28 Ott 2020

Marco Cappato: “Questa iniziativa può fermare i cambiamenti climatici”

Il problema dei cambiamenti climatici è ormai di dominio di una buona parte della popolazione, grazie anche a movimenti come Fridays for Future ed Extinction Rebellion. Tuttavia l'azione politica per contrastare il fenomeno ancora fatica a farsi strada. Per questo l'Iniziativa dei Cittadini Europei StopGlobalWarming.eu, che propone di introdurre un nuovo e più efficacie sistema di tassazione delle emissioni in Europa, è particolarmente interessante. Ce la siamo fatta raccontare da Marco Cappato, uno dei suoi principali promotori.

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Incontro Marco Cappato in un pomeriggio piovoso a pochi passi da Piazza Barberini, nella sede romana dell’Associazione Luca Coscioni di cui è attualmente tesoriere. In Italia il suo nome è quasi sempre associato alle battaglie per i diritti civili, in particolare sul tema dell’eutanasia legale e delle decisioni di fine vita (dal caso di Davide Trentini a quello di Dj Fabo), tuttavia non sarà questo il tema della conversazione.

Il nostro incontro ha a che fare con un problema diverso, che mette a repentaglio non solo le vite di tanti individui ma la sopravvivenza stessa della nostra specie. Parliamo dei cambiamenti climatici, probabilmente la sfida più difficile che il genere umano si sia mai trovato ad affrontare. Marco Cappato è infatti promotore dell’Iniziativa dei Cittadini Europei StopGlobalWarming, per tassare in maniera sistematica tutte le emissioni di CO2.

Prima di tuffarci nell’intervista, una questione importante. L’articolo è piuttosto lungo, e sebbene io abbia una fiducia incrollabile nella soglia dell’attenzione dei nostri lettori, meglio non rischiare. Per cui se avete solo cinque minuti di tempo a disposizione e vi fidate meglio impiegarli per firmare l’iniziativa qui. L’articolo lo salvate fra i preferiti e lo leggete quando vi capita. Se invece avete tempo per entrambe le cose, che dire, mi fate un giornalista felice. Prometto che troverete il link per firmare anche in fondo.

Cappato Europarlamento
Marco Cappato

La situazione in Europa

Attualmente esiste già in Europa un sistema di regolazione delle emissioni di CO2. È chiamato Emission trading scheme (Eu Ets) e funziona all’incirca così: viene fissato un tetto alla quantità totale di alcuni gas serra che possono essere emesse dalle aziende dei vari paesi Ue, tetto che si riduce nel tempo di modo che le emissioni totali diminuiscano; entro questo limite, le imprese ricevono, acquistano o scambiano quote di emissione. Si tratta del primo e del più grande grande sistema di scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra al mondo. Tuttavia è un sistema pieno di lacune.

«Un primo problema – mi spiega Marco – è che copre solo alcuni settori, come la produzione di energia elettrica e di calore, i grandi comparti industriali come le raffinerie di petrolio, le acciaierie e gli impianti per la produzione di vari metalli e materiali, l’aviazione civile. Ma quasi tutto il resto delle emissioni ne rimane escluso». Ed è una fetta bella grossa a non essere conteggiata, basti pensare ai trasporti su gomma, all’agricoltura, agli allevamenti. «Ci sono settori che sono esentati come quello degli allevamenti intensivi, che addirittura rientrano nell’ambito della Politica agricola comune, che sono responsabili di enormi fette di emissioni».

Un secondo problema è invece il prezzo delle emissioni. «Al momento il costo di una tonnellata di CO2 emessa è decisamente troppo basso, non sufficiente per rappresentare un serio incentivo a ridurre le emissioni». Parliamo di un costo che si aggira attorno ai 25€ a tonnellata e che viene fissato dal mercato in base ai meccanismi di domanda/offerta. Non esiste quindi un prezzo minimo.

La proposta di StopGlobalWarming.eu

Veniamo quindi alla proposta di StopGlobalWarming.eu per rimediare a questa situazione. «Quello che proponiamo è abbastanza semplice – mi spiega Cappato -. Sono sostanzialmente due misure. La prima, estendere la “tassazione” delle emissioni a tutti i comparti di produzione e consumo europei; la seconda, introdurre un prezzo minimo per le emissioni di CO2 su standard più alti dei prezzi attuali, a partire da almeno da 50€ per tonnellata per arrivare a 100».

In che senso di produzione e consumo?

«Nel senso che sarebbero tassati sia i meccanismi di produzione che quelli di consumo. Ci sono attività sulle quali va operata una tassazione alla fonte, a partire dall’estrazione del materiale, altri sulle quali si può misurare più direttamente le emissioni di CO2 a livello di consumo. Questo rappresenta un bel problema tecnico che però è risolvibile sulla base di una volontà politica».

E per le merci importate dai paesi extra Ue?

«In quel caso proponiamo di istituire una tassa di importazione alla frontiera dell’Unione Europea, il cosiddetto Tax border adjustment, che consenta di ridurre il fenomeno dell’esternalizzazione della produzione fuori Europa in paesi che non applicano una tassazione ambientale. Al contrario, questo meccanismo dovrebbe portare  a promuovere uno standard mondiale e spingere anche i paesi extra Ue a legiferare in materia di emissioni in modo da non dovere pagare le tasse in Europa».

Per non rischiare che questi nuovi costi vadano a pesare sulle fasce più fragili della popolazione, la proposta di StopGlobalWarming.eu ha una visione chiara anche sull’utilizzo da fare delle risorse economiche raccolte grazie al nuovo sistema di tassazione: «Un utilizzo destinato ad interventi sociali per la riduzione delle imposte sui redditi più bassi in modo che non ci sia un aumento complessivo del carico fiscale, e una serie di esenzioni mirate a per quanto riguarda risparmio energetico e utilizzo di fonti rinnovabili. In questo modo si può creare un circolo virtuoso fra innovazione e risparmio su questo tipo di nuova tassazione».

Così facendo le tasse sul consumo non andrebbero a sommarsi a quelle sul lavoro nei redditi più bassi, ma si sostituirebbero – in buona parte – ad esse, andando fra l’altro a premiare economicamente i comportamenti virtuosi.

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Una questione di democrazia

Marco Cappato è stato parlamentare europeo per ben due mandati, e la proposta gode del supporto di personaggi dello spettacolo e premi Nobel. Tuttavia per portarla avanti si è scelto uno strumento particolare, poco conosciuto ai più: l’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE), l’unico strumento di partecipazione democratica diretta prevista dell’Unione europea.

Grazie all’ICE, se un milione di cittadini (firmatari) in almeno 7 paesi membri propone un’iniziativa legislativa su un tema, la Commissione europea è obbligata a discutere la proposta e a dare un parere motivato, procedendo all’attivazione del percorso legislativo oppure spiegando per quale motivo non intende avviarlo.

Come mai questa scelta così particolare?

«Anche se il momento, stando alle nostre valutazioni, è particolarmente favorevole visti il Green deal e Next Generation Eu, resta il tema di fondo che la democrazia elettorale è sempre più risucchiata dalla raccolta del consenso a breve termine. In particolare con organizzazioni e partiti politici sempre meno radicati e presenti sul territorio il consenso elettorale a breve si traduce in marketing televisivo e slogan emozionali sui social.

Anche quando il tema dei cambiamenti climatici entra in questo tipo di dibattito, molto difficilmente lo fa in maniera strutturata e propositiva. Quasi mai si parla di soluzioni, di come vogliamo aggiustare la situazioni da qui a cinque, dieci, vent’anni. C’è una incapacità strutturale della democrazia elettorale di mettere queste questioni al centro del dibattito politico elettorale.

Ecco perché noi abbiamo scelto di prendere questa proposta – che in realtà è già sul tavolo da tempo, a partire da Bill Nordhaus, all’appello dei ventisette premi Nobel – e di metterla nelle mani dei cittadini europei. Visto che la politica istituzionale si sta rivelando incapace di tradurre questa soluzione in proposta politica, a questo punto la risorsa che può cambiare i rapporti di forza in campo è proprio la mobilitazione dei cittadini».

Pensi che sia sufficiente a “risvegliare” la democrazia?

«La questione democratica è complessa, e in tanti territori e paesi la si sta portando avanti in modi diversi. Ad esempio stanno trovando molto spazio le forme di democrazia deliberativa come le assemblee di cittadini estratti a sorte, che stiamo provando a avviare anche in Italia, abbiamo depositato una proposta di legge iniziativa popolare su questo. In ogni caso è fondamentale creare delle occasioni che si sottraggano alla logica del consenso immediato per riflettere su soluzioni e proposte.

Ti faccio un esempio: le decine di milioni di ragazzi che vanno in piazza a manifestare contro i cambiamenti climatici e per il pianeta spesso non hanno un bagaglio di esperienza per trasformare la loro richiesta in politica istituzionale e se vedono che la politica istituzionale non è in grado di farlo se ne allontanano ancor di più. Paradossalmente abbiamo le piazze piene ma nessuna soluzione politica discussa. C’è il rischio di un popolo senza politica e di una politica che discute senza popolo, o troppo lontana dal coinvolgimento della popolazione».

Oltre la consapevolezza individuale

Scavando un po’ più a fondo, finiamo per toccare un tema particolarmente interessante: la necessità di trasformare la crescente consapevolezza del problema in azione politica ed economica.

«Ormai oggi abbiamo movimenti popolari, star di hollywood milioni di dati e migliaia di studi, intere testate giornalistiche che dedicano supplementi al tema dei cambiamenti climatici, saggi, libri di testo e romanzi. Se la battaglia fosse solo culturale, di far capire alle persone l’entità del problema, potremmo dire di averla già vinta. Ma la battaglia è anche, soprattutto, quella di risolvere il problema, e questa è l’enorme carenza adesso.

Ecco, noi qui abbiamo una proposta che cerca di colmare questa lacuna, una proposta pratica, usare l’economia per l’ecologia, usare il meccanismo dei prezzi per ridurre i cambiamenti climatici. Perché senza strumenti del genere, fattivi, c’è l’alto rischio che questa crescita di consapevolezza si traduca nell’illusione che il proprio comportamento individuale sia sufficiente a risolvere il problema. Che basti andare in bicicletta, abbassare il riscaldamento, non mangiare carne, chiudere l’acqua quando ci laviamo i denti, riciclare i rifiuti».

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Cambiamento culturale e azione politico-economica però non sono in contraddizione…

«Certo che no, tutte queste cose vanno benissimo e significano un enorme cambiamento nell’impatto ambientale e dei consumi, ma non sono sufficienti. Necessitano di tempi lunghi e in più quasi sempre riguardano le nuove generazioni, mentre le persone più anziane sono restie a cambiare abitudini. Ti dirò di più, non solo la consapevolezza non basta, ma la consapevolezza senza la politica rischia di distorcere la percezione della reale capacità che abbiamo di fornire delle soluzioni.

Ormai sappiamo che ci sono due fattori che hanno influito più degli altri sulla crescita delle emissioni di CO2, la crescita demografica e la crescita economica. Se non si rende la transizione energetica conveniente dal punto di vista economico l’aspetto culturale non riesce a fare la differenza.

Quindi per congiungere la consapevolezza culturale con l’azione politica il nesso economico è fondamentale, e non riguarda solo la CO2, riguarda i rifiuti, l’economia circolare. Quanto costa usare un materiale nuovo rispetto a uno riciclato? Quanto costa disperdere i rifiuti nell’ambiente invece di finalizzarli alla produzione di altri materiali? Finché la risposta sarà “di meno”, continueremo ad avere il problema».

Prossimi passi

Bene, se siete arrivati fin qui, è il momento di fare qualcosa. Essendo una raccolta firme ufficiale è necessario fornire il proprio numero di documenti, ma nessun dato personale viene salvato.

«Per la fase di raccolta firme c’è tempo fino al 21 gennaio, quindi siamo ancora molto indietro perché siamo a poco più di 40mila firme. Ovviamente, se anche non dovesse passare l’ICE, noi continueremo a sollecitare i decisori politici sulla proposta.

La nostra speranza è comunque di raggiungere la soglia minima di un milione di firme. Per farlo è importante, ad esempio, che si attivino i comuni. In molti, da Dublino, a Palermo, a Parma hanno già aderito e possono essere importanti nell’informare i cittadini su questo servizio pubblico. Ad esempio possono “embeddare” la raccolta firme sui propri siti istituzionali».

Sembra facile.

«Lo è. È un po’ paradossale che col coronavirus ci siano un sacco di decisioni pubbliche per favorire lo smartworking, la telemedicina, i servizi a distanza e non ci sia niente per la democrazia, come se fosse l’unica attività che nessuno ha interesse a tutelare. Questo mi sembra pericoloso perché durante una pandemia di fatto non si possono raccogliere firme per strada, non si possono fare campagne di movimentazione. Qui o ci attiviamo su un tema su cui ci giochiamo il nostro futuro come i cambiamenti climatici, oppure la democrazia diventerà qualcosa di inservibile».

Per aderire alla Iniziativa dei Cittadini Europei StopGlobalWarming.eu clicca QUI.

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