23 Giugno 2025 | Tempo lettura: 7 minuti

Via dalla casa inagibile, ma a Cagliari la comunità si mobilita per aiutare le due proprietarie

Due storiche abitanti del quartiere Villanova di Cagliari, le signore Rosaria ed Elisabetta, sono state costrette a lasciare la loro casa, ma un comitato cittadino ha lanciato una raccolta fondi per aiutarle a rientrare.

Autore: Lisa Ferreli
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In breve

La comunità di Villanova si attiva per due donne in crisi abitativa.

  • Rosaria ed Elisabetta, madre e figlia, da otto mesi non vivono più nel cuore di Villanova, a Cagliari, dove per anni sono state un presidio silenzioso e affettuoso della comunità.
  • La loro casa è oggi inagibile. Con poche risorse economiche e nessuna alternativa concreta, vivono fuori città in una struttura provvisoria a carico del Comune.
  • Un comitato di cittadine e associazioni ha lanciato una raccolta fondi per coprire i 40.000 euro necessari alla messa in sicurezza dell’immobile.
  • La loro storia parla del diritto negato all’abitare, dell’abbandono istituzionale, ma anche di un’idea di comunità che si rifiuta di arrendersi all’indifferenza.

C’è chi le chiama “le guardiane di Villanova”, ma non per un’indole controllante nei confronti della comunità, anzi. Le signore Rosaria e Elisabetta, nel quartiere cagliaritano di Villanova, sono garanti di un modo di essere comunità che ne incarna lo spirito più autentico: lo sguardo attento, la presenza costante e soprattutto la memoria viva di una comunità che si riconosce nei suoi abitanti. Per questo la loro assenza nel quartiere – da otto mesi – si fa viva nella percezione di un tassello essenziale che manca e in un vuoto che l’indifferenza non può né deve colmare.

Da ottobre 2024, a causa delle condizioni di rischio e inagibilità della loro casa, sono state costrette a lasciare il quartiere. Rosaria ed Elisabetta hanno ridotte possibilità economiche e da allora vivono a carico del Comune di Cagliari in una struttura temporanea. Il loro rientro dipende dai lavori di messa in sicurezza e ristrutturazione, azioni necessarie per un valore di circa 40.000 euro, cifra che non sono in grado di sostenere da sole. Ma dipende anche dalla volontà di farsi comunità che non lascia indietro. Per questo un comitato di cittadine e realtà locali si è mobilitato in città, per avviare una raccolta fondi che copra le spese e permettere definitivamente a Rosaria e Elisabetta di tornare a casa.

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Manifesti realizzati dal Comitato di solidarietà per Rosaria e Elisabetta, Cagliari

Una casa vera, a Cagliari

Una casa modesta, piena di storia. L’aveva costruita il marito di signora Rosaria ed è lì che la figlia, la signora Elisabetta, è nata e cresciuta. A cambiarne le sorti è stata innanzitutto una segnalazione ai servizi sociali. Poi il controllo, l’intervento dei vigili del fuoco e la constatazione: per condizioni strutturali critiche l’immobile viene dichiarato inagibile e chiuso. L’amministrazione comunale agisce nel modo previsto: trasferisce temporaneamente le due donne in una struttura a carico del Comune. Ma si tratta di un luogo con destinazione d’uso diversa e dopo alcuni mesi arriva un nuovo ultimatum: devono spostarsi, ancora. Oggi si trovano fuori dal Comune di Cagliari, sempre a carico dell’amministrazione e sempre senza una casa vera.

«Noi come associazione, insieme anche ad altre persone che conoscevano le due signore, abbiamo scelto di costituirci come comitato e mobilitarci per capire come fare in modo che Rosaria e Elisabetta rientrino a casa, anche perché non esiste la possibilità di un servizio di aiuto alla persona per risolvere questo tipo di problemi», spiega Gisella Trincas, presidente di ASARP, Associazione Sarda Per l’Attuazione della Riforma Psichiatrica. «Mentre loro stanno in un luogo che non è una casa, dove quindi non è garantita la possibilità di un abitare indipendente, ci siamo mobilitate anche attraverso un ingegnere per un computo metrico degli interventi da effettuare per rimettere la struttura nelle condizioni di essere abitabile».

Il non comprendere, non intervenire per tempo, è uno degli aspetti più tragici della nostra società.

«Trattandosi di una casa di proprietà è chiaro che devono provvedere alla rimessa a norma le dirette interessate – aggiunge Trincas –, ma le loro risorse economiche sono esigue al momento e questo determina il fatto che non sono in grado di farlo». Da ciò la petizione popolare, un appello alla solidarietà e una raccolta fondi per aiutare Rosaria e Elisabetta a tornare a casa nel minore tempo possibile. «Anche perché – precisa sempre Trincas – nel frattempo vivono una condizione di enorme sofferenza: è difficile vivere in uno spazio non tuo, ma laddove lo stato non è in grado di intervenire, resta la solidarietà delle persone».

Il vuoto colmabile

L’unico intervento istituzionale possibile finora è stato quello dell’accoglienza temporanea. Ma si tratta di una soluzione provvisoria, legata alla disponibilità e alla tolleranza degli spazi, non certo al riconoscimento di un diritto inalienabile come quello all’abitare. «A livello istituzionale non si può fare nulla», sottolinea Trincas con fermezza, ma quale dovrebbe essere allora la prassi migliore? «Secondo noi ci si sarebbe dovuti occupare della situazione vissuta dalle signore prima che il tutto degenerasse: abitavano in un quartiere e il quartiere non poteva non accorgersi di una condizione di bisogno e difficoltà obiettiva».

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Uno scatto di Cagliari – Canva

«Il non comprendere, non intervenire per tempo è uno degli aspetti più tragici della nostra società. Ma comunque quando accade, quello che dovrebbe esistere in ogni amministrazione sono alloggi veri, da mettere a disposizione in caso di emergenze abitative». Le soluzioni si trovano nei dati: nell’Isola sono circa il 30% delle case per uso civile abitativo – ben 312.423 unità – a risultare disabitate, cifra che emerge dall’analisi effettuata dall’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Sardegna esaminando i dati 2024 di Enea, Siape e Istat. Guardando al capoluogo, Cagliari registra invece una percentuale di abitazioni non occupate permanentemente del 14,26% (Istat).

«La nostra regione è piena di immobili pubblici chiusi e abbandonati, eppure non si riesce ad affrontare questo problema e mettere a disposizione delle persone case vere: ad oggi i luoghi sono spesso inadeguati», commenta Trincas, che prosegue: «Ci sono ad esempio tante persone che non hanno casa, che vanno a mangiare alla Caritas ma che devono passare il resto del tempo in giro per strada; è un problema sociale di dimensioni enormi e non può continuare così, le amministrazioni pubbliche, lo stato, le regioni devono programmare interventi sociali che rispettino i diritti e la dignità delle persone».

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Uno scatto dal quartiere Villanova di Cagliari – Canva

Una risposta comunitaria

Quella delle signore Rosaria e Elisabetta non è una storia individuale. È lo specchio di una mutazione che investe sempre più quartieri e Villanova ne è emblema: le case diventano bed&breakfast, gli affitti salgono, i residenti calano e la comunità si dissolve. «Le persone a un certo punto si possono trovare in difficoltà, anche economica, ma voglio credere che anche in virtù della conoscenza, il quartiere sarà solidale e tutti partecipino alla raccolta delle risorse che servono. Loro a Cagliari sono conosciute – conclude Tricas – volute bene dal quartiere dove hanno il diritto di tornare, per vivere nella loro casa; noi abbiamo il dovere etico di fare tutto ciò che è umanamente possibile per fare in modo che accada».

Una raccolta fondi che non è quindi solo un mezzo per restituire una casa a due persone, ma è anche strumento per difendere l’idea stessa di comunità come luogo di relazioni, cura e appartenenza. Il Comitato di solidarietà per Rosaria ed Elisabetta invita chi può a versare il proprio contributo su questa piattaforma di crowdfunding. La cifra da raccogliere è 40.000 euro e l’intenzione è iniziare i lavori nel mese di settembre. Con una popolazione residente di 149.092 persone, sarebbe sufficiente che cagliaritani e cagliaritane donassero 30 centesimi a testa per raggiungere la quota necessaria, con gli interessi. Basta poco, se fatto insieme.