Etichettatura ambientale: che impatto ha ciò che mangiamo?
ISDE Italia, l’associazione medici per l’ambiente, ha elaborato una proposta di etichettatura ambientale per avere la possibilità di scegliere i prodotti alimentari consapevolmente, premiando quelli più sostenibili.
In un mondo ideale, il tempo impiegato a leggere le etichette di ciò che arriva sulle nostre tavole sarebbe direttamente proporzionale alla scrupolosità del consumatore, al suo regime alimentare, a volte alle sue scelte etiche e non da ultimo alla disponibilità delle sue tasche. Si dà il caso però che la maggior parte di ciò che acquistiamo compia una traiettoria dallo scaffale al nostro carrello in frazioni di secondo, tra una telefonata e lo scrolling compulsivo, di solito a fine giornata, con appena il tempo necessario per realizzare quanto ci stiamo portando a casa, più o meno inconsapevolmente.
Nonostante questa possa essere una fotografia alquanto verosimile delle abitudini antropologiche più largamente osservate tra le corsie dei supermercati, in realtà è in crescente aumento la richiesta da parte dei consumatori di maggiore trasparenza. Dell’etichettatura, innanzitutto. Buona parte dei consumatori si chiede da dove venga ciò che finirà nel proprio piatto e quale impatto ambientale abbia la produzione di quel determinato cibo. Non a caso è il mercato stesso che in mancanza di una normativa che obblighi a una maggiore trasparenza in etichetta, strizza l’occhio al consumatore, con marchi e claim di sostenibilità e puro greenwashing, spesso ingannevoli e senza un’effettiva base scientifica.

Gli ingredienti e i valori nutrizionali non bastano più
«L’etichetta è uno strumento economico imprescindibile per capire se quell’alimento è accettabile per il consumatore», ha esordito Antonio Lauriola, medico veterinario di ISDE Modena, in apertura del convegno dello scorso 10 ottobre, dedicato al tema dell’etichettatura ambientale della carne. «Quando ad esempio andiamo ad acquistare un’autovettura, veniamo messi al corrente di quanto questa inquini. La stessa cosa andrebbe fatta con gli alimenti e con la carne in particolare».
La salubrità di un cibo non è data unicamente dai suoi valori nutritivi e dalla qualità degli ingredienti riportati in etichetta. Nell’ottica di quella che l’OMS definisce One Health, è necessario ricorrere a un approccio sistemico e integrato quando si parla di salute, perché esiste un legame intrinseco tra la salute degli esseri umani – e non – e quella dell’ambiente. Non si può quindi prescindere dall’impatto su acqua, terra e aria che la produzione degli alimenti può avere e le conseguenze che ciò comporta anche per la nostra salute.
Oggi le etichette contengono una serie di informazioni essenziali. Con il Regolamento UE 1169/2011, in particolare, il legislatore ha riconosciuto al consumatore il diritto fondamentale a un’adeguata informazione attraverso l’etichettatura. «Si tratta di una normativa inclusiva e lungimirante, che tiene conto di specifiche esigenze di salute del consumatore, al di là della qualità e quantità degli ingredienti contenuti», ha spiegato al convengo l’avvocata Daria Scarciglia.
Tuttavia questo tipo di etichettatura non appare più sufficiente. «Manca un’indicazione precisa dell’impatto ambientale della produzione di un tale prodotto, senza la quale l’etichettatura degli alimenti rischia addirittura di essere ingannevole, poiché non tiene conto di un gran numero di fattori in grado di incidere negativamente sulla nostra salute», ha concluso l’avvocata Scarciglia.

L’impatto ambientale in etichetta
Tra tutti gli alimenti proteici, la carne ha senza dubbio l’impronta ecologica più elevata. Gli effetti della produzione e del consumo di carne comprendono l’elevata emissione di gas climalteranti, l’alto fabbisogno idrico, il consumo di suolo e la conseguente perdita di biodiversità. Per non parlare della crescente antimicrobico resistenza dovuta al massivo uso di antibiotici negli allevamenti intensivi – secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, dei 35 mila morti in Europa ogni anno per antimicrobico resistenza, 12.000 sono in Italia – e l’aumento del rischio di spillover ovvero la trasmissione di patologie dagli animali all’essere umano.
L’etichettatura degli alimenti attualmente in mercato non offre alcuna indicazione utile a discriminare la tipologia di allevamento da cui proviene l’animale utilizzato. Oggi non è obbligatorio indicare in etichetta la categoria inquinante dell’allevamento dove è vissuto l’animale, anche se l’Unione Europea classifica gli allevamenti proprio in base al loro impatto ambientale.
Etichettature ambientale: la proposta di ISDE
Per questo motivo – dopo l’approvazione della revisione 2024 alla Direttiva Europea 010/75/UE, che mira a ridurre le emissioni nocive di origine industriale per proteggere l’ambiente e la salute umana – è scaturita la proposta da parte di ISDE di introdurre un’etichetta “a semaforo” che rispecchia cinque classi di allevamento e quindi di impatto ambientale di ciascuno di questi.
L’etichettatura degli alimenti attualmente in mercato non offre alcuna indicazione utile a discriminare la tipologia di allevamento da cui proviene l’animale utilizzato
I criteri scelti riguardano l’inquinamento di aria, terra e acqua e la densità dei capi, ossia il numero di animali che convivono in un ambiente rispetto alla dimensione dell’allevamento e al tempo di confinamento prima di essere macellati. Le etichette ambientali così concepite prevedrebbero cinque colori: verde scuro e verde chiaro per gli allevamenti biologici e non confinati. Mentre per quelli intensivi senza spazi all’aperto, sono tre le categorie di inquinamento: basso (giallo), medio (ocra) e alto (rosso).
«Le etichette ambientali non richiederebbero ulteriori certificazioni agli allevatori, perché sono le stesse categorie già previste dalla normativa europea», aggiunge Eva Rigonat, medico veterinario, membro del comitato scientifico ISDE nazionale e vicepresidente di ISDE Modena. «Mi preme sottolineare che la questione etica e ambientale non viene del tutto risolta con gli allevamenti estensivi. Anche gli allevamenti biologici hanno la propria impronta ecologica. È bene ricordarlo».
Per Rigonat, la percezione della gravità del problema dell’inquinamento dovuto all’industria della carne e agli allevamenti intensivi in particolare, è ancora molto bassa. «Il tema del benessere animale, in relazione alla tipologia di allevamento, parla senza dubbio alla pancia del consumatore. Al contrario i rischi ambientali sono percepiti molto meno, come se quasi non ci toccassero affatto. Ed è proprio lì che bisogna lavorare sulla corretta informazione e la cultura, sebbene richieda molto più tempo. Anche attraverso una maggior trasparenza sulle etichette, intuitiva direi, grazie ai colori scelti in base al fattore di rischio». Solo così potremmo fare un altro piccolo passo verso una maggiore consapevolezza di ciò che finisce nel nostro piatto e del suo impatto.
Informazioni chiave
L’importanza dell’etichettatura
Le etichette dei prodotti alimentari sono molto importanti per sapere come è stato realizzato l’alimento che vogliamo acquistare e sono anche uno strumento economico per esercitare il consumo critico.
La legge
La normativa europea che le regola è realizzata molto bene, anche se manca un aspetto fondamentale: quello della sostenibilità ambientale.
La proposta di ISDE
L’Associazione Medici per l’Ambiente ha elaborato una proposto di etichettatura ambientale che fornisca indicazioni sulla sostenibilità dei prodotti.
Un’idea semplice
Un semaforo indica il grado di sostenibilità, mentre per i produttori non ci sarebbe alcun aggravio perché le informazioni necessarie sono già a disposizione.










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