16 Giugno 2025 | Tempo lettura: 7 minuti

Colonie penali in Sardegna: cosa sono, come funzionano e perché dovremmo investirci di più

Un approfondimento sulle colonie penali, sistema ad oggi poco valorizzato ma che può essere rivisto in funzione (anche) di una maggiore garanzia di diritti delle persone detenute.

Autore: Daniele Pisano
ex colonia penale di Castiadas. Foto da Sardegna DigitalLibrary
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In Sardegna esistono tre penitenziari in cui le persone detenute vivono sotto un regime diverso, lavorando all’aperto e rientrando in cella solo la sera. Non si tratta delle più conosciute carceri di Uta, Bancali o Badu e Carros, ma delle colonie penali agricole di Is Arenas, Isili e Mamone. In un articolo pubblicato qualche settimana fa parlavamo del sistema penitenziario italiano come di una scatola nera, difficile da capire e da raccontare: le colonie penali sono ben nascoste all’interno di quella scatola nera, tanto da diventare, per molti versi, un vero e proprio buco nero istituzionale.

Sono poco note ai non addetti ai lavori, lontane dalle prime pagine dei giornali e isolate geograficamente. Raccontare le colonie serve a portare luce su un sistema poco valorizzato, segnato da limiti burocratici e possibilità inespresse. Parlare di colonie significa parlare di lavoro, dignità e rieducazione: tre parole troppo spesso assenti dal dibattito sul carcere.

Le colonie penali

Nascono nella seconda metà dell’800. La prima fu istituita a nell’isola di Pianosa nel 1858 dal Granducato di Toscana e poi regolamentata nel 1863 dal neonato stato italiano. Con le colonie penali da un lato si poneva l’obiettivo di bonificare e rendere produttivi terreni paludosi e isolati; dall’altro c’era la volontà di offrire una forma detentiva intermedia, riabilitativa, tra il carcere tradizionale e il reinserimento in libertà. Questo modello si estese poi alle colonie successive, come Gorgona, Castiada, Mamone.

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Colonia penale Is Arenas, Arbus

Per la sua natura insulare, la Sardegna è stata storicamente luogo di confino per tutti quegli individui che le istituzioni italiane volevano allontanare dalla società. Infatti nel percorso di costruzione del sistema carcerario italiano i governi istituirono varie colonie penali in Sardegna. Ad oggi molte di queste sono chiuse. In totale in Italia ne restano quattro attive: Mamone, Is Arenas, Isili, mentre la quarta colonia si trova in Toscana, nell’isola di Gorgona, ed è oggi una sede distaccata della Casa Circondariale di Livorno. Solo le tre sarde conservano una direzione autonoma.

Le principali attività svolte nelle colonie penali comprendono la coltivazione di orti, la gestione forestale, l’allevamento di bestiame e la trasformazione dei prodotti agricoli. Con il loro lavoro le persone detenute riescono a guadagnare intorno a 600 euro al mese. Escono poi ogni giorno per svolgere le attività lavorative all’aperto, spesso in aree distanti, sotto la supervisione di personale penitenziario. Durante il lavoro sono seguiti da capi d’arte – introdotti nei primi anni 2000 –, tecnici specializzati nei settori agricolo, zootecnico e nella manutenzione delle strutture.

Entrare nelle colonie penali

L’ingresso nella colonia penale avviene prima di tutto su base volontaria ed è riservata a uomini maggiorenni che hanno dimostrato buona condotta e sono giudicati idonei fisicamente alle attività previste. Non possono accedere alle colonie le donne, i minori e tutte le persone con problemi di dipendenze da droghe o affette da malattia psichica o fisica. Il detenuto nelle colonie penali deve essere prima di tutto un buon detenuto e poi anche un buon lavoratore.

Quello delle colonie penali, alla carta, è un sistema che può essere in linea con i principi educativi della Costituzione

Chi viene trasferito in colonia però non vive dietro le sbarre: è sottoposto a un regime di sorveglianza dinamica, con ampia libertà di movimento. Tra il 1974 e il 2014 circa 200 detenuti si sono sottratti all’esecuzione della pena evadendo, approfittando della relativa facilità di fuga ed è proprio per questo che il percorso di assegnazione è attentamente valutato..

Problematiche…

Le colonie ad oggi ospitano un numero di carcerati che si attesta intorno ai trecento, nonostante sulla carta abbiano una capienza complessiva di 598 detenuti. Anche questo tuttavia è un numero piuttosto esiguo rispetto alle reali necessità del sistema penitenziario. In un momento storico in cui le carceri italiane sono in estrema sofferenza anche a causa del sovraffollamento cronico, sembra paradossale che le colonie non siano utilizzate pienamente. Se si considerano anche le sezioni e le camere non utilizzabili a causa della loro fatiscenza, la capienza effettiva scende a 403 posti, ma anche rispetto a questo numero il tasso di riempimento è molto basso.

Oltre all’abbandono istituzionale delle colonie, l’altra causa del sottoutilizzo è l’isolamento delle strutture. La decisione che devono compiere i detenuti che hanno la possibilità di accedere alle colonie non è semplice: la scelta è passare la detenzione a fissare le pareti di una cella minuscola e sovraffollata oppure lavorare nei terreni di una colonia penale completamente isolati dal resto del mondo e molto lontani dai propri cari. La Colonia di Mamone, per esempio, è a 40 minuti di macchina dal centro abitato più vicino: non è una scelta semplice, soprattutto visto che la maggioranza dei detenuti ha pene relativamente brevi. Non è un caso che molti ospiti delle colonie siano stranieri o persone comunque lontane dalle proprie famiglie.

carcere colonie penali
Carcere – immagine di repertorio

Quello delle colonie penali sulla carta è un sistema che può essere in linea con i principi educativi della Costituzione, una forma di carcere virtuosa che rispetta la dignità dei detenuti. Ma ad oggi le colonie sono dei relitti che sopravvivono al passare del tempo, isolate dal mondo esterno, composte da edifici fatiscenti e prive di una gestione idonea. Non si può però parlare di colonie penali come di una realtà sé stante, perché esse sono inserite in un meccanismo profondamente in crisi: potrebbero essere un motore di innovazione, ma sono il fanalino di coda del sistema penitenziario, che a sua volta è ai margini della sfera politico-decisionale italiana.

… e soluzioni

Per valorizzare davvero le colonie penali è l’intero sistema carcerario italiano ad aver bisogno di una riforma strutturale. Nel frattempo però esistono soluzioni attuabili nel medio periodo, come sottolineato da Irene Testa, garante per le persone private della libertà in Sardegna, e da Marco Porcu del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, già direttore della colonia penale di Isili. La lontananza dal mondo esterno potrebbe diminuire con la giusta progettazione. L’organizzazione attuale delle colonie penali agricole si scontra con ostacoli strutturali, normativi e amministrativi che ne limitano fortemente l’efficienza. Una delle soluzioni all’isolamento delle colonie riguarda la commercializzazione dei prodotti agricoli.

Ancora oggi, gran parte di ciò che viene coltivato o allevato nelle colonie viene venduto internamente all’amministrazione penitenziaria, spesso a un prezzo inferiore al costo di produzione e in ogni caso, sotto il valore di mercato. Il rilancio delle colonie penali potrebbe passare da una vera e propria gestione aziendale delle stesse, attraverso la creazione di una sorte di business plan. Ogni tentativo di rilanciare le produzioni, se non accompagnato da un piano economico e da uno sbocco commerciale reale, rischia infatti di fallire.

HEADER colonie penali agricole
Immagine di repertorio – Canva

Le colonie penali complessivamente dispongono di più di 8.000 ettari di terreno, dimensioni equiparabili a una qualunque grande azienda agricola. Solo la colonia penale di Mamone si estende per 2.700 ettari. Il rilancio delle colonie penali in chiave produttiva non deve però far dimenticare la missione principale dell’amministrazione penitenziaria: la rieducazione e il reinserimento il società. Per questo servono interventi su due fronti.

Da un lato va ampliata la capienza delle colonie, oggi limitata a numeri irrisori rispetto ai circa 60.000 detenuti presenti in Italia di cui 2138 in Sardegna. Dall’altro, è necessario potenziare e innovare le attività lavorative all’interno delle strutture e all’esterno, aprendo quando possibile a iniziative nel territorio circostante con progetti che coinvolgano per esempio gli enti locali.

Le colonie penali offrono competenze spendibili al di fuori del carcere e aprono spazi di libertà all’interno della pena. Attraverso una certa dose di volontà politica e progettualità si possono già valorizzare e migliorare questi luoghi in attesa che il sistema penitenziario italiano riceva una riforma strutturale, di cui ha disperatamente bisogno. Una riforma che veda nelle colonie penali, si spera, un traino e non un fanalino di coda.

Informazioni chiave

Cosa sono le colonie penali e dove si trovano?

In Sardegna esistono tre colonie penali agricole attive: qui i detenuti lavorano all’aperto e rientrano in cella solo la sera.

Un modello detentivo alternativo

Si tratta di un regime semi-libero e dinamico, con attività lavorative quotidiane come agricoltura, allevamento, forestazione e trasformazione dei prodotti.

Problematiche…

Le colonie sono gravemente sotto impiegate (300 posti utilizzati su 403 disponibili); inoltre la loro produzione resta non competitiva sul mercato ed è venduta internamente e sottocosto.

…e soluzioni

Un modello aziendale potrebbe valorizzare i prodotti e garantire sostenibilità economica.