3 Gen 2024

Il crisis manager Trancu: “Viviamo in un’epoca di crisi permanenti. Adattiamoci!”

Scritto da: Fabrizio Corgnati

Patrick Trancu è un crisis manager, uno dei massimi esperti italiani in gestione delle crisi aziendali e organizzative. Grazie alla sua esperienza pluridecennale ha qualcosa da insegnare a tutti noi, che siamo alle prese con le molte crisi che il mondo moderno e complesso ci pone davanti ogni giorno, dalla pandemia all’inflazione, dal cambiamento climatico alla guerra.

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Patrick Trancu ha 59 anni, vive a Lugano e fa il crisis manager. Il suo lavoro, del quale è uno dei massimi esperti italiani, consiste nel gestire tutti gli aspetti delle crisi: dalla preparazione alla risposta, dal recupero alla comunicazione. Una professione ancora poco conosciuta al grande pubblico, ma che forse come nessun’altra è adatta a navigare la contemporaneità. Tutti noi infatti viviamo ormai immersi in una fase critica apparentemente senza soluzione di continuità, che nel corso degli anni ha assunto le vesti di crisi finanziaria, economica, politica, pandemica, climatica, bellica.

«Le crisi del XXI secolo tendono a essere complesse e sistemiche», spiega Trancu. «Si incrociano, provocano effetti domino, non riusciamo a definirne facilmente il perimetro perché il sapere attuale, o quello che possiamo ricavare dalle esperienze precedenti, si rivela insufficiente. Il nostro è sempre più frequentemente un contesto di policrisi; qualcuno addirittura parla di permacrisi o crisi permanente. Il motivo è che oggi viviamo in un mondo iper-complesso, interconnesso e interdipendente, quindi estremamente fragile».

Il paradosso è che, per quanto questo termine riempia quotidianamente le cronache di tutti i media, di rado ci soffermiamo a pensare al suo significato. Dunque, partiamo dall’inizio: che cos’è una crisi? «A mio giudizio si può parlare di crisi quando ci troviamo di fronte a una minaccia esistenziale per la persona, per l’organizzazione o per lo Stato, che ci coglie di sorpresa e spesso impreparati».

patrick trancu

Ma c’è anche un secondo elemento, oltre al rischio, che caratterizza questi eventi che «per loro natura sono trasformativi». In altre parole stimolano una trasformazione, un superamento di quella stessa fragilità che li ha causati: «Se io supero la crisi, non torno a fare le cose come le facevo prima, ma divento più solido, più forte. È proprio nei momenti di difficoltà che cerchiamo e troviamo le risorse per superarli». Un’esperienza comune a ciascuno di noi: se ci guardiamo indietro, scopriremo che probabilmente gli episodi che più ci hanno fatto crescere e maturare sono stati proprio quelli più dolorosi e impegnativi.

Del resto è diventato quasi un luogo comune ricordare che, nelle lingue dell’Estremo oriente, la parola “crisi” porta con sé anche il significato di “opportunità”. Eppure nel nostro Occidente questa sfumatura è completamente sparita: nella narrazione diffusa del presente è rimasta solo la sua accezione negativa, di pericolo. «Questo è un problema culturale», prosegue Patrick Trancu. «La nostra non è una cultura sensibile alla crisi, quindi non capiamo che cosa sia. Cerchiamo sempre un colpevole, un responsabile, qualcuno che ha fatto quello che non doveva fare. Perciò il nostro approccio non è orientato a imparare, a riprendere e a proseguire il nostro cammino, in una direzione diversa ma con ancora maggior entusiasmo».

E dire che gli esempi di cambiamenti in meglio innescati proprio da una crisi non mancano: non solo nelle nostre vite, ma anche tutto intorno a noi. Basta saperli guardare dall’ottica giusta: «Penso al drammatico crollo del ponte Morandi. La gestione di quella crisi è stata disastrosa, ma la mia percezione dall’esterno è che oggi la società Autostrade si sia profondamente trasformata. Lo percepisco dalla sua riorganizzazione, dalla comunicazione, dalle campagne pubblicitarie. Purtroppo di questo non si parla mai».

ponte morandi

Il risvolto più curioso è che la tragedia di Genova ha influito profondamente anche sulla carriera e sulla stessa vita di Patrick Trancu, che pure non se ne è mai occupato in prima persona. Dopo un decennio di lavoro nelle pubbliche relazioni, all’interno dell’agenzia fondata da suo padre, il suo primo contatto con la crisi avvenne in occasione di un altro immane disastro: l’incidente di Linate del 2001. Un aereo di linea della Scandinavian Airlines travolse al decollo un velivolo privato che aveva invaso la pista per errore causando 118 vittime: la peggior strage nella storia dell’aviazione italiana.

Patrick Trancu fu coinvolto, poche ore dopo lo schianto, come consulente di comunicazione di crisi dalla compagnia scandinava: un battesimo di fuoco, purtroppo nel vero senso della parola. «Per anni – racconta – non parlai pubblicamente di quello che vidi perché, per rispetto verso i familiari, non mi sembrava corretto trarne un beneficio professionale. Fino al crollo del ponte Morandi, grazie al quale mi resi conto che la mia missione non era il silenzio, ma l’evangelizzazione della gestione di crisi. Questo evento mi permise di ricompormi a livello psicologico dall’esperienza di Linate, che mi aveva segnato molto profondamente».

Questo è stato il modo che Patrick ha trovato per dare un senso alla tragedia: «Una nuova motivazione che, ironicamente, i familiari delle vittime avevano trovato già sei mesi dopo l’incidente, dando vita al Comitato 8 ottobre per non dimenticare, con l’obiettivo di migliorare la sicurezza del trasporto aereo, di impedire che quella tragedia si potesse ripetere. Io ci ho messo un po’ di tempo in più».

E questo è anche l’approccio al quale ciascuno di noi è chiamato, nella propria personalissima traiettoria esistenziale: non fuggire terrorizzato dalle sfide che la realtà presente gli pone davanti, bensì trovare in loro un significato che gli permetta di uscirne cresciuto, sviluppato, migliore. Le lezioni preziose che abbiamo l’opportunità di imparare sono tante, anche nelle crisi che ci sono diventate familiari in questi anni: «Prima di tutto una presa di coscienza: in un contesto complesso non esistono soluzioni semplici».

«Non esistono neppure buone soluzioni, ma soltanto quelle meno peggio», prosegue Patrick Trancu. «Viviamo in un tempo di incertezza costante e dobbiamo abituarci, cioè tutti noi dobbiamo non solo diventare crisis manager di noi stessi, ma partecipare attivamente alla gestione delle crisi che attraversano questo periodo storico. Pensiamo alla pandemia: ci è stato chiesto – in alcuni Paesi imposto – di restare a casa, mettere una mascherina, ridurre i contatti sociali, vaccinarsi. Siamo di fatto diventati co-gestori della situazione».

Anche perché appaltare l’amministrazione di un contesto così instabile solamente alle autorità politiche, all’ennesimo uomo o donna della provvidenza o peggio ancora agli slogan da campagna elettorale, finora non ha funzionato granché: «Lo Stato nasce proprio per difendere i cittadini dalle minacce, quindi è anche giusto riporre in esso la nostra fiducia».

Il nostro è sempre più frequentemente un contesto di policrisi. Il motivo è che oggi viviamo in un mondo iper-complesso, interconnesso e interdipendente

Il problema secondo Patrick Trancu è che «sulla gestione di crisi la nostra classe politica e burocratica è all’anno zero: è impreparata, non riflette su questi temi; non siamo dotati di strutture preposte, ma gestiamo le crisi attraverso strumenti di emergenza, come la Protezione civile. In un contesto già complesso poi nel nostro Paese la comunicazione istituzionale diventa propaganda politica. Io la chiamo la “militarizzazione” della comunicazione istituzionale, finalizzata al consenso anziché all’orientamento del cittadino».

La cattiva notizia dunque è che la navigazione si prospetta difficoltosa e faticosa. Quella buona è che ciascuno di noi ha il potere di tenere il timone in mano e di condurre la sua nave a un porto nuovo, in un territorio tutto da esplorare, che sarà diverso da quello che ci siamo lasciati alle spalle ma potrebbe addirittura rivelarsi migliore. A patto naturalmente che ciascuno di noi sia in grado di rendersi conto della straordinaria opportunità e di coglierla.

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