19 Gen 2021

Silvia Merlo, la cuoca di montagna che fa riscoprire i piatti della tradizione occitana

Scritto da: Lorena Di Maria

A Oulx, un piccolo e incantevole paese delle Alpi piemontesi, vive Silvia Merlo, la cuoca che, nel suo altrettanto piccolo ristorante di montagna, accoglie i suoi ospiti come fossero vecchi amici. Qui si possono riscoprire le vecchie ricette della cultura delle valli occitane e il gusto inconfondibile dei cibi tradizionali che si stanno ormai perdendo e che raccontano un territorio.

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Torino - Quando conosci Silvia e metti piede nel suo piccolo ristorante a Oulx, in Val di Susa, ti senti tra amici, proprio perché, chiunque varchi la soglia del suo locale, non è più uno sconosciuto. Da questo presupposto, sette anni fa, Silvia Merlo ha dato vita a La table dlouz amis, una piccola cucina che sorge a Oulx, nella splendida cornice della Val di Susa, tra aria fresca e montagne innevate.

Un progetto che nasce per riscoprire i vecchi sapori, per recuperare le tradizioni legate ai piatti di una volta e che si stanno sempre più perdendo. Alla Table dlouz amis il tempo si è cristallizzato: qui Silvia riporta al presente antichi cereali e farine autentiche, stupendo ogni volta coloro che qui giungono per gustare le sue delizie.

«Il mio ristorante si basa sulla vera qualità degli ingredienti: desidero che i miei clienti qui possano mangiare i prodotti sani e naturali che mangio anche io, e che ho scoperto in questi anni. Per questo la cucina deve essere prima di tutto salute e conoscenza».

Silvia custodisce da sempre la passione per l’alimentazione, ora come quando aveva cinque anni, e si dilettava a sperimentare e “pacioccare” in cucina. Dopo aver frequentato l’istituto alberghiero ha lavorato nel settore della ristorazione per anni e nel 2009 ha finalmente dato vita al suo progetto “Il Folletto dei Fornelli”, che organizzava corsi di cucina per i giovani nelle scuole. «La cucina non deve essere solo estetica, deve essere innanzitutto ricerca delle materie prime. Per questo ho sempre voluto insegnare ai bambini e ai ragazzi quanto è importante sporcarsi le mani, toccare gli alimenti, imparare a riconoscere forme, gusti e sapori».

Poi, nel 2014, Silvia avvia il suo progetto: la Table dlouz amis. «Ho creato questo posto per farlo diventare una piccola scuola di cucina e di animazione territoriale. Non avevo previsto, inizialmente, un progetto di ristorazione. Però in breve tempo, con il passaparola, le persone hanno iniziato ad interessarsi sempre più alla cucina del territorio, e così ho dato vita una volta per tutte alla mia attività».

Silvia compra solo da produttori locali, che negli anni sono diventati amici e persone fidate. All’interno del locale non esistono freezer perché tutti i cibi devono essere rigorosamente freschi e naturali. Così l’educazione alimentare, che prima Silvia insegnava attraverso i corsi di cucina, ora la fa scoprire attraverso i suoi piatti.

Una delle caratteristiche del locale è il “menù raccontato” che ogni giorno cambia. Silvia si preoccupa tutte le volte di descrivere a voce gli ingredienti dei suoi piatti, raccontando la provenienza, chi sono i produttori locali, la filiera di un particolare alimento e le sue proprietà. «Dai cereali tipici alle farine macinate a pietra, voglio trasmettere la storia del mio territorio. Nella ristorazione molte persone non sanno realmente cosa andranno a mangiare e per questo è importante diventare parte di un continuo “trasferimento di conoscenza”.

In questi anni Silvia si è avvicinata alle vecchie tradizioni e alle ricette della valle, che ripropone nella sua cucina, dove c’è una continua riscoperta dei piatti della cultura occitana. Dalle tradizionali zuppe ai piatti più caratteristici come le cajette o le ghinefle, che ancora in pochi conoscono ma che fanno parte di un ampio bagaglio della storia piemontese che non può andar persa.

Come ci racconta, «attualmente c’è una continua ricerca del nuovo in cucina, ma ci dobbiamo rendere conto che per guardare avanti dobbiamo avere sempre uno sguardo indietro. Mai come adesso è importante recuperare determinate tradizioni e ingredienti di una volta» come testimoniano i piatti poveri che prepara con segale, avena, farro, monococco e altri cereali, o ancora con le erbe spontanee che la terra ci regala o con il formaggio degli alpeggi.

«Dare vita a una cucina che riscopra la storia di un territorio, per me, significa capire innanzitutto cos’è una cucina sana. Non voglio che le persone escano dal mio locale avendo semplicemente gustato un buon piatto, vorrei trasmettere loro molto di più. E vedo che sto raggiungendo il mio obiettivo quando, prima di uscire, mi domandano da che produttore ho acquistato un alimento o come lo cucino. Per me questo fa la differenza».

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