Biofilia: l’amore per la vita e la natura che ci insegna a stare meglio
In un mondo che corre veloce la natura ci chiama a rallentare. Lo fa per per salvarci e la scienza lo conferma: il contatto con l’ambiente naturale rigenera l’attenzione, lenisce l’ansia, restituisce senso.

In breve
La biofilia, letteralmente “amore per la vita”, ci aiuta a vivere meglio recuperando il legame con il mondo a cui apparteniamo.
- La biofilia è una predisposizione innata dell’essere umano, ereditata da quando la nostra specie viveva pienamente inserita nel contesto naturale, che però va “attivata”.
- Questo concetto è stato studiato in maniera approfondita nell’ambito di due discipline, la psicologia umanistica e la biologia evolutiva.
- Secondo il biologo Giuseppe Barbiero, l’ambiente, l’educazione e l’esperienza personale sono i tre aspetti che ci avvicinano o ci allontanano dalla biofilia.
- La biofilia può essere sviluppata attraverso discipline come la pet-therapy e il forest bathing.
Parlare di biofilia oggi significa affrontare un tema che intreccia ecologia, psicologia, architettura, urbanistica, salute mentale e cultura contemporanea. Il termine indica l’innata attrazione dell’essere umano verso la natura e tutto ciò che è vivente. Il crescente distacco tra l’’essere umano e la natura a cui stiamo assistendo in questi anni ha contribuito a degrado ambientale, cambiamenti climatici e perdita della biodiversità, per questo sviscerare la biofilia è una presa di posizione politica e culturale perché diventa un richiamo a riconnetterci con la natura per curare sia l’ambiente che noi stessi.
Alle radici del termine: tra psicologia e biologia
Biofilia – che dal greco letteralmente significa “amore per la vita” – è un termine che compare per la prima volta in due ambiti diversi e apparentemente distanti: la psicologia umanistica e la biologia evolutiva. Una coincidenza affascinante che mostra quanto il bisogno di connessione con la natura sia sentito a più livelli della coscienza e della cultura umana.
Da un lato lo psicoanalista Erich Fromm, nel suo libro The Heart of Man. Its Genius for Good and Evil, uscito nel 1964, usa il termine biofilia per descrivere una disposizione psicologica positiva verso la vita e la crescita: una forza interiore che contrasta la pulsione distruttiva e rappresenta l’attitudine a costruire, a prendersi cura, a vivere in armonia. Fromm ne fa un concetto etico ed esistenziale: una forma di amore universale per tutto ciò che è vivente.

Dall’altro lato, esattamente vent’anni dopo, nel 1984, il biologo Edward O. Wilson, nel suo libro Biofilia. Il nostro legame con la natura definisce la biofilia come una tendenza umana innata nel cercare connessione con la natura e le altre forme di vita. Secondo Wilson questa predisposizione ha radici evolutive profonde: gli esseri umani hanno trascorso il 99% della loro storia in ambienti naturali, quindi la loro mente si è plasmata in risposta a paesaggi, animali, piante e fenomeni ecologici.
La sopravvivenza dipendeva proprio dalla capacità di interpretare i segnali dell’ecosistema: distinguere tra piante commestibili e tossiche, leggere il comportamento degli animali, riconoscere i paesaggi più favorevoli alla vita. Wilson postula quindi che la biofilia sia inscritta nel nostro patrimonio genetico. In questa prospettiva il contatto con la natura non è un lusso, bensì un bisogno psicologico fondamentale, la cui frustrazione può portare a disagi profondi, fino a forme di alienazione e disagio psicofisico.
Due approcci diversi – uno psicologico e uno evolutivo – ma complementari: la biofilia affiora così come ponte tra mente e natura, tra desiderio e biologia. Un orientamento che viene poi ripreso e sviluppato nei decenni successivi da studiosi come Stephen Kellert, professore di Ecologia Sociale e ricercatore presso la Scuola di Studi Forestali e Ambientali dell’Università di Yale, che collabora con Wilson per strutturare un quadro teorico più definito e applicabile, in particolare nei settori dell’architettura e della pianificazione urbana.
Bisogna attivare un legame affettivo con la natura, che poi si traduce in una vera motivazione al prendersene cura
Biofilia e critica al distacco dalla natura
Con discreto anticipo rispetto ai grandi movimenti ecologisti del XXI secolo, Wilson denuncia gli effetti deleteri della crescente separazione dell’essere umano dalla natura. Il suo messaggio è chiaro: la perdita di biodiversità è un problema non solo ecologico, ma anche umano, culturale, spirituale. L’urbanizzazione incontrollata, la distruzione degli habitat, la standardizzazione degli ambienti in cui viviamo minano non solo gli equilibri ecologici, ma anche la salute mentale collettiva. In questo senso, la biofilia è anche una critica implicita alla modernità industriale e tecnologica, che tende a dissociare l’essere umano dalle sue radici biologiche.
Biofilia come fondamento di una nuova etica ambientale
Uno degli aspetti più innovativi di questa visione è l’idea che la biofilia possa costituire la base per un’etica ambientale evolutiva. Non più una morale imposta dall’esterno quindi, ma un’etica che affonda le radici in ciò che siamo, nella nostra stessa natura. In questo senso, ecco che l’educazione alla biofilia diventa una necessità politica e culturale: promuovere ambienti naturali nelle città, educare i bambini alla vita all’aria aperta, progettare edifici che integrino elementi naturali non sono più solo scelte estetiche o pedagogiche, ma risposte profonde a un bisogno umano essenziale.

Secondo Giuseppe Barbiero, biologo e docente all’Università della Valle d’Aosta, la biofilia è una caratteristica innata ma non istintiva dell’essere umano. Che cosa significa? Come la capacità di apprendere un linguaggio, tutti nasciamo con la predisposizione alla biofilia, ma questa deve essere coltivata per svilupparsi pienamente. Non si tratta quindi di un istinto automatico, come per esempio il riflesso della suzione, bensì di una facoltà che emerge solo se viene attivata e allenata. Se un bambino cresce senza contatto con la natura infatti rischia di non sviluppare questa sensibilità o di farlo solo parzialmente. Sono l’ambiente, l’educazione e l’esperienza personale a giocare un ruolo fondamentale nel favorire o inibire lo sviluppo della biofilia, valorizzando quella che chiama “intelligenza naturalistica”.
Attraverso il suo lavoro nel Laboratorio di Ecologia Affettiva, Barbiero ha sottolineato anche un aspetto fondamentale della biofilia: la sua complementarità con la biofobia. Se da un lato ci sentiamo istintivamente attratti dalla natura, dall’altro proviamo anche timore verso alcuni suoi elementi, come per esempio i serpenti, gli insetti, il buio. Questa dualità – biofilia e biofobia – ha una funzione adattiva, cioè ci permette di entrare in relazione con l’ambiente naturale in modo intelligente, selettivo, evolutivamente vantaggioso.
Giuseppe Barbiero ha sviluppato poi il concetto di ecologia affettiva, che si intreccia profondamente con la teoria della biofilia di Wilson. L’ecologia affettiva espande questa visione, sottolineando l’importanza delle emozioni nel nostro rapporto con l’ambiente naturale: non si tratta solo di una predisposizione biologica, ma anche di un legame affettivo che si sviluppa e si nutre attraverso esperienze dirette e significative con la natura.

Barbiero sostiene che per promuovere un’autentica educazione ecologica è fondamentale coltivare queste relazioni emotive, poiché è attraverso l’affetto per la natura che si sviluppa la motivazione a proteggerla. Nel suo libro Ecologia affettiva Barbiero spiega che la dimensione emotiva, quella dell’“affiliazione”, ha un ruolo cruciale nell’educazione ambientale. In questo senso l’ecologia affettiva rappresenta una declinazione pedagogica e psicologica della biofilia, orientata alla formazione di una coscienza ecologica profonda e duratura.
Natura e attenzione
La biofilia ha un impatto diretto sulle funzioni cognitive. Diversi studi scientifici hanno dimostrato che il contatto con la natura – soprattutto se non antropizzata – favorisce la rigenerazione dell’attenzione, in particolare di quella “secondaria” che usiamo quando dobbiamo concentrarci su un compito specifico.
Secondo l’Attention Restoration Theory (Kaplan & Kaplan) l’ambiente naturale consente al cervello di “staccare” da stimoli cognitivamente intensi e ritrovare uno stato di equilibrio. Un paesaggio naturale offre stimoli che catturano l’attenzione senza sovraccaricare il sistema esecutivo: il fruscio delle foglie, il canto degli uccelli, il riflesso dell’acqua permettono all’attenzione diretta di riposarsi e rigenerarsi fino a tornare ai livelli normali di efficienza.
La natura ha quindi la capacità di riattivare l’attenzione diretta, ristabilendo un ponte con la psiche; specularmente, la psiche umana può aprirsi a un dialogo con la natura o con le sue manifestazioni più sensibili. Anche Barbiero ha studiato come ecosistemi come boschi, montagne, laghi siano molto efficaci nel favorire questo recupero attentivo. Questo vale soprattutto nei bambini e negli adolescenti, in cui la plasticità cerebrale è ancora in pieno sviluppo. Il contatto precoce con la natura quindi è essenziale per costruire una relazione sana e duratura con il mondo naturale.
«Spesso sentiamo dire “io proteggo la natura”. Ma se tu proteggi la natura ti stai estraendo, stai dicendo “la natura è qualcosa di diverso da me”. No, noi dobbiamo eventualmente proteggere il nostro ecosistema dalla nostra estinzione. La Terra, la natura andrà avanti ugualmente, il tema è se vogliamo essere complici della distruzione, della morte o del dolore o preferiamo essere complici di un mondo bellissimo», ha spiegato Daniel Tarozzi, direttore di Italia Che Cambia, durante il suo intervento al TedX di Lerici proprio sul tema della biofilia.
Coltivare la biofilia: esperienze e pratiche
La visione di Wilson ha aperto la strada a una costellazione di ricerche e applicazioni che oggi vanno dalla psicologia ambientale all’architettura sostenibile, dalla salute mentale alla pedagogia ecologica. La biofilia è diventata un concetto chiave per comprendere le nuove relazioni che dobbiamo costruire con il nostro pianeta. Il significato più profondo resta però quello originario: riconoscere che dentro di noi vive ancora un’eco della foresta e che ascoltarla è un atto di sopravvivenza.
Negli ultimi anni si sono sviluppate numerose pratiche esperienziali, tutte fondate su evidenze scientifiche, dal Forest Bathing (Shinrin-Yoku) all’ortoterapia, passando per la pet-therapy. Originario del Giappone, il cosiddetto “bagno di foresta” consiste nell’immergersi consapevolmente in un ambiente boschivo. Studi clinici dimostrano che il forest bathing abbassa la pressione arteriosa, riduce i livelli di cortisolo, migliora il sonno e potenzia il sistema immunitario.
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La relazione con gli animali, specialmente nei contesti terapeutici, aiuta a sviluppare empatia, regolare le emozioni e migliorare la qualità della vita nei pazienti con disturbi psichici, cognitivi o comportamentali. Questo è un altro modo di vivere la biofilia che si può stimolare anche coltivando piante, prendendosi cura di un orto, osservando la crescita di semi e fiori: queste attività stimolano il senso di responsabilità, la pazienza, la gratitudine. Per questo anche l’ortoterapia è diffusa sia in contesti scolastici che psichiatrici e riabilitativi.
Perché oggi la biofilia è più che mai necessaria
Viviamo in una società che tende a tenere sempre più separato l’essere umano dalla natura: città senza verde, orari scolastici e lavorativi che lasciano poco spazio alla luce e alla vita all’aperto, infanzia sempre più digitalizzata. In questo senso, coltivare la biofilia nella vita quotidiana non è solo un’opzione salutare, ma anche un’urgenza educativa, ambientale e culturale. Non si tratta di “tornare indietro”, ma di riscoprire ciò che siamo, biologicamente e affettivamente: esseri viventi in relazione con la vita. D’altronde la biofilia, se nutrita, può essere la chiave per affrontare in modo più umano le grandi sfide del nostro tempo: l’ecocidio, la crisi climatica, il malessere diffuso, l’analfabetismo emotivo verso la Terra.
Informazioni chiave
Biofilia: una chiave evolutiva per educazione, salute e riconnessione con la natura
La biofilia è una predisposizione innata, che va coltivata attraverso educazione e contatto diretto con la natura. Senza esperienze significative in ambienti naturali, questa facoltà può non emergere pienamente.
Due origini del termine: Fromm e Wilson
Il termine “biofilia” nasce parallelamente in due contesti differenti: Erich Fromm nel 1964 lo usa in senso psicologico ed etico, come amore per la vita e forza opposta alla pulsione distruttiva. Vent’anni dopo Edward O. Wilson lo definisce in chiave evolutiva, come una tendenza biologica umana a cercare connessione con la natura, frutto della lunga co-evoluzione tra uomo e ambiente naturale.
Biofilia e salute mentale
Il distacco dalla natura prodotto dalla modernità ha impatti negativi sulla salute mentale, in particolare sulla capacità di attenzione e sull’equilibrio emotivo. Teorie come l’Attention Restoration Theory mostrano come la natura favorisca il recupero cognitivo e riduca lo stress.
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