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10 Giugno 2025
Podcast

Democrazia inceppata e niente quorum: perché i referendum non parlano più al paese? – 10/6/2025

Quorum lontano, affluenza al minimo e partecipazione in caduta libera: il flop dei referendum riapre la discussione sullo stato di salute della democrazia diretta in Italia.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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Trascrizione episodio

Il quorum sui referendum, alla fine non c’è stato. Nessuno penso che possa dirsi sorpreso da questo risultato. Però ecco, non c’è stato di parecchio. E ci sono tante cose da dire.

Comunque, al solito, partiamo con i freddi numeri. Si votava per cinque referendum abrogativi promossi dalla CGIL, insieme ad altre organizzazioni e sostenuti da PD, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, quindi da quasi tutta l’opposizione. 4 erano sul lavoro, uno sulla cittadinanza. E l’affluenza si è fermata attorno al 30% di affluenza. Una soglia lontanissima da quel 50% più uno che serve per rendere valido un referendum abrogativo. 

Questo è il risultato, nudo e crudo. Facciamo qualche considerazione. Innanzitutto, non è che sia stata proprio una sorpresa. O meglio, forse c’era chi sperava che si raggiungesse qualcosina in più, un 40%. E c’è da dire che probabilmente il dato di affluenza di domenica sera, fermo al 22 e poco più per cento, ha spinto altre persone a non votare, rassegnate al fatto che il quorum era praticamente impossibile. Mentre se alla chiusura delle urne di domenica si fosse – ad esempio – superato il 30% magari si sarebbe generato un volano positivo. 

Al di là di ciò, il risultato è fin troppo netto. E a dire il vero, non credo che qualcuno fosse convinto nemmeno alla vigilia che si potesse raggiungere il quorum. E allora uno può chiedersi: che senso ha? Ha ancora senso organizzare banchetti, raccogliere firme, spendere soldi per fare dei referendum, quando a volte nemmeno alle elezioni politiche ormai si supera il 50%? È una provocazione, ma nemmeno troppo.

Se pensate che i referendum sono spesso spinti da una sola parte politica, con l’altra che invita a non votare. Esiste una fazione politica oggi capace di portare alle urne il 50% + 1 degli aventi diritto? 

Nelle ultime 10 consultazioni referendarie, dal 1997 ad oggi, solo una ha raggiunto il quorum, nel 2011, quella su acqua e nucleare, un voto su cui però aveva influito pesantemente l’incidente nucleare di Fukushima poche settimane prima del voto. Per i lresto altre 9 volte il quorum è stato mancato. Questa volta il risultato è stato particolarmente eclatante, perché mentre ad esempio nel 2016, il referendum contro le trivelle era stato praticamente boicottato da tutti i partiti maggiori, a parte M5S e Lega (ma soprattutto quest’ultima lo aveva sostenuto in maniera ben poco convinta), stavolta Pd, M5S, Avs, sindacati, associazioni, hanno fatto sostenuto apertamente i referendum.

E ciononostante l’affluenza è stata la stessa, anzi leggermente più bassa. Quindi, ecco, forse c’è una riflessione generale sui referendum che dobbiamo fare. E per farle voglio riesumare un vecchio articolo che Repubblica ha ripubblicato, scritto da quella che è stata una delle menti più brillanti del nostro paese, Stefano Rodotà, nel giugno 1990 a commento del referendum sulla caccia (che non raggiunse il quorum), per il quale si votò il 3 giugno di 35 anni fa. Considerate che quella era stata praticamente la prima volta che non si raggiungeva un quorum di un referendum, ma Rodotà già vedeva il futuro. E ripercorreva come lo strumento del referendum, nato per essere espressione popolare su questioni semplici e fondative, stava diventando sempre più uno strumento nelle mani dei partiti:

Scriveva Rodotà, ve ne leggo alcuni passaggi: “C’è, prima di tutto, quello che credo giusto chiamare ormai il «paradosso referendario». Si grida che il referendum è l’unico mezzo per liberarci dall’oppressione dei partiti, per dare voce alla società civile. E poi, quando si tratta di far funzionare concretamente il meccanismo, si invoca proprio l’aiuto dei partiti. […]

È vero, peraltro, che proprio i partiti sono stati tra i maggiori responsabili del logoramento dell’istituto referendario. Non mi riferisco tanto al referendum comunista sulla scala mobile che, bene o male, da una posizione di minoranza cercava di dare ai cittadini l’ultima parola in una vicenda segnata da una larga protesta sociale. La vera svolta si è avuta con il referendum sulla responsabilità dei magistrati, promosso addirittura da partiti della maggioranza. Appare chiaro, in quel momento, che pure il referendum veniva sequestrato dal sistema dei partiti, piegato ad esigenze tutte interne alla logica di questo sistema.

In più, allora si disse chiaramente che, anche in caso di successo dell’iniziativa referendaria, sarebbe stato comunque necessario un intervento del legislatore. Così il referendum veniva ridimensionato, visto soprattutto come uno stimolo per una legge da fare. Come stupirsi, allora, del rifiuto di un voto che si avvertiva come non decisivo, dal momento che l’ultima parola rimaneva alle Camere? Non si può impunemente insistere sulla pura funzione di stimolo di un referendum senza creare un disincentivo per i cittadini. (la funzione di stimolo era la stessa che si invocava anche in questi quesiti sul lavoro).

A tutto questo si sono sommate, questa volta, la presenza di controinteressi forti e ben organizzati e una stanchezza che sembra ormai possedere i cittadini di fronte al ripetersi delle occasioni elettorali. Ma tutto era visibile, prevedibile, scritto nelle cose, non frutto della malvagità altrui. L’ insuccesso referendario, quindi, si presenta anche come il frutto di una analisi politica inadeguata: la stessa che ha spinto alcuni gruppi all’ostruzionismo parlamentare alla legge sulla caccia, nella speranza di un voto popolare che avrebbe fatto crescere la forza negoziale delle forze ambientaliste. Oggi, invece, l’iter parlamentare di una nuova disciplina della caccia e dei pesticidi appare pesantemente ipotecato proprio dall’esito referendario.

Su questo bisogna riflettere, invece di proporre sbrigativamente di cancellare il quorum minimo dei votanti o altri analoghi artifici”. 

Per concludere, poco più avanti: “Ma la democrazia diretta, in tutte le sue forme, ha soprattutto bisogno di un ambiente informativo adeguato. Altrimenti può degradarsi in democrazia delle emozioni o infrangersi contro la passività dei cittadini. Una volta di più, la questione dell’informazione si presenta come decisiva perché un sistema possa davvero esprimere tutte le sue potenzialità democratiche”.

Inutile dire che Rodotà ci vedeva lungo. E aveva capito che i referendum, soprattutto se messi nelle mani dei partiti, che non hanno interesse a informare razionalmente ma anzi tendono a trasformare tutto in una questione bianca o nera, ideologica, irrazionale, sarebbero diventati qualcosa di profondamente antidemocratico. Svuotati di senso. 

Quindi che fare? Spesso si ventila l’ipotesi di abolire i quorum ai referendum, ma come sempre Rodotà scrive nell’articolo, non è che se il termometro indica la febbre dobbiamo cambiare il termometro. Anzi Rodotà ci andava giù più pesante, scrivendo “l’attenzione ossessiva per il solo cambiamento istituzionale (intendendo il cambiamento di come funziona lo strumento) è indice di una voglia di rimozione, del disperato bisogno di un ceto politico di imputare al funzionamento della macchina pure quello che è frutto della sua mediocrità, della rozzezza delle analisi, dell’incapacità di previsione”. 

Insomma, c’è una crisi politica, una crisi democratica che non si risolve semplicemente aggiustando qualcosa, cambiando qualche dettaglio. Serve una revisione profonda del funzionamento della democrazia. Servono modelli di governance diversi, non competitivi. Tecnicamente esistono i sistemi per rendere i referendum più democratici. Ad esempio c’è una roba chiamata revisione civica, che p uno strumento dlela democrazia deliberativa, che serve proprio a favorire un voto informato. Il problema è che un voto informato, in un modello ipercompetitivo come quello attuale, non serve a nessuno. Quindi, ecco, tocca cambiare il sistema democratico.

Vabbé, questo è un punto. Al di là dei massimi sistemi però, devo dire che invece c’è una questione più puramente politica che mi ha colpito molto di questi referendum. Ovvero che se i 4 quesiti sul lavoro, al netto del quorum non raggiunto e dell’affluanza bassa, hanno segnato una vittoria netta del Sì, attorno al 90% per tutti e 4 i quesiti, per quanto riguarda quello sulla cittadinanza – quello per intenderci che proponeva di abbassare da 10 a 5 gli anni di residenza fossa in Italia, con lavoro regolare e senza precedenti penali, per poter richiedere la cittadinanza, allinenado l’Italia alla media europea, il risultato è stato meno netto, e il 35% dei votanti, oltre ⅓, ha votato NO.

È un dato che colpisce perché parliamo di un elettorato  progressista, quello che ha votato ai referendum. Significa che una fetta significativa dell’elettorato diciamo di sinistra, con varie sfumature, è contrario a questa norma. Credo che sia un segnale che non possiamo ignorare. Non so che lettura dare a questo voto. Ma di sicuro è un dato che non va ignorato. Il tema immigrazione è un tema che smuove le masse, un po’ in tutto il mondo. E se è evidente che le risposte populiste e xenofobe dei vari Trump o Salvini di turno sono dei puri strumenti demagogici, dei modi per cavalcare il problema a fini elettorali, è altrettanto chiaro che le modalità con cui la sinistra, perlomeno la sinistra di governo ha affrontato il tema, in maniera poco pragmatica, probabilmente un po’ ipocrita e senza mai puntare a una integrazione reale, non abbia funzionato o perlomeno non abbia convinto le persone. 

Si è votato anche a Taranto e Matera, per il ballottaggio delle amministrative. A Taranto sono state elezioni particolari, come sempre all’ombra dell’ex Ilva, ma questa volta per di più che arrivavano alla fine di una vicenda politica complicata, con l’ex sindaco Rinaldo Melucci che era è stato sfiduciato dalla sua giunta per la seconda volta in 4 anni.

Alla fine ha vinto Piero Bitetti, candidato di centrosinistra, con circa il 55% dei voti. Per capire e interpretare meglio queste elezioni ho chiesto aiuto a Rosy Battaglia, collega giornalista autrice di numerose inchieste su Taranto e sull’ex Ilva, e autrice del recentissimo documentario “Taranto chiama”, che sarà presentato proprio oggi al Festival Cinemambiente di Torino. A Rosy Battaglia ho chiesto come sono arrivati i taranrini a queste elezioni e cosa possiamo aspettarci adesso.

Audio disponibile nel video / podcast

Grazie Rosy, fra l’altro visto che documentari come questo spesso girano al di fuori dai circuiti ufficiali, è importante organizzare proiezioni dal basso. 

Si è votato anche a Matera. Qui ha vinto, di poco, il candidato di centrodestra. Ma a colpirmi qui è stato un altro aspetto. Ve o leggo da un articolo del Post. “In un fine settimana di metà maggio in via Ridola, a Matera, diverse persone hanno fatto la fila per avvicinarsi a turno a un aggeggio rotondo color ocra appeso a metà di un palo di metallo. La scena era piuttosto bizzarra e infatti ha attirato altre persone, che a loro volta si sono messe in fila davanti al cartello colorato. Stavano tutte registrando un messaggio vocale per il futuro sindaco di Matera, dove il 25 e il 26 maggio si è tenuto il primo turno delle elezioni comunali. L’aggeggio si chiama ChitChat ed è un registratore di messaggi vocali, una specie di citofono pubblico: l’ha progettato lo Studio Antani, che si occupa di comunicazione e progetti creativi.

A Matera il ChitChat era già stato sperimentato un anno fa, ma quest’anno l’obiettivo era cercare di capire quali fossero i temi più urgenti per gli abitanti di Matera della città. I risultati dell’analisi dei messaggi vocali sono appena stati pubblicati: sono contenuti brevi e semplici, che naturalmente non hanno una valenza statistica. Permettono comunque di farsi un’idea a grandi linee di cosa pensano materani e materane […].

In totale sono stati registrati 671 messaggi, il 66 per cento dei quali è stato analizzato (sono state escluse le offese, gli scherzi dei bambini e i messaggi di prova). Le questioni di cui i materani hanno parlato di più sono le strade, i servizi urbani, il turismo, la cultura e i giovani: sono le stesse di cui si è parlato durante la campagna elettorale, anche dopo il risultato del primo turno. La richiesta più frequente riguarda la manutenzione delle strade e dei parchi, ma anche più eventi e iniziative per contrastare lo spopolamento dei Sassi (i due quartieri centrali della città che l’hanno resa famosa in tutto il mondo) e misure per gestire meglio il turismo, cresciuto moltissimo dall’anno in cui Matera fu capitale europea della cultura (2019) ma ancora poco governato.

Non so se è dipeso da questo strumento di ascolto della popolazione, e quindi dal fatto che i due politici che so sono contesi la poltrona di sindaco abbiano porìtuto capire bene le esigenze della cittadinanza, ma sono rimasto sorpreso dal vedere come i due candidati avessero programmi elettorali non dico identici, ma molto molto simili.

Allora, ci sono tante altre notizie che andrebbero date. Ieri notte la barca ella Freedom Flotilla, con a bordo 12 attiviste/i fra cui anche Greta Thunberg, che era partita da Catania il primo giugno con a bordo un carico umanitario destinato a Gaza è stata assalita dall’esercito israeliano in acque internazionali e le persone a bordo sono state arrestate immediatamente. 

Negli Usa le proteste anti Trump si stanno espandendo e c’è una battaglia politica in corso fra il Presidente e il governatore della California Gavin Newsome.

In Italia è venuto fuori che il governo e il parlamento avrebbero potuto chiedere all’azienda israeliana Paragon, produttrice dello spyware Graphite, se il suo sistema fosse stato utilizzato per intercettare il giornalista Francesco Cancellato, e da chi, in violazione della legge italiana e dei termini contrattuali. Ma non lo ha fatto.

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