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11:05 31 Ottobre 2025 | Tempo lettura: 3 minuti

Nelle Mauritius sta partendo un grande progetto per rendere i coralli più resilienti

Ogni ottobre a Blue Bay i coralli si riproducono in massa. Scienziati locali e internazionali vogliono raccogliere milioni di larve per ripopolare le barriere, dopo uno sbiancamento che ha colpito fino all’80% dei reef mauriziani.

Autore: Redazione
progetto coralli mauritius

A Blue Bay, nel sud-est di Mauritius, ogni ottobre i coralli rilasciano milioni di uova e spermatozoi. Quest’anno i ricercatori mauriziani, assieme ad alcuni partner internazionali, hanno deciso di approfittare dell’occasione per avviare uno dei più grandi progetti di conservazione marina dell’Oceano Indiano occidentale.

L’iniziativa, coordinata dall’Odysseo Oceanarium, un importante acquario marino del Paese, con la non profit statunitense Secore International e l’Università di Mauritius, ha preso forma tra il 2024 e il 2025 e mira a sfruttare la ripoduzione sessuata dei coralli per raccogliere milioni di larve, da usare per ripopolare in modo mirato i siti degradati.

Il progetto è nato dopo un colpo durissimo. A marzo un’ondata di calore marino record ha sbiancato circa l’80% dei reef di Mauritius, in linea con una crisi globale che nel 2025 ha coinvolto più di quattro quinti delle aree coralline del pianeta. Il fenomeno dello sbiancamento dei coralli avviene quando stress (soprattutto acqua troppo calda) fa espellere ai coralli le alghe simbionti che li nutrono e danno colore. Restano trasparenti/bianchi e, senza quell’energia, si indeboliscono. Se lo stress passa in fretta possono riprendersi; se persiste, molti muoiono.

Il 12 ottobre un rapporto sui Global tipping points, ovvero sui punti di non ritorno climatici, ha affermati che per la prima volta un punto di non ritorno climatico è stato superato, ed è proprio quello sullo sbiancamento delle barriere coralline.

In un contesto di riscaldamento e acidificazione delle acque crescenti, che riducono la disponibilità di carbonati per costruire lo scheletro, le prospettive dei coralli restano molto complesse. È qui che interviene il progetto mauriziano, che sfrutta la varietà generica offerta dalla riproduzione sessuale dei coralli per generare maggiore diversità genetica.

I coralli infatti, posso riprodursi sia sessualmente, rilasciando in mare uova e spermatozoi che, fecondati, formano larve planule capaci di insediarsi su nuovi substrati, che asessualmente per gemmazione o frammentazione, con un un pezzo della colonia che si stacca e cresce come clone della madre. La riproduzione sessuata però, garantendo maggiore variabilità genetica, è potenzialmente più utile per selezionare popolazioni più tolleranti al calore.

Dopo la raccolta, le larve vengono tenute in vasche controllate (in mare o a terra) per favorire la fecondazione e lo sviluppo iniziale; poi si induce l’insediamento su supporti preparati con superfici adatte e, talvolta, con segnali naturali come alghe coralline. I tecnici curano qualità dell’acqua, densità e, se serve, la colonizzazione da parte delle alghe simbionti. Cresciuti i piccoli coralli per settimane o mesi, li trapiantano su reef selezionati per condizioni favorevoli e accessibilità. Infine monitorano sopravvivenza e crescita, riducono predazione e alghe invadenti e raccolgono dati per migliorare i cicli successivi.

Per le comunità locali, il progetto apre spazi di partecipazione. Odysseo ed Eco-Sud hanno coinvolto cittadini e volontari nel tracciamento degli eventi riproduttivi, trasformando la scienza dei coralli in una pratica osservativa aperta: segnalare le “acque rosa” durante le finestre di spawning aiuta a costruire un calendario affidabile e a ottimizzare gli sforzi di campo. L’educazione ambientale, unita al monitoraggio, diventa così un moltiplicatore di resilienza sociale oltre che ecologica.

Resta però un nodo centrale: se le temperature continuano a crescere al ritmo attuale, nessun protocollo di restauro potrà compensare perdite sempre più frequenti. Per questo i ricercatori insistono su una doppia strategia. Da un lato, migliorare i progetti sul campo e valorizzare specie o genotipi più tolleranti al calore, dall’altro, contribuire a politiche climatiche più ambiziose, senza le quali il restauro diventa mera mitigazione temporanea.

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