21 Feb 2024

Auschwitz e Gaza: che cos’è l’essere umano?

"Homo homini lupus", sosteneva Plauto due millenni e mezzo fa. Ma è davvero così? Mario Bonfanti di Spiritualità del Creato ci propone una visione alternativa delle relazioni fra esseri umani che si discosta dall'antropocentrismo. Tale visione trova ampio riscontro nel pensiero umano, dalla spiritualità buddista alle riflessioni di Albert Einstein, fino alla bibbia cristiana.

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Abbiamo da poco commemorato la Giornata della Memoria, ad annuale ricordo di tutte le vittime della Shoah. E da diversi mesi ci troviamo di fronte a un massacro di civili nella striscia di Gaza che ci lascia inorriditi. Sicuramente i due fatti sono storicamente distanti e diversi tra loro; non equiparabili, sia per quanto concerne le rispettive cause sia per la loro portata. Nello stesso tempo credo che entrambi questi orrori sollevino in noi interrogativi antropologici ed esistenziali radicali, che non possiamo eludere schierandoci semplicemente da una parte o dall’altra o dichiarandoci neutrali: che cos’è l’uomo? Qual è la sua natura? La violenza è endemica e inevitabile? 

Un antico adagio latino – risalente al commediografo Plauto, vissuto nel III sec. a. C. – recitava “homo homini lupus” per dire che, senza leggi, ciascun essere umano agirebbe solo per soddisfare i propri impulsi a scapito di qualsiasi altro essere. Una simile concezione venne ripresa nell’adagio medievale che recita: “Mors tua, vita mea”.

Gaza

Anche la cosiddetta “dottrina del peccato originale” cristiana contiene lo stesso pessimismo di fondo: l’umanità è radicalmente malvagia e corrotta e, quindi, deve essere redenta. Occorre sia un processo di espiazione – però mai ultimato, perché l’essere umano non riesce a eradicare da sé la propria natura corrotta – sia un intervento divino di salvezza – la Grazia/l’incarnazione/i sacramenti – che purifichi dall’esterno la natura umana alla radice.

La proposta della Spiritualità del Creato di Matthew Fox invece va in una direzione completamente differente: decentrando il focus dell’attenzione dall’essere umano al cosmo, ci invita a ridimensionare il nostro antropocentrismo, che pone l’uomo sempre al centro dell’attenzione – come causa e rimedio – e al di sopra di ogni altro essere vivente – come  vertice dell’evoluzione – per allargare la nostra comprensione dei fenomeni, anche antropici, dentro un’ottica cosmica in cui l’uomo è parte di una fitta rete di interconnessioni che lo attraversano e trascendono insieme. In questa dimensione la domanda radicale non è “qual è la natura dell’uomo?” ma “qual è la tessitura del cosmo?”. 

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Scrive Matthew Fox: “Una spiritualità che mette al centro il creato è una spiritualità cosmica. È aperta, è in ricerca ed esplora l’universo sia all’interno degli esseri umani e di tutte le creature, sia all’esterno, negli spazi che uniscono le creature tra di loro. Più un individuo sprofonda nell’esistenza cosmica più comprende la verità secondo cui non esistono un universo interno e un universo esterno, ma esiste un solo universo: noi siamo nell’universo e l’universo è in noi” (Matthew Fox, In principio era la gioia, Fazi Editore, Roma 2011).

A partire da questo sguardo ogni dualismo crolla, ogni separazione rivela la sua infondatezza, ogni divisione e opposizione risultano illusorie. Come scrisse Einstein, “l’essere umano è una parte di quel tutto che noi chiamiamo Universo, una parte limitata nello spazio e nel tempo. L’uomo sperimenta sé stesso, i suoi pensieri e i suoi sentimenti scissi dal resto, una sorta di illusione ottica della propria coscienza” (Da una lettera a Robert S. Marcus, 12 febbraio 1950).

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E Matthew Fox commenta: “Einstein ci offre un modo migliore di vedere il cosmo e il nostro luogo (spazio) in esso. È un modo interconnettivo che ci porta a una consapevolezza olistica e a un pensiero organico, attraverso i quali l’universo è concepito come un processo armonico fondamentalmente interconnesso” (Matthew Fox, Compassione. Spiritualità e giustizia sociale, Editrice Claudiana, Torino 2014). E, dopo aver citato anche il fisico Fritjof Capra, conclude affermando che “la relazionalità è la legge fondamentale di tutta la materia” (M. Fox, ibidem).

È la stessa visione proposta del monaco buddista zen Thich Nhat Hanh con il suo concetto di inter-essere: “Circa trent’anni fa cercavo una parola inglese per descrivere la nostra profonda interconnessione con tutto il resto. Mi piaceva la parola togetherness – coesione, unità, intimità –, ma alla fine mi è venuta in mente interbeing, inter-essere. Inter-essere riflette la realtà in maniera più accurata. Perché noi inter-siamo gli uni con gli altri e con qualsiasi forma di vita”.

Una spiritualità che mette al centro il creato è una spiritualità cosmica

Nello stesso libro Thich Nhat Hanh aggiunge che “la prima visione errata da cui dobbiamo liberarci è l’idea che ognuno sia un sé distinto, tagliato fuori da tutto il resto del mondo (…) Finchè manterremo questa visione errata, continueremo a soffrire e creeremo sofferenza” (Thich Nhat Hanhm, I sette passi verso l’armonia, Garzanti, Milano 2023).

Tutti questi autori concordano, insieme anche a diversi mistici e mistiche di svariate tradizioni spirituali, che la tessitura del reale è l’interconnessione. Non esiste un tu e un io. Non esiste uomo e dio/dea. Non esiste presente e futuro. “Non esiste più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna”, scriveva Paolo nella Lettera ai Galati (3,28). Questa è trama cosmica su cui tessere la nostra vita. Tutto il resto non fa altro che generare sofferenza, inimicizia e guerra.

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