26 Gen 2022

Via Francigena: pellegrinaggio moderno e mobilità terapeutica nel cuore delle aree rurali

Scritto da: Benedetta Torsello

I viaggi a piedi lungo antiche rotte di pellegrinaggio hanno da tempo rivoluzionato il paradigma turistico tradizionale, portando alla ribalta la mobilità lenta e sostenibile. Leonardo Porcelloni, ricercatore della University of Nottingham, ci racconta la rinascita delle aree rurali e appenniniche lungo la Via Francigena, nuovo e antico crocevia di storie e viaggiatori.

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È forse il viaggio la metafora che parla di noi meglio di tutte. «Sembra esserci nell’uomo, come negli uccelli – scriveva Marguerite Yourcenar – un bisogno di migrazione, una vitale necessità di sentirsi altrove». Di qualunque altrove si tratti, lo cerchiamo da sempre: la nostra è una storia di instancabili camminatori.

Riconosciuta dal ‘94 come Itinerario culturale del Consiglio d’Europa e candidata patrimonio UNESCO nel 2019, la Via Francigena è molto più di un’antica strada di pellegrinaggio riportata in vita da viaggiatori contemporanei. È una fitta rete di realtà culturali e socio-economiche che innerva le aree rurali interne del nostro paese, riportandole al centro del dibattito politico grazie per lo più a processi bottom-up spontanei e graduali, diffusi su tutto il territorio.

A differenza del Cammino di Santiago di Compostela, via di pellegrinaggio e al contempo iconico viaggio iniziatico della cultura pop, la Via Francigena è stata riscoperta più tardi. Ne abbiamo parlato con il geografo Leonardo Porcelloni, dottorando della University of Nottingham, a seguito del suo recente studio pubblicato sulla rivista accademica “Turismo & Psicologia”.

Come nasce il tuo interesse personale e accademico per i cammini?

Mi avvicino ai cammini con un approccio storico-geografico (oltre a essere il mio modo di viaggiare). Da geografo cerco di ricostruire il paesaggio o comunque l’organizzazione umana sul territorio dal punto di vista della viabilità e non attraverso i confini. Mi interessano i collegamenti viari e come il territorio cambia e si trasforma rispetto a queste direttrici. Come nel Medioevo, ancora oggi le strade influenzano le dinamiche sociali ed economiche di un territorio. Si possono riscontrare molte affinità artistiche e culturali nei luoghi attraversati da una stessa direttrice e si riesce a ricostruire più facilmente il passato di un territorio.

La strada è una prospettiva privilegiata nella ricerca geografica: come si può studiare organicamente un territorio senza tener conto della mobilità, degli spostamenti e delle connessioni tra i vari luoghi? In questo senso la Via Francigena può essere interpretata come un centro di eventi che permette di collegare fenomeni apparentemente sconnessi.

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Studi da tempo la viabilità antica e moderna lungo la Via Francigena. Con quale metodologia e quali obiettivi?

Il mio ambito scientifico è la geografia storica. Mi occupo dello studio del territorio e della mappatura delle risorse materiali e immateriali che sono legate alla viabilità francigena, di come questi itinerari vengono fruiti, nonché delle strategie inclusive di valorizzazione del patrimonio. Per farlo mi servo di dati quantitativi e statistici, ma soprattutto di un approccio etnografico. Ciò che mi interessa infatti è l’impatto socio-culturale sulle piccole realtà rurali e sui borghi – fuori dai maggiori circuiti turistici – e le conseguenze a seguito della riscoperta viabilità francigena.

Rispetto all’itinerario attuale, il mio obiettivo è di cogliere l’essenza alla base del pellegrinaggio moderno sulla Francigena e le modalità di fruizione e realizzare una sorta di identikit del viaggiatore attraverso questionari (dati quantitativi) e interviste (dati qualitativi). Una vera e propria etnografia di pellegrinaggio, camminando tra una tappa e l’altra, stando negli ostelli insieme a pellegrini e ospitalieri per cogliere al meglio le dinamiche che accomunano le diverse realtà del pellegrinaggio moderno, secolare e religioso che sia.

Dai primi anni del 2000 si è assistito alla riscoperta dei cammini. Come mai?

Non per tutti i cammini vale lo stesso discorso. Ad esempio il Cammino di Santiago era da tempo ampiamente percorso, già dichiarato patrimonio UNESCO dal 1993. In Italia, la Via Francigena ha una storia un po’ diversa. Dalla fine degli anni ’90 è stata pian piano riscoperta, non solo a seguito degli studi, ma anche grazie alla nascita delle prime associazioni che tutt’ora si occupano della valorizzazione del territorio e del patrimonio storico-culturale legato a questa antica rotta di pellegrinaggio. Poi vi è stata anche l’importante spinta del Giubileo del 2000.

Direi che è in particolare tra gli anni ‘90 e i 2000 che si nota un particolare fermento sia negli studi, che approcciano in senso multidisciplinare alla Francigena, che tra le istituzioni e amministrazioni nel cogliere l’opportunità di valorizzare un modo di fare turismo di qualità e sostenibile.

Non è che prima non fosse mai stata percorsa a piedi. Durante le mie ricerche ho intervistato anche quelli che si potrebbero definire i pionieri della moderna Via Francigena, viaggiatori che la percorrevano ancora prima che si consolidassero sul territorio le infrastrutture ospitaliere e le indicazioni lungo il percorso.

Semplicemente conoscevano la direzione da seguire e al momento del riposo stendevano il loro sacco a pelo sotto i portici delle chiese o in ripari di fortuna. Prima era molto diverso: gli abitanti di borghi e villaggi li guardavano con distanza e curiosità. Oggi quando si vede qualcuno che cammina con lo zaino in spalla, c’è senz’altro meno stupore.

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Su un cammino si incontrano tipologie di viaggiatori molto diverse. Cosa differenzia un pellegrino da un turista?

Dal punto di vista accademico c’è un dibattito aperto almeno dagli anni ’80 su come definire il pellegrino rispetto al turista . Al di là di alcuni aspetti pratici, il turista o il cosiddetto turigrino (un viaggiatore a metà strada tra il turista e il pellegrino) ricerca un tipo di ospitalità conforme alle dinamiche turistiche. Magari cammina per brevi tappe, solo il week-end e di norma seleziona le parti più belle del cammino.

Alla base di tutto credo ci siano le motivazioni personali di ciascun viaggiatore. Sono quelle a fare la differenza e che quindi determinano il modo di porsi in cammino. Il pellegrino è tendenzialmente mosso da motivazioni che vanno oltre i tradizionali schemi turistici: non vuole solo vedere dei bei posti, ma ha delle spinte interiori che si ricollegano al discorso della mobilità terapeutica. Cerca sulla strada una cura interiore, dell’anima, che abbia a che fare con aspetti religiosi e non.

Magari ha bisogno di riflettere sulla propria vita, riconsiderare le proprie scelte: il cammino diventa così una sfida con sé stessi. C’è chi ha subito una perdita e quindi cerca una vera e propria guarigione sulla strada. Le motivazioni alla base del viaggio determinano un percorso sempre diverso. Ma in fondo il cammino è per tutti: ognuno ha le motivazioni più disparate per affrontarlo, così come nella vita.

Le infrastrutture sono sempre adeguate alle esigenze di tutti i viaggiatori?

Nonostante si incontrino eccezionali realtà ospitaliere lungo il cammino, all’eterogenea segmentazione del turismo lungo Via Francigena purtroppo non corrispondono sempre infrastrutture adeguate. Oltre che incentivare la domanda si dovrebbe predisporre anche un’offerta pronta e adeguata. Se si ha un turismo trasversale sulla Francigena però poi in certe comunità si incontrano solo hotel o solo ostelli, si crea un conflitto, visto che turisti e pellegrini hanno esigenze e aspettative molto diverse tra loro. Credo siano stati fatti importanti passi avanti negli ultimi anni, tuttavia c’è ancora molto da fare e decisivo è il ruolo delle amministrazioni locali, oltre all’iniziativa spontanea e dal basso degli abitanti.

Lo zaino è la metafora della semplicità: ci costringe a lasciare a casa tutto ciò di cui non avremo bisogno

Dal tuo studio emerge l’interesse non solo per chi vive il cammino da outsider, ovvero i viaggiatori, ma anche per gli insiders, cioè ospitalieri e abitanti del luogo. Sembrano due prospettive diverse e al contempo intercambiabili. Ce ne parli?

Finora l’interesse scientifico è stato più rivolto verso chi percorre il cammino rispetto a chi fa accoglienza (c’è molta meno letteratura in merito). Anch’io all’inizio della mia ricerca mi ero focalizzato sugli outsiders. Col tempo mi sono reso conto di quanto la prospettiva dell’insider fosse altrettanto interessante: permette una narrazione diversa dell’esperienza dei cammini, sia essa turistica o di pellegrinaggio.

Di fatto, anche chi si occupa dell’accoglienza ha delle motivazioni che vanno oltre il paradigma economico e turistico. C’è chi apre piccole attività per ospitare i pellegrini, chi fa volontariato: spesso sono persone in pensione che si avvicinano alla Francigena non per motivi economici, ma perché vogliono far parte di questa realtà.

Così anche per loro diventa un’esperienza culturale e terapeutica. Stando fermi in un posto e facendo accoglienza è come se fossero in viaggio con i pellegrini che attraversano i loro territori. Conoscono storie, persone, imparano lingue nuove. Vivono anche loro l’esperienza del viaggio, restando fermi.

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Come secondo te la pandemia ha cambiato o cambierà l’esperienza dei cammini e soprattutto le forme di ospitalità?

Durante questi ultimi due anni, se da un lato iI numero di viaggiatori sulla Francigena è chiaramente diminuito, dall’altro la pandemia ha rilanciato il turismo di prossimità e a passo lento. Molte realtà hanno chiuso a causa della crisi, altre sono nate, come a Costa Mezzana, dove una famiglia ha ristrutturato un casale per l’ospitalità dei pellegrini, dal momento che l’ostello comunale era stato chiuso.

Al di là del fatto che il cammino resta la modalità più sicura di fare turismo – perché si cammina all’aperto, fuori dalla massa – l’ospitalità e la condivisione degli spazi comuni pongono diverse sfide. Se il cammino è l’elemento solitario e di sfida interiore del viaggio, al contrario l’ospitalità è il momento al termine della tappa in cui ci si concilia con gli abitanti e gli altri viaggiatori.

Ci si incontra, si condivide l’esperienza, si fa socialità. Ciò che è emerso dalle mie ricerche è che solo pochi percepivano il rischio legato alla pandemia: la maggior parte dei viaggiatori non era disposta a sacrificare l’aspetto conviviale dell’ospitalità, perché considerato imprescindibile nell’esperienza del cammino.

Durante le tue ricerche hai raccolto diverse esperienze e testimonianze. Per te cos’è il viaggio?

Lo definirei con le parole dei viaggiatori che ho incontrato. Molti parlano del cammino come una sfida con sé stessi, un’opportunità per conoscersi, per riscoprirsi e avvicinarsi alla semplicità della vita. Questi gli elementi più ricorrenti. In viaggio si scopre di aver bisogno di poco. D’altronde lo zaino è la metafora della semplicità: ci costringe a lasciare a casa tutto ciò di cui non avremo bisogno e che sarebbe – letteralmente – un peso in più da portarsi dietro.

Si impara a fare a meno di tante cose e lo stesso vale per la vita. Il viaggio ci spinge a un rapporto diverso con la quotidianità, più semplice e che rispecchia i bisogni primari: mangiare, bere, trovare un riparo per dormire e spostarsi da un luogo a un altro.

E poi il viaggio è un’evasione dalla propria quotidianità. Il cammino permette di riappropriarsi del proprio tempo e di costruirlo. Il tempo si dilata mentre si attraversa il paesaggio camminando. Questo permette di avere un rapporto autentico con il paesaggio e con i luoghi attraversati. Quando ci si muove a piedi, il paesaggio non è una semplice cornice. È un’esperienza sensoriale in cui si è completamente immersi. Si scoprono dettagli e luoghi che andando ad altre velocità sfuggirebbero. Ho ancora impresse le descrizioni di alcuni viaggiatori, che magari partono quando è ancora buio e aspettano l’alba come una rivelazione.

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Attraversare i luoghi della Via Francigena è come fare un viaggio nel tempo. Quali sono le relazioni tra la mobilità lenta e la rinascita delle aree interne?

La Via Francigena rappresenta un’importante opportunità per valorizzare il territorio e le comunità, da un punto di vista sia culturale che economico. Agli inizi, quando si stava definendo il tracciato principale, molti Comuni non erano interessati a farne parte perché non sapevano neanche cosa fosse o l’opportunità che rappresentasse. Adesso è il contrario: molte località cercano di motivare la loro importanza storica rispetto alla Francigena e di essere inserite come varianti al percorso principale.

La presenza di diramazioni rispetto al tracciato principale della Francigena non è un fenomeno nuovo. La Via Francigena infatti non è mai stata un tracciato unico, ma era un’arteria con una direzione principale, seguita da varie diramazioni, che durante il corso del tempo ha subito sostanziali modifiche, sia su scala micro che macro-territoriale, per motivazioni politico-militari, ambientali e anche legate al corso delle stagioni . Accadeva nel Medioevo e succede oggi che la si sta ripercorrendo.

La cosa più importante di tutte è che negli anni si è assistito, oltre alla riscoperta del valore storico e paesaggistico dei luoghi attraversati dalla Francigena, al consolidamento di un’identità territoriale forte degli abitanti delle aree interne, oggi più che mai veri e propri custodi dell’autenticità e del patrimonio del loro territorio.

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