gli altri sono passati all’Istituto di formazione politica Pedro Arrupe che ha offerto loro uno spazio per realizzare un’officina della creatività, per poi arrivare al negozio. Oggi Giocherenda è un’impresa sociale supportata da In Gioco, un progetto selezionato da Fondazione Con il Sud nell’ambito dell’Iniziativa Immigrazione 2017.

I giochi sviluppati stimolano la creatività, il recupero di memoria e la condivisione. «Quando incontriamo per la prima volta una persona capita di sottoporla a un interrogatorio per conoscerla. Le tipiche domande sono: come stai? quanti anni hai? A tante persone dà fastidio, rispondono in modo limitato e superficiale. Le nostre carte acchiapparicordi invece offrono la possibilità di momenti di condivisione insoliti e inaspettati».

Ci siamo chiesti come poter offrire un contributo positivo alla città che ci ha accolto, mettendo in gioco la nostra creatività e la nostra intraprendenza

«Chi parla sceglie di raccontare qualcosa della sua vita, senza sentirsi costretta in un argomento preciso. Durante la pandemia abbiamo organizzato degli incontri online con delle classi di scuola superiore. I ragazzi piangevano per l’emozione, attraverso queste carte hanno raccontato una parte di loro che avrebbero voluto condividere anche in passato, ma non avevano mai avuto la possibilità di farlo. È stato un modo per conoscersi meglio», continua Din. 

Le carte e gli altri giochi costruiti da Giocherenda mantengono anche un legame con i paesi d’origine dei ragazzi, dalle immagini ai simboli utilizzati. Negli anni alcuni passaggi sono stati modificati. Prima, ad esempio, realizzavano a mano ogni singola carta con la tecnica del collage, usando giornali e pezzi di stoffa. Oggi sono stampate e possono essere acquistate in tutta Europa grazie al loro sito e-commerce. 

All’interno del negozio si svolgono anche laboratori gratuiti di sartoria, di creatività e narrazione, esperienze di educazione all’interculturalità, all’empatia e alla cittadinanza attiva e inclusiva. I workshop sono rivolti ai bambini, agli adolescenti e agli adulti, in contesti sia ludici che formativi. «Iniziamo insieme con un filo colorato che, passando di mano in mano, unirà tutti i partecipanti, rendendo percepibile quella trama invisibile che lega ogni essere umano e fa sì che il destino di ciascuno sia intrecciato al destino degli altri».

giocherenda 1

«Ci basiamo molto sul training Heroic Imagination Project (HIP) ideato dallo psicologo sociale Philip Zimbardo, che fortifica la resistenza alle pressioni dell’ambiente, valorizza le dinamiche e le relazioni all’interno di ciascun gruppo di lavoro, riconosce i talenti e le potenzialità nascoste in ciascuno dei partecipanti. Zimbardo infatti parla di “eroe” riferendosi alla persona ordinaria che riesce a disobbedire alle pressioni conformiste o alle autorità ingiuste che intendono incattivirla, comprometterla e rubarne l’umanità». 

Spesso l’informazione mainstream dipinge gli immigrati come persone che apportano negatività al paese che li ospita. L’esempio di Giocherenda conferma l’esatto opposto. Din ha vissuto in prima persona questo tipo di esperienza. Poco dopo essere arrivato a Palermo ha voluto realizzare un documentario insieme a un amico dal titolo “Io sono qui” per raccontare il suo viaggio, le motivazioni, ciò che ha visto e vissuto.

Ha potuto constatare come in tanti, senza volerlo, non conoscono la realtà e si fermano a una informazione meno veritiera, spesso anche imposta. Dal suo punto di vista serve aprirsi, condividere, confrontarsi e non fermarsi al sentito dire. L’iniziale mancanza di comunicazione e integrazione non ha fermato questi ragazzi, anzi, sono andati alla ricerca di una soluzione che ha permesso a loro e agli altri un salto evolutivo notevole. Palermo li ha accolti molto bene, tant’è che alla domanda “di dove sei?” Din risponde: “Di Palermo!”».

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