29 Set 2023

Viaggio nell’Africa che cambia, passando anche per il virtuoso Senegal

L'Africa sta cambiando. È un cambiamento di cui si vedono appena i primi germogli, ma alcune interessanti novità – dal rifiuto delle ingerenze occidentali nella politica interna ai flussi migratori di rientro, fino al caso virtuoso del Senegal – testimoniano come il continente si stia preparando a riscattarsi, emanciparsi e voltare pagina. Il mondo occidentale come reagirà?

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Ex Africa semper aliquid novi – “dall’Africa c’è sempre qualche cosa di nuovo”, diceva Plinio il Vecchio. Innumerevoli le sue citazioni nella storia recente di questo continente potente e controverso – in ultimo papa Bergoglio in occasione di un vertice in Vaticano con delegati non governativi. E sempre il papa, dal pulpito di Kinshasa nel corso di un atteso viaggio apostolico, ha tuonato contro i potentati occidentali che affliggono tuttora le aspirazioni di sviluppo del continente con le loro avvolgenti strategie neocoloniali.

Mai come oggi le parole del filosofo latino paiono più attuali: la giovane Africa è in cerca di riscatto, di affermazione di una identità propria, di una emancipazione definitiva dal paternalistico tutoraggio occidentale. La percezione americana e – genericamente – occidentale dell’Africa come una non meglio definita e omogenea zona problematica non rende giustizia alla diversità e alle caleidoscopiche sfaccettature regionali che caratterizzano il continente e nuove e complesse dinamiche stanno accompagnando una transizione che, seguendo l’inarrestabile onda demografica, presenterà al mondo nei prossimi decenni una galassia di Paesi che reclameranno un ruolo di rilevanza nelle vicende globali.

africa
UN’AFRICA CHE CAMBIA

Le prime avvisaglie di cambiamento sono sotto i nostri occhi. Mali, Burkina Faso e Niger hanno assistito a colpi di stato rapidi e decisi – non certo una novità nella storia politica e militare africana – ma inediti nei loro presupposti: l’Occidente non è ospite gradito. Non è un caso che l’area di pertinenza francese dimostri la maggiore insofferenza: la politica coloniale transalpina – la costituzione della cosiddetta Françafrique – ha sempre puntato a un rapporto intenso e pervicace, quasi morboso, fra la metropoli e i territori coloniali, a un indiscreto accanimento nell’imposizione di mentalità, concetti e strutture sociali e politiche che mal si accompagnavano alle peculiarità africane.

Scelte strategiche estremamente infelici e un’altezzosa superbia hanno colmato la misura, spingendo diversi paesi a cedere alle lusinghe di più pragmatici e – almeno nell’aspetto – amichevoli attori internazionali. Non è un segreto che la Federazione russa, per mano di milizie private, abbia avuto un ruolo di primo piano nei moti sovversivi, così come sappiamo che la Cina attua da anni fortissimi investimenti finalizzati a sfruttamento delle risorse naturali, ma anche alla creazione di infrastrutture di base sul territorio.

L’abbandono delle attitudini neocoloniali e dello sfruttamento unilaterale delle risorse regionali deve diventare una priorità dell’agenda dei paesi occidentali

L’ESEMPIO VIRTUOSO DEL SENEGAL

Nel mutevole firmamento della politica africana è interessante volgere l’attenzione al Senegal, una paese dalla sorprendente stabilità politica e dalla virtuosa partecipazione popolare alla vita democratica. Destinazione di forti investimenti esteri ed economia emergente dell’Africa subsahariana, il Senegal ha esibito confortanti parametri di crescita economica negli ultimi anni, investendo nell’industrializzazione e nelle infrastrutture e catalizzando l’interesse di molti investitori internazionali. Il pacifico avvicendamento del precedente presidente Abdoulaye Wade con l’attuale reggente Macky Sall – avvenuto con regolari e partecipate elezioni democratiche nel 2012 – faceva presupporre un ulteriore consolidamento della stabilità politica del paese, sostenuto anche da una impetuosa crescita economica.

Diversi fattori hanno però fatto recentemente vacillare questa ideale condizione: la crisi economica globale – l’inflazione si abbatte con maggiore effetto sui paesi con una economia ancor acerba come quella africana –, l’atteggiamento attivamente ostile del presidente nei confronti di membri e partiti dell’opposizione e, non ultima, la sempre presente ingerenza occidentale nello sfruttamento delle risorse locali – la crisi della pesca sporca non poco la coscienza di società cinesi e spagnole, in continua violazione dei limiti territoriali imposti dall’Accordo sottoscritto fra le parti nel 1979 e periodicamente rimodulato –, hanno gettato in subbuglio il paese costiero.

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Il Presidente del Senegal Macky Sall (Foto di Tobias SCHWARZ/AFP)

Formale oggetto di proteste, a tratti anche violente, è stata anche l’incarcerazione del leader dell’opposizione Ousmane Sonko, strumentalmente accusato di diversi reati e reso dunque incandidabile in vista delle prossime elezioni previste per il febbraio del 2024. Ad alimentare ulteriormente la disapprovazione della popolazione, il tentativo di Macky Sall, attraverso uno stratagemma, di rinnovare la propria candidatura alla presidenza, eludendo il limite di due mandati sancito dalla Costituzione senegalese. La recentissima e autonoma rinuncia dello stesso presidente uscente a questa violazione ha tuttavia alleggerito le tensioni, confermando come una coscienza civile e politica animi anche le fazioni più licenziose dello scenario senegalese.

QUALE FUTURO PER L’AFRICA?

La situazione rimane in divenire, ma l’osservazione di questo caso aiuta a percepire la potenza istintiva della voglia di cambiamento che anima le popolazioni africane. Spesso il destino dei giovani africani è percepito come inesorabilmente ostile e lasciare il proprio paese diventa l’unica occasione di affrancamento; negli ultimi anni c’è una piccola – statisticamente insignificante, ma simbolicamente affascinante – tendenza all’inversione del flusso, con diversi migranti che rientrano in patria nell’ambito di programmi internazionali di reinserimento professionale.

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In Senegal molti imprenditori locali partecipano e collaborano al riscatto personale ed esistenziale dei profughi di rientro, con l’ambizioso ideale di rilanciare, attraverso questo programma, l’economia locale, rendendo il proprio paese una reale alternativa di affermazione. Tutto si incanala dunque in una logica di asserzione di una identità continentale – nel rispetto delle peculiarità regionali – di una legittima pretesa di considerazione, di una ridefinizione dei rapporti di equilibrio.

L’Africa oggi è tutto questo, la strada sembra tracciata e il cambiamento è davvero alle porte. L’Europa – destinata a una posizione sempre più marginale dal punto di vista demografico – sarà in grado di accoglierlo e assecondarlo? L’abbandono delle attitudini neocoloniali e dello sfruttamento unilaterale delle risorse regionali deve diventare una priorità dell’agenda dei paesi occidentali. Diversi paesi africani stanno sviluppando una nuova coscienza e i risultati – dalle leggi di protezione forestale del Gabon alla favorevole rinegoziazione degli accordi di estrazione diamantifera del Botswana – sono un positivo calcio di inizio del cambiamento definitivo.

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