Ecofemminismo e mascolinità ecologica: se ne parla al Transizioni Fest
Un dialogo necessario per rileggere la crisi ecologica e superare il patriarcato: al Transizioni Fest si parla di ecofemminismo e mascolinità ecologica con Marco Deriu e Antonia De Vita.

Che relazione c’è tra la crisi ecologica e le strutture patriarcali che regolano le nostre società? Perché parlare di ecofemminismo significa anche rimettere in discussione i modelli di potere, i ruoli di genere e le logiche di dominio sugli esseri umani e sull’ambiente? A queste e ad altre domande cercherà di rispondere l’incontro “Corpi responsabili, corpi sensibili. Ecofemminismi e mascolinità ecologica per un patto di civiltà”, in programma per il 1° giugno a Cascina Rapello, all’interno del Transizioni Fest.
La parola chiave è ecofemminismo: un approccio che connette le istanze ecologiche con quelle femministe e che rilegge la crisi climatica come crisi culturale, simbolica, sistemica. A guidare l’incontro saranno Marco Deriu, sociologo dell’Università di Parma, e Antonia De Vita, pedagogista dell’Università di Verona, che da anni riflettono sul nesso tra corpi, responsabilità, immaginari e giustizia ecologica.
Uno dei presupposti fondanti dell’ecofemminismo è l’idea che lo sfruttamento ambientale e l’oppressione di genere siano effetti di una stessa visione del mondo. Una visione che separa, gerarchizza e subordina. Il corpo e la natura – ciò che è fragile, riproduttivo, non lineare – sono stati storicamente messi sotto controllo da modelli patriarcali che hanno costruito l’idea di sviluppo sul dominio, sull’estrazione, sull’accumulazione.

Ecofemminismo: origine di uno sguardo che connette
Si parte da una constatazione radicale: la logica di dominio che fonda il patriarcato è la stessa che giustifica lo sfruttamento della natura. L’ecofemminismo è una pratica quotidiana che attraversa l’organizzazione della società, della giustizia e dell’economia. «L’ecofemminismo – spiega Antonia De Vita – è capace di riunire in sé le istanze critiche dei movimenti ecologisti e di quelli femministi. Esplicita e mette a tema un legame storico tra le donne, i corpi e i territori, che attraversa tutte le culture e che è parte sostanziale del conflitto tra capitale e vita.»
Ma oltre all’elaborazione teorica, l’ecofemminismo si manifesta in forme pratiche e trasformative. «Nei territori feriti, nelle piazze, nei contesti locali – continua De Vita – molte donne e diversi uomini dissentono mettendo avanti la fragilità dei propri corpi sessuati. Sono forme di dissenso creative e costruttive contro un sistema economico che depreda, spoglia e avvelena soggetti e territori».
Decostruire simbolicamente il patriarcato, secondo De Vita, significa rimettere in discussione le radici storiche dell’alleanza tra capitalismo e dominio maschile. «Tornando al nesso tra donne, corpi e territori, vediamo come il patriarcato abbia slegato le donne dai saperi sulla cura e sulla gestione comunitaria della terra. Questo ha prodotto un forte impatto simbolico e materiale. Ricucire quel legame, in chiave ecologica, è un gesto educativo e politico di portata enorme».

Mascolinità ecologica: un ripensamento necessario
Se l’ecofemminismo ha saputo evidenziare con chiarezza il nesso tra patriarcato e devastazione ambientale, più recente è il tentativo di interrogarsi su cosa accade sul versante maschile. Cosa significa essere uomini in un mondo in crisi? Quali modelli di maschilità continuano ad alimentare forme di dominio, violenza e sfruttamento nei confronti del vivente? E soprattutto: quali alternative sono possibili? Il concetto di mascolinità ecologica nasce proprio da questo bisogno: elaborare un’immagine dell’uomo che non sia fondata su controllo, competitività, distanza emotiva e possesso. Una maschilità che sappia riconoscere i propri privilegi, mettersi in discussione e costruire nuove modalità di relazione con il mondo, con gli altri e con sé stessi.
«Parliamo di un modello di maschilità ossessionata dalla performance e dalla produttività, che lascia in ombra e svalorizza le dimensioni della riproduzione e, in senso più ecologico, della rigenerazione», spiega Marco Deriu. «Si intrecciano antropocentrismo, sessismo, razzismo, una logica di sfruttamento ed estrazione, che ha plasmato anche l’idea stessa di uomo come homo economicus, separato dal mondo attorno a sé».
L’ecofemminismo è capace di riunire in sé le istanze critiche dei movimenti ecologisti e di quelli femministi
Ma il cambiamento non può essere solo concettuale. Deve passare attraverso l’educazione e la trasformazione degli immaginari. «La promozione di modelli egemoni di maschilità avviene nella famiglia, nella scuola, nei media, nelle istituzioni. Senza un lavoro riflessivo di risocializzazione e trasformazione delle esperienze primarie di relazione, non sarà possibile cambiare davvero. Occorre lavorare sulle esperienze vitali, sulle relazioni, sulla cura, pensando questi elementi come nucleo già politico e culturale.»
Il contributo maschile a una società ecologicamente e socialmente sostenibile passa anche da un cambiamento profondo di prospettiva. «Gli uomini sono chiamati a riconoscere e ridiscutere le molteplici forme di violenza e distruttività nelle quali sono coinvolti, anche inconsapevolmente», continua Deriu. «Questo passaggio implica una rinuncia a una concezione iperidealizzata di sé e del proprio ruolo nel mondo. Ma è anche un’opportunità per esplorare nuovi modi di essere padri, figli, compagni, cittadini».

Per Deriu, liberarsi dalle gabbie del patriarcato può aprire spazi di senso e trasformazione. «Penso a una cura non intesa in senso privato o domestico, ma come riconoscimento delle relazioni che ci costituiscono: con noi stessi, con gli altri, con il mondo nella sua pluralità. Riconoscersi questo compito di cura significa ripensare il proprio essere nel mondo».
Corpi responsabili, corpi sensibili: il dialogo al centro del festival
All’interno di Transizioni Fest, l’incontro dal titolo “Corpi responsabili, corpi sensibili. Ecofemminismi e mascolinità ecologica per un patto di civiltà” mette in relazione queste due prospettive. Non si tratta solo di un confronto tra generi, ma di un’esplorazione congiunta delle trasformazioni culturali che l’epoca della crisi ecologica rende non più rimandabili. «Le amiche e gli amici di Transizioni Fest hanno creato un contesto di incontro, riflessione, elaborazione teorica ed emotiva/affettiva di eccellente qualità», afferma Antonia De Vita. «Un contesto generativo di relazioni, connessioni, tessiture, aperture a nuove idee e progetti».
«Questo tipo di riflessione implica un percorso collettivo, non semplicemente individuale», aggiunge in cinclusione Marco Deriu. «Non ci si libera da soli ma assieme agli altri. L’azione si rivela nella condivisione e nel confronto. Transizioni Fest, con la sua natura plurale e intersezionale, rappresenta un’opportunità straordinaria per aprire insieme questa nuova avventura».
Informazioni chiave
Ecofemminismo: un approccio intersezionale
parlare di ecofemminismo significa anche rimettere in discussione i modelli che hanno dato origine alla crisi ecologica e alla cultura patriarcale.
Capitalismo e patriarcato
Fra i fondamenti del modello capitalista c’è il predominio dell’uomo, inteso sia come specie che come genere.
Mascolinità ecologica
La decostruzione parte dall’elaborazione di un’immagine dell’uomo che non sia fondata su controllo, competitività, distanza emotiva e possesso.
Costruire le alternative
Il percorso di ricostruzione non può che essere collettivo e fondato sull’alleanza, sul dialogo e sulla creatività.
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