Is animeddas e la soglia degli Avi: ritualità genealogiche di mezzo autunno
In Sardegna il rito di is animeddas celebra il ritorno degli avi e il legame tra vita, terra e memoria, unendo l’isola a un antico sentire che attraversa il Mediterraneo e oltre.
Viviamo il momento in cui l’autunno si piega su sé stesso e il mondo trattiene il fiato. Le ombre si allungano, i suoni si fanno ovattati, il giorno cede spazio alla notte senza resistenza. È il tempo in cui gli avi tornano. Essi sono semi che la terra custodisce nel grembo oscuro della terra. In Sardegna, questa soglia è viva. Le case si riempiono di presenze silenziose, la tavola si prepara per coloro che bisogna tenere a memoria e i bambini questuano per le strade in loro suffragio: “A is animeddas!”.
Semi nel ventre della terra
Non è la luce, ma il buio a reggere questo tempo. Il buio fertile, l’umidità che accoglie il seme, la memoria che riposa prima di tornare a fiorire. Gli avi dormono nella terra e da loro dipende il raccolto del mondo. Il gesto di lasciare vivande sulla tavola, di accendere un lume o di spalancare la porta, non è superstizione: è riconoscimento, attesa, continuità. È dire alla terra e a se stessi che nulla va perduto, che ciò che muore non svanisce ma si trasforma.

In questa notte senza luce, gli antenati camminano accanto ai vivi e ascoltano. Si fermano dove una volta c’era il loro posto, guardano le mani dei discendenti che impastano lo stesso pane, pronunciano le stesse parole. Sono semi di memoria, nascosti tra le pieghe della carne e del linguaggio.
Oltre is animeddas, Isole che si parlano nel vento
La Sardegna non è sola nel custodire questo rito di soglia. Dall’altra parte del mare, l’Irlanda celebra Samhain, l’antica festa che segna la fine dell’estate e l’inizio del tempo oscuro. Anche lì si accendevano fuochi, si lasciavano offerte, si credeva che i morti potessero tornare a camminare tra i vivi. Il mondo globalizzato ha fatto suo questo sentire chiamandolo Halloween – contrazione di All Hallows’ Eve – ma sotto le maschere e i dolci sopravvive un’eco profonda: la consapevolezza che la vita è un ciclo e che i confini sono solo passaggi.

Sardegna e Irlanda, lontane e sorelle, parlano la stessa lingua degli elementi. Entrambe conoscono la forza del vento, il peso della pietra, il richiamo dell’acqua. Entrambe sanno che i mondi si incontrano quando la stagione muore e rinasce. Anche nel resto del Mediterraneo si celebra la stessa soglia con nomi diversi. In Sicilia si preparano dolci per “i morti” e i bambini ricevono doni dai loro avi; in Grecia si ricordano i defunti durante i riti di Persefone; in alcune regioni del Nord Africa si offrono pane e datteri alle tombe. Ovunque la terra è madre e tomba, grembo e nutrimento.
Gli avi sono i semi da cui germoglia la continuità: genealogia non solo come catena di sangue, ma come corrente di energia che attraversa le epoche. Quando gli uomini tornano a seminare, ricordano ritualmente che la morte e la nascita sono lo stesso atto. Ogni gesto umano è un modo per restare in relazione con chi è venuto prima.
Terra custode di vita
In un mondo che rimuove la morte e disconosce la terra, questi riti sono baluardi d’architettura del senso. Le ritualità sono doverose ma popolari e istintive nell’atto del ricordo: un piatto lasciato sulla tavola, un bicchiere colmo, un silenzio di doverosa memoria. Sedersi accanto a quel posto vuoto è riconoscere la continuità del respiro. È dire: “Io esisto perché tu sei stato.”. Gli avi non appartengono al passato. Vivono nei nostri atti quotidiani, nel modo in cui facciamo il pane, nel tono della voce che usiamo per chiamare chi amiamo, nella consapevolezza dell’essere comunità e figli della stessa terra. Sono il seme che continua a germogliare dentro di noi, invisibile ma presente.

Quando la stagione chiude il cerchio e la luce lascia spazio alle tenebre, la soglia si richiude lentamente. Ma non è una fine. È il momento in cui la terra diventa ventre, e nel ventre i semi riposano. Gli avi non chiedono semplice culto, chiedono riconoscimento. Essere ricordati non come ombre ma come possibilità, come linfa che continua. Forse è questo il vero significato di ogni rito d’autunno: non invocare ancora una volta la luce, ma imparare a sostare nel buio. Nel silenzio della terra che germina, nella memoria che attende.
Quando il vento tornerà a muovere le foglie e il giorno tornerà a crescere, i semi degli avi saranno già pronti. Invisibili, ma vivi. Una genealogia vive che non è pura archivistica, ma fiume che scorre, energia che si coltiva, si semina, si custodisce. E ogni vita nuova è il modo in cui gli avi continuano a parlare attraverso di noi.










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