13 Marzo 2025 | Tempo lettura: 7 minuti
Ispirazioni / Io faccio così

A Capoterra coi Red Fox arriva il rugby in carrozzina, tra lavoro di squadra e autodeterminazione

Il rugby in carrozzina è uno sport di velocità, strategia, ma soprattutto di squadra e i Red Fox in merito, sezione paralimpica del Rugby Capoterra, stanno costruendo un progetto unico. Ce lo racconta Matteo Cardia.

Autore: TocToc Sardegna
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Il suono è secco, quello più classico tra due masse che collidono a gran velocità. C’è un attimo di sorpresa nel vedere la ruota sinistra della carrozzina di Leonardo, il più giovane della squadra, che letteralmente vola via. Poi il “pallone” della PGS in via Capo Comino, a Monserrato, si riempie delle risate degli atleti che per quasi due ore hanno spinto le proprie carrozzine oltre la velocità consueta, alla ricerca di un ritmo gara che sarà fondamentale per il prossimo campionato di Serie A.

Una scena che racconta l’atmosfera delle ultime fasi del più classico dei venerdì, l’ultimo giorno di allenamento settimanale, quando già stai assaporando il meritato riposo. Una sensazione che non conosce alcuna distinzione nel mondo dello sport, che va oltre quelle barriere spesso imposte dal mondo esterno che rendono erroneamente complessa una parte della realtà. Nicola Marcello è l’allenatore e responsabile di un progetto che al momento è un unicum a livello rugbystico in Italia. Le Red Fox sono la sezione paralimpica dell’Amatori Rugby Capoterra, società storica della palla ovale isolana. Nessun’altra società iscritta alla Federazione Italiana Rugby ha finora preso la stessa scelta.

Il rugby in carrozzina

«Quest’anno abbiamo deciso di essere più autonomi – spiega Marcello – e abbiamo salutato un progetto precedente, quello legato alla Sa.Spo. Abbiamo messo su tutto nuovamente da zero a partire dalle carrozzine, in attesa che arrivi una risposta su quelle utilizzate in passato. Investiremo un bel po’ di fondi di tasca nostra, in attesa che la Regione eroghi i fondi nei mesi successivi al torneo e che magari arrivi qualche sponsor. Nel frattempo ci godiamo la vicinanza del Rugby Capoterra: noi siamo vicini a loro e loro sono vicini a noi. I componenti della prima squadra [senza disabilità, ndr]si siedono spesso in carrozzina e fanno da sparring partner per i nostri allenamenti».

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Foto di Amatori Wheelchair Rugby Capoterra

«Adesso speriamo – continua Marcello – con la bella stagione di poter andare anche noi a vedere le loro partite. Per il momento non ci sono le strutture adatte a ospitare completamente gli atleti, dobbiamo aspettare le condizioni meteo migliori visto anche che spesso persone tetraplegiche e paraplegiche soffrono la mancata possibilità di controllare la termoregolazione corporea». In squadra sono sei gli atleti – due si aggiungeranno per il campionato nella Penisola – che svolgono uno sport giovane, nato sul finire degli anni Settanta in Canada e alle Paralimpiadi da Sydney 2000.

Come nel basket in carrozzina, di cui il rugby può sfruttare anche le stesse caratteristiche del campo, si gioca con una palla sferica e ai giocatori sono attribuiti dei punteggi in base alle proprie capacità individuali. E così, come nella palla a spicchi, il tempo corre veloce per il quartetto che deve stare in campo e che deve rispettare i secondi sia per il mantenimento della palla che per le azioni d’attacco, che si concludono nel migliore dei modi con una meta. La preparazione fisica si unisce così a quella mentale in maniera fondamentale.

Uno sport di testa

«Ogni dettaglio è fondamentale – spiega il capitano della squadra Stefano Perra – a partire dalla personalizzazione della carrozzina, il tipo di copertone, il cuscino di seduta, l’angolo della carrozzina. Ogni aspetto condiziona la prestazione. Per questo è fondamentale anche la presenza di tutto lo staff, da quello tecnico a quello meccanico. Andare su e giù per il campo per quattro tempi da otto minuti effettivi è pesante, con gli otto secondi che poi pesano ancora di più. Il nostro è anche per questo soprattutto uno sport di testa. Siamo in una scacchiera in cui ognuno di noi ha un proprio compito e deve svolgerlo, se salta un passaggio il rischio è quello che tutto si sfaldi».

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Red Fox del Rugby Capoterra in allenamento, foto di Matteo Cardia

«C’è tanto lavoro fisico da fare in palestra, noi ringraziamo l’Athlon che ci ospita per dedicarci a questo, ma è soprattutto la mente a pesare per poter giocare bene, insieme». Perra, classe ’89, si è appassionato al rugby in carrozzina durante un’esperienza a Roma che è stata formativa, fino a modellare il suo sguardo verso la realtà.

«C’era stato uno stage a Cagliari della nazionale italiana di rugby in carrozzina. Qui la squadra si stava formando, mentre a Roma c’era già un progetto consolidato. Mi hanno chiesto se volessi giocare e alla fine ho intrapreso questo viaggio. Avevo iniziato per diletto, poi a poco a poco sono rimasto completamente coinvolto, mentalmente e fisicamente. Partire a Roma mi ha aperto un mondo, ho conosciuto un modo diverso di approcciarmi alla vita. Ho viaggiato da solo, ho dovuto risolvere dei problemi facendo affidamento sugli ultimi arti rimasti abili [sorride, ndr] e sulla testa che ti costringe a trovare sempre una soluzione».

Consiglio il rugby a chi ha una disabilità come la nostra prima di tutto perché è uno sport collettivo

Motivo per cui si sente di consigliare lo sport a tutti: «Consiglio il rugby a chi ha una disabilità come la nostra prima di tutto perché è collettivo. Con la squadra si cresce, si ride, si va in gita, si fanno le traversate. La conseguenza è una crescita personale che vuol dire anche una maggiore consapevolezza e autonomia. Non è facile, è uno sport di contatto e ci vuole come per tutte le attività tanta voglia, soprattutto quella di mettersi in gioco. Certo, non va poi dimenticato che ci sono le difficoltà di chi oltre l’hinterland cagliaritano vorrebbe magari anche praticare sport, ma che, se non ha un mezzo proprio, non può raggiungere i luoghi in cui questo si fa».

Rugby e autodeterminazione

Da fuori, soprattutto quando si osservano le storie dei grandi atleti paralimpici, lo sport per chi ha una disabilità è anche visto come un mezzo in più per la rivendicazione della propria autodeterminazione. Ma ancora la strada da fare è tanta. «Spesso ci si ritrova con una mentalità che porta ragazzi e ragazze con disabilità a essere conservati in una teca di cristallo – chiosa Marcello – questo significa non favorire un’autonomia che invece le persone cercano. Una limitazione che si afferma sul piano fisico, ma soprattutto mentale. Noi invitiamo le persone a provare, le famiglie a portare i propri ragazzi. Qui la disabilità è effettivamente diversa abilità, perché ognuno può scoprire un modo diverso di muoversi in carrozzina».

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Foto di Amatori Wheelchair Rugby Capoterra

In questa palestra si è quindi sportivi al 100%. «Da febbraio i ragazzi sono a regime con cinque allenamenti alla settimana tra campo e palestra. E sono dilettanti, non prendono di certo soldi, anzi rischiano di rimettercene», sorride il coach, che in campo è affiancato dal preparatore atletico, ex olimpionico, Sandro Floris e da Dario Carrone, mentre ai box si avvale della presenza del meccanico Roberto Perra e degli accompagnatori Giorgio Loi e Claudio Secci. «Per questo vogliamo provare a portare il nostro messaggio anche nelle scuole, così come provare ad alimentare un altro sogno, quello di riportare delle ragazze a fare questa attività. Confido che in futuro possa nascere una vera e propria sezione femminile del Rugby Wheelchair Capoterra».

Una prima occasione per attirare ragazze e ragazzi verso l’attività sportiva potrebbe essere la tappa isolana del campionato di Serie A organizzato dalla FISPES, prevista per il 26 e 27 aprile prossimi, con Capoterra che si prepara ad accogliere le altre cinque squadre del torneo che partirà a Verona il prossimo 22 marzo. Un campionato che sarà utile soprattutto per imparare e per capire come scontare di meno quel divario comune a tutte le squadre sarde che nei campionati nazionali trovano una competitività che in Sardegna manca.

«Essendo partiti praticamente a gennaio possiamo dire che siamo al top. La PGS Monserrato ci ha accolto a braccia aperte, possiamo allenarci con un intero campo regolamentare a disposizione, cosa che prima non accadeva. Da questo campionato ci aspettiamo davvero di imparare», affermano sia Perra che Giovanni Ambus, altra colonna portante della squadra. «Se la prendessimo in un’ottica diversa sarebbe rischioso. Dobbiamo essere consapevoli di dover dare il massimo ogni volta per provare a vincere, ma non la partita, bensì l’esperienza. Si partirà dalle trasferte che saranno un po’ un’avventura, ma fa parte del gioco».