1 Ottobre 2025 | Tempo lettura: 5 minuti
Ispirazioni / Io faccio così

Futuro (è) Locale: dalla Sardegna centrale un nuovo modello di crescita economica e comunitaria

Futuro (è) Locale è un progetto nato nel nuorese per valorizzare i territori interni. Promuove comunità, economia circolare e opportunità per i giovani, per un futuro sostenibile e condiviso.

Autore: Sara Brughitta
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In un mondo sempre più globalizzato dove le opportunità sembrano concentrate solo nelle grandi città, Futuro (è) Locale – realtà nata nel nuorese – di narrazione ne vuole proporre un’altra. Quella cioè di riscoprire il valore dei territori interni, costruire reti e porre, insieme, i mattoni per un futuro possibile e radicato nel contesto locale. Nato dalla volontà di un gruppo di amici, giovani imprenditori e professionisti, il progetto prende forma attraverso attività diverse: passeggiate esperienziali, eventi enogastronomici, iniziative sportive e culturali. Ogni azione contribuisce a costruire un racconto nuovo in cui i luoghi spesso definiti come “marginali” o “dimenticati” tornano al centro, raccontano come possano potenzialmente essere incubatori di tutto.

La storia di Futuro (è) Locale

Futuro (è) Locale nasce ufficialmente alla fine del 2024 ma è il risultato di anni di dialogo, confronto e di un’urgenza condivisa. «Ci mancava uno spazio per parlare seriamente di lavoro, impresa, passaggio generazionale. E ci siamo detti: perché non crearlo noi?», raccontano i fondatori. Il dialogo è a più voci: le parole sono di Sara Frongia, Francesca Frongia, Francesca Todde, Daniela Zanda, Mario Ladu e Salvatore Frongia; le prospettive, sono plurali e comunitarie.

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Foto di Futuro (è) Locale

L’idea è quella di creare una rete di imprese radicata nel territorio, in modo da offrire alle persone giovani opportunità concrete senza rincorrere modelli esterni, consci che una delle grandi minacce per il futuro di un territorio è costituita dallo spopolamento. Alla base, c’è anche la volontà di liberare l’impresa da certi cliché legati a sfruttamento e individualismo. «Per noi fare impresa è un gesto di resistenza – spiegano – è un modo per costruire futuro dal basso».

Ancora oggi resiste l’idea che le vere opportunità si trovino solo altrove e che i piccoli paesi siano in fondo percepiti come “luoghi di serie B”. Ma dal progetto affermano con convinzione che «anche qui c’è vitalità, ci sono competenze e idee pronte a emergere. Basta valorizzarle per cambiare la qualità della vita e l’umore delle comunità». Affinché questo accada però serve un cambio di prospettiva: «Dove mancano i servizi, si impara a pensare fuori dagli schemi e a collaborare».

Da qui nasce l’idea di fare rete tra imprese: un modo per moltiplicare le possibilità e trasformare il lavoro nei piccoli paesi in una scelta che è al tempo stesso ambiziosa e sostenibile perché «ci sono settori ancora da esplorare, c’è meno concorrenza e la libertà di creare qualcosa che esiste solo qui». Tutto questo cambia anche la percezione collettiva del territorio: «È importante che le persone vedano che le cose succedono anche qui, in tal modo la comunità tutta inizia davvero a immaginare un futuro insieme, passando dal “qui non succede niente” al “qui possiamo far succedere tutto”».

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Foto di Futuro (è) Locale – l’opera in costrizione è di Ledian Agolli

Economia circolare e prossimità

Per il progetto, creare rete e comunità passa anche attraverso l’economia circolare. «Se uno scarto può diventare risorsa per qualcun altro, allora stiamo costruendo un sistema più efficiente, sostenibile e intelligente». Ridurre sprechi, costi e trasporti è importante, ma lo è ancor di più mettere l’ecologia al centro «perché – commentano sempre da Futuro (è) Locale – se compromettiamo l’ambiente, che tipo di futuro possiamo immaginare?».

C’è poi un aspetto altrettanto centrale: quello relazionale. Scegliere prodotti e servizi locali significa investire nella propria comunità. «Non è solo una questione economica, è un gesto che rafforza il tessuto sociale e offre ai giovani reali possibilità per restare». Questa filosofia si traduce, ad esempio, nella creazione di una fiera dei prodotti locali o nella scelta di collaborare con filiere corte già attive in Barbagia, Mandrolisai e Gennargentu.

Ma economia circolare, spiegano, significa anche economia di prossimità. «Se si trovano qualità e valori sotto casa, si sceglie di comprare locale. Non è vero che la gente guarda solo al prezzo. Conta la fiducia, conta sapere dove e come è stato fatto un prodotto». Nei paesi, questo sistema di relazioni esiste da sempre, e oggi più che mai è fondamentale: «Il produttore che rifornisce il supermercato locale fa la spesa lì, perché sa che quei soldi torneranno con l’ordine successivo».

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Foto di Futuro (è) Locale

La Sardegna centrale e la Generazione Z

Guardando alla generazione che guiderà anche il mercato del lavoro, Futuro (è) Locale vede la Sardegna centrale un luogo ideale per costruire un futuro diverso. «Sappiamo che vivere lontano dai grandi centri comporta difficoltà reali: meno servizi, connessione non sempre ottimale. Ma abbiamo anche biodiversità, tradizioni, culture uniche che in un mondo che cerca autenticità e sostenibilità, diventano punti di forza». E se la Gen Z, stanca dei “lavori vuoti”, cerca coerenza tra valori e azione, per Futuro (è) Locale qui può sperimentare senza pressione. «Ci sono costi di vita più bassi che permettono di provare e innovare con meno ansia e meno concorrenza significa più spazio per inventare».

Ma la vera chiave è la comunità: «Non si tratta di trattenere chi vuole partire, ma di creare condizioni perché chi vuole restare o tornare lo possa fare con dignità. Nei piccoli paesi, il successo di uno è il successo di tutti». E questo fa la differenza. In un’epoca poi in cui i confini geografici perdono importanza, il gruppo ribadisce il valore di radicarsi nel proprio territorio. «Non abbiamo soluzioni universali – spiegano – partiamo dalle nostre storie, da chi è rimasto o è tornato, per migliorare ciò che conosciamo».

Il progetto è uno spazio di sperimentazione fatto di prove, errori e ripartenze, senza modelli fissi ma con valori profondi. Andando oltre l’idea che le possibilità abbiano luogo esclusivamente nelle grandi città. «Abbiamo guardato anche altrove, ma proprio questo ci ha fatto mettere tutto in discussione. E se provassimo a fare qui ciò che pensavamo possibile solo altrove? Alla fine non conta dove sei, ma con chi, come ti relazioni e quanto ti riconosci in quello che fai».