12 Marzo 2025 | Tempo lettura: 7 minuti
Ispirazioni / Io faccio così

La storia di Bruno, l’ex criminale che salva i giovani di Caivano dalle mani della camorra

Uscito dal carcere dopo 12 anni di detenzione, Bruno Mazza si è reso conto che nessuno avrebbe fatto nulla per allontanare i giovani di Caivano da criminalità, droga e abbandono scolastico. E allora ci ha pensato lui, fondando l’associazione Un’infanzia da vivere.

Autore: Fulvio Mesolella
caivano3
L'articolo si trova in:

Caivano è diventata l’estrema periferia di Napoli, rubando a Scampia – che dista solo venti minuti – il primato all’interno delle cronache che riguardano la droga e la violenza. Ma non sono solo quei minuti a fare la differenza: Scampia è diventata negli ultimi anni un modello di bonifica sociale operata dalla società civile, dal volontariato, dalla scuola e finalmente anche dalle istituzioni locali, dall’impegno dell’Università e degli amministratori. 

Caivano: com’era e com’è

Caivano sarebbe un ridente paesino, oggi stritolato dalla conurbazione, dal caos di cemento che dagli anni ‘70, fra abusivismo e piani regolatori farlocchi, ha distrutto le campagne, il paesaggio e quell’ampio spazio verde che non solo definiva i luoghi abitati, ma che li nutriva con ortaggi di qualità e a km0. Un luogo che era la Terra di lavoro, la piana della Campania felix per i romani, diventata per noi la terra dei fuochi, dove fra Napoli e Caserta c’è ormai solo una sconfinata megalopoli di diversi milioni di abitanti. 

Nell’immaginario di tutti Caivano sembra una terra di nessuno, un paesino che cerca di difendere la sua bellezza originaria rispetto a queste relativamente scatole di cemento con cui è costruito il Parco Verde, creato per gli sfollati del terremoto del 1980. L’ingresso a questo nuovo quartiere era segnato dalla presenza di bidoni traboccanti di immondizia, periodicamente dati alle fiamme. L’abbandono materiale preparava chi arrivava, lo introduceva al degrado morale, a un luogo dove quasi non ci si meravigliava che si siano consumati stupri di branco fra minori, strani omicidi di bambini

caivano
Attività con i ragazzi di Caivano

Nel 2011 in questa terra don Maurizio Patriciello – un infermiere che all’età di trent’anni scoprì la sua vocazione sacerdotale – diventando parroco denunciava l’abbandono e scriveva ai presidenti del consiglio: lui stesso racconta che, nonostante tutti si fossero recati in visita in varie occasioni, non hanno mai dato seguito alle promesse. Poi è arrivata la violenza di un branco di adolescenti su due ragazzine di circa 10 anni e, dopo un putiferio sulla stampa locale e nazionale, arriva l’allora neo-presidente del consiglio, Giorgia Meloni, che decide di fare di Caivano un esempio dell’efficienza del governo in materia di sicurezza

E in effetti quello che succede è che, con l’apertura di una caserma dei carabinieri e l’arrivo di 108 agenti, il quartiere viene finalmente ripulito: da piazza di spaccio che era stata dapprima la menzionata Scampia e ora il Parco Verde, gli spacciatori vengono allontanati a viva forza, sventate le collusioni fra camorristi e forze dell’ordine. Finalmente inizia anche la differenziata, stavolta ad opera dei cittadini. Certo, grazie al parroco che denuncia e richiama i politici, ma anche grazie a un’associazione dal significativo nome: “Un’infanzia da vivere”.  

Un’infanzia da vivere

Bruno Mazza è l’ispiratore e l’animatore principale di quest’associazione che già dal 2008 si batte sempre di più perché il Parco Verde di Caivano non sia la vergogna di un piccolo centro di provincia, soprattutto perché i suoi bambini abbiano un futuro migliore di quello che ha avuto lo stesso Bruno negli anni passati. Un’infanzia in cui ha incontrato vari adulti, ma «nessuno col coraggio di guardarci negli occhi».

caivano
La sede dell’associazione

Bruno esordisce parlando di un gruppo di circa 14 ragazzi di cui faceva parte da piccolino, il cui unico sopravvissuto è lui. «Fummo allontanati dalla scuola nei primi anni, passando tutti per storie di tossicodipendenza, furti, spaccio, violenza, bande criminali, fino al momento del rischio di coinvolgimento in fatti di sangue che segnarono il mio arresto». Potremmo dire che così si fermò questa folle corsa verso l’autodistruzione, quella stessa che toccò a tutti i suoi compagni, «compresa la morte per overdose di mio fratello, un punto di non ritorno». 

Bruno racconta di aver conosciuto incredibilmente soprattutto violenza nel minorile di Nisida, mentre di Poggioreale dice che «in carcere conobbi la biblioteca, la scuola, la possibilità di tornare sui banchi, studiare e scoprire le mie qualità intellettuali». L’insistenza di Bruno su quest’aspetto non è casuale: il sito dell’associazione che ha fondato e presiede si apre con queste parole: “Così come il cibo e l’acqua sono fondamentali per il nostro corpo, la lettura è essenziale per nutrire la mente e lo spirito. Nel nostro doposcuola, insegniamo ai bambini che leggere apre le porte dell’immaginazione, stimola il pensiero critico e arricchisce il linguaggio. Leggere è vivere: coltiviamo insieme questa bellissima abitudine!”.

E la lotta all’evasione scolastica si fa anche con lo sport: «Avendo sistemato dei campetti, dal 2015 non solo proponevamo il calcio per i ragazzi del quartiere, ma ogni sei mesi – a patto che tornassero a scuola e non facessero assenze – portavamo gli allievi a vedere gli allenamenti del Napoli. Finì che i ragazzi chiedevano di andare a scuola anche la domenica, per avere più presenze».

La morte per overdose di mio fratello fu un punto di non ritorno

Ma i problemi non erano risolti: «Le istituzioni scolastiche collaborano poco, i docenti che vengono al Parco Verde se ne scappano, abbiamo calcolato che circa 400 insegnanti si sono dati il cambio in questi anni. L’unica biblioteca che c’era è stata trasformata in ambulatorio veterinario che certo, è prezioso per il quartiere, ma al prezzo di perdere un presidio di cultura. Dico questo perché è in carcere che ho preso la quinta elementare, poi ho fatto i vari livelli delle scuole medie. È così che ho conosciuto la mia vera libertà con lo studio».

Qui il racconto “politico” di Bruno si fa “personale”: «All’età di dieci anni e sei mesi ho perso il mio papà, che si è suicidato. A scuola ero ingestibile, lo riconosco, venivo sempre cacciato. Non potevamo vivere un’infanzia spensierata senza un campo di calcio, una giostra, uno scivolo. Eravamo ragazzi difficili, mia mamma è maestra d’asilo e voleva che andassi a scuola, ma a scuola facevo casino e mi cacciavano. Dovevano tenermi dentro e invece venivo allontanato. Cominciammo a fare furti per noia o per divertimento, poi diventarono rapine. Le rapine mi portarono al carcere minorile, quando uscii dopo alcuni mesi fui chiamato dai boss che mi incaricarono di gestire le 14 piazze di spaccio del territorio». 

Poi Bruno entra nei dettagli, da poche settimane era diventato maggiorenne e “per fortuna” fallì la sua partecipazione a un omicidio: dopo un inseguimento della polizia, si consegnò. Il suo boss, che era napoletano, in domicilio coatto al Parco Verde – un bel “regalo della giustizia” –  decise di pentirsi e scaricò su lui e altri buona parte delle responsabilità.

caivano
Il campo da calcetto

E il racconto diventa caricaturale, Bruno viene “seppellito” di condanne – fino a 28 anni – pur non avendo ucciso nessuno: «Mi sarebbe andata meglio se uccidevo qualcuno!», commenta sarcastico l’ex ragazzino di Caivano. E la situazione paradossale che racconta mi stupisce e ci fa allo stesso tempo ridere insieme, perché per fortuna i reati contestati riguardavano lo spaccio e li aveva compiuti da minorenne, quindi le pene furono successivamente ridotte. 

Bruno alla fine sconta realmente 12 anni: «Torno a casa, mi affaccio al balcone e vedo sempre bambini che fanno le stesse sciocchezze di quando io ero piccolino e capisco che nessuno farà mai qualcosa per loro, come per i miei 13 amici, tutti allievi della scuola Raffaele Viviani, tutti morti fra suicidi, droga, conflitti a fuoco». E qui Bruno capisce che deve cominciare dai campetti di calcio, per togliere i ragazzi dalla strada.

E nell’amministrazione qualcuno si rende conto «che è un sollievo che ci sia chi si occupa di loro» e all’associazione vengono affidati dei locali in disuso. Bruno racconta ancora: «Marco stretto stretto Carlo Borgomeo, della Fondazione con il Sud, che ci propone un cofinanziamento dei campetti di calcio: non poteva venire a un convegno o una partita a Napoli senza incontrarmi, ero il suo incubo!». E da allora i finanziamenti aumentano, consentendo un’attività regolare all’associazione e alle sue operatrici e operatori.

Nonostante questa oasi di benessere per i bambini sia attiva da anni ormai, parlando con Bruno Mazza si ha la netta sensazione che lo Stato ancora non sia capace di guardare negli occhi Caivano, preferendo utilizzare il Parco Verde per le propagande personali e politiche. Ma Un’infanzia da vivere è una piccola speranza che già da più di 15 anni sta accompagnando molti piccoli del quartiere a trovare una strada sana e finalmente possiamo dire che anche questa è una realtà di quel territorio così martoriato.