30 Ago 2021

Sologamia: cosa vuol dire sposarsi con sé stessi? – Amore Che Cambia #21

Scritto da: Salvina Elisa Cutuli

È davvero possibile sposarsi con se stessi? Quali sono le implicazioni? Come si svolge la cerimonia? Abbiamo rivolto queste e altre domande ad Alessandra Rizzi, una delle pochissime donne italiane che ha deciso di avvicinarsi alla sologamia, il matrimonio con sé stessi.

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Parlare di amore, sesso, relazioni non è semplice: sono tante le implicazioni, i tabù, le storie dietro alle vite di ognuno di noi. Nonostante queste complessità, sempre più frequentemente si discute – anche se in maniera stereotipata o poco autentica – di “particolari” rapporti amorosi che fino a poco tempo fa venivano considerati impossibili anche solo da immaginare. Eppure esistono, anche se spesso sono lontani dall’attenzione del mainstream e raccontano di consapevolezza, di crescita personale e di un senso profondo del significato della parola Amore.

Nel mondo infinito delle relazioni e dell’Amore esiste anche la sologamia. Di cosa si tratta? Potrebbe sembrare un gioco, invece è pura realtà. Stiamo parlando del matrimonio con sé stessi. In rete sono pochissime le testimonianze di persone che in Italia hanno deciso di compiere questo passo e, in quasi tutti i casi, si tratta di un evento privo di significato e completamente spettacolarizzato. Non dovrebbe neanche essere un matrimonio celebrato alla maniera di quello tradizionale, sarebbe puro narcisismo.

Per saperne di più abbiamo incontrato Alessandra Rizzi, una delle pochissime donne italiane che ha deciso di “sposarsi con sé stessa”. A lei abbiamo rivolto tutte quelle domande che verrebbero spontanee ad ognuno di noi: perché sposare sé stessi? Qual è il senso? C’è davvero bisogno di farlo? Cosa comporta una scelta del genere?

sologamia 1
Alessandra Rizzi

Alessandra è counselor ed è anche una celebrante laico-umanista, una figura professionale molto particolare ancora poco conosciuta in Italia – sono circa 60 i celebranti italiani, formati, accreditati e riconosciuti a livello nazionale ed europeo – che accompagna i passaggi fondamentali dell’esistenza umana. In paesi come l’Australia, il Belgio, il Canada, l’Irlanda, la Norvegia, la Nuova Zelanda, l’Olanda, Il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Svezia e la Svizzera da decenni esistono associazioni affini.

I celebranti entrano in contatto con chi attraversa momenti estremamente intimi, significativi e delicati della propria vita, come la nascita, il matrimonio o la morte. Alessandra in particolare, in qualità di tanatologa, ha ideato il progetto “Come vorrei che fosse”® per facilitare l’espressione delle volontà di fine vita, comprese le disposizioni per la propria cerimonia funebre, perché crede che occuparsi di morte sia un modo per dare il massimo valore alla vita.

È anche co-autrice del libro pubblicato nel 2018 Ritualità del silenzio. Guida per il cerimoniere funebre. Nel suo percorso personale ha scoperto l’esistenza della sologamia, il matrimonio con sé stessi, che ha vissuto sulla propria pelle. «C’è molta confusione su questo argomento: troverai articoli in cui viene descritto come una cerimonia narcisistica di chi decide di sposarsi perché non ha trovato di meglio. Non è questo».

Effettivamente le poche testimonianze che si possono trovare in rete raccontano di sologamia con feste sfarzose e tanta apparenza. Non esistono, invece, video di cerimonie di sologamia celebrate in Italia. È visibile solo quello di Alessandra, molto utile per comprendere al meglio cosa l’ha spinta a compiere questo passo. Al suo matrimonio era presente solo Lucia, la celebrante, Alessandra e una loro amica/collega. La preparazione di questa cerimonia è stata un percorso importante non solo per Alessandra, ma anche per la Lucia. Entrambe si sono preparate grazie a questo momento di grande crescita e consapevolezza. Un momento di confronto che ha portato un cambiamento importante nell’essere di ognuna di loro.

Racconta Alessandra «L’idea della sologamia è stata di Lucia. Tutto è iniziato sul finire della primavera, con una chiacchierata sul mio desiderio di ritornare in Sardegna a distanza di quindici anni dalla morte del mio compagno. La mia intenzione era di celebrare un commiato in suo onore, nella sua amata terra, la Barbagia. Ma a noi celebranti laico-umaniste piacciono le cose speciali, mai banali. Così nei mesi a seguire ho continuato ad approfondire la mia conoscenza con Lucia fino a diventare sua amica e abbiamo maturato la consapevolezza che stavamo creando qualcosa di unico, di inedito, di irripetibile: il rito del commiato sarebbe stato il preludio al rito della sologamia. Sposare sé stessi non è una fuga, non è una rinuncia alla coppia, non è un gesto narcisistico. Chi pensa questo vede solo la superficie delle cose, l’esteriorità, la frivolezza».

sologamia

«Chi sceglie di affrontare questo passo – prosegue Alessandra – scopre che si tratta di un percorso e di un rito di passaggio: implica la maturazione di una consapevolezza e dopo non si è più quelli di prima. Nella mia esperienza è stato fondamentale riflettere sulle motivazioni che mi portavano a questa scelta e il ruolo della celebrante è stato il punto focale. Con tatto, dolcezza e competenza, Lucia ha saputo accompagnare questa fase essenziale per la riuscita di quella che diventa una piccola ma vera trasformazione della persona».

Come si svolge un matrimonio con sé stessi? Dal racconto di Alessandra scopriamo che la celebrazione non prevede una struttura fissa come nel caso dei matrimoni tradizionali; a essere determinante è la forza che si crea tra chi celebra e chi chiede di essere celebrato. Ciò farà sì che gli elementi rituali, le frasi, le poesie, le musiche e i simboli utilizzati saranno quelli più adatti alla persona. Alessandra, ad esempio, ha trasformato l’anello sardo che le aveva regalato il suo fidanzato nel suo anello di sologamia, spostandolo da un dito all’altro della mano. È stato come un riunire le varie parti, maschile e femminile, della propria persona, lenire le eventuali ferite, i dolori di esperienze passate senza rifiutare eventuali future relazioni.

«Tanti in Germania, prima di qualsiasi matrimonio, attraverso varie tecniche come quella delle costellazioni familiari guariscono le proprie parti irrisolte conoscendo meglio loro stessi per poi essere migliori con gli altri e nelle relazioni. Per me ha significato questo: acquisire maggiore consapevolezza delle mie parti, rendendomi più forte e arricchita. È un percorso terapeutico profondo, ho maggiore rispetto per me stessa. Lo augurerei a chiunque per l’arricchimento che mi ha procurato».

La sologamia è abbastanza diffusa nei territori anglosassoni. In Italia invece è ancora un campo inesplorato. Per evitare di creare delle spettacolarizzazioni, i pochi celebranti vogliono prima conoscere le vere motivazioni della persona che decide di svolgere una sologamia. Per Alessandra l’amore verso sé stessi e gli altri, l’Amore che cambia, è quello a cui siamo chiamati nella nostra epoca: «La nostra consapevolezza può crescere solo se va insieme all’amore, alla bellezza e alla verità diventando un tutt’uno!».

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