12 Gen 2023

Basi in Sardegna: storia della servitù militare e dell’attivismo pacifista

Scritto da: Laura Tussi

Da decenni la Sardegna e il suo popolo sono ostaggio di interessi politici e militari che sfruttano il territorio impoverendolo, facendo ammalare o scappare chi lo abita, inquinando e alimentando la cultura della guerra. Tuttavia l'isola ha saputo reagire e sono innumerevoli le iniziative di contrasto a questi abusi, per conquistare l'autodeterminazione e diffondere i valori della pace e della nonviolenza.

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Questa sola parola: non vogliamo più armi, non facciamo più armi”

David Maria Turoldo 

La Sardegna è una delle regioni italiane più militarizzate, tra basi militari, poligoni, servitù militari, dove si addestrano eserciti di tutto il mondo. Nell’isola migliaia di ettari di territorio sono interessati a servitù militari e per varie migliaia di chilometri di mare è vietata la navigazione, così come la pesca, durante le esercitazioni militari. Tre sono i grandi poligoni: Salto di Quirra, Capo frasca, Teulada. La maggior parte della superficie italiana soggetta a servitù militari si trova in Sardegna. Insopportabili gli effetti sulla vita, la salute, l’ambiente, l’economia della popolazione.

I MOVIMENTI PACIFISTI SI OPPONGONO

È dal dopoguerra che nell’isola sono attivi movimenti pacifisti diffusi che hanno contestato e contrastato un destino deciso altrove al servizio di strategie politiche e militari che calpestano la volontà delle popolazioni locali. Una solida tradizione di lotta e resistenza contro la militarizzazione e la guerra, per la tutela della salute e dell’ambiente intrecciate per le lotte sociali e con le lotte sociali, per la rinascita e la risoluzione dei problemi economici e sociali della popolazione. Da questa esperienza nascono i celebri murales di Orgosolo, che parlano con l’arte e raffigurano le lotte per la pace, episodi di vita quotidiana, l’emancipazione della donna, le culture locali e altro ancora.

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I POLIGONI DI QUIRRA, CAPO FRASCA E CAPO TEULADA

Il poligono missilistico sperimentale di Quirra è il più vasto d’Europa: istituito nel 1957 è utilizzato soprattutto dalle industrie che producono armi. Gran parte della popolazione ha abbandonato il proprio territorio nel corso degli anni e vi sono numerosissimi casi di tumore. Vari anche i casi di incidenti, di missili finiti fuori rotta, fuori dal poligono con danni e rischi abnormi.

Sulla costa occidentale vi è il poligono di tiro di Capo frasca. Nel 1969 il primo incidente si verifica quando un aereo mitraglia una barca della cooperativa del golfo di Marceddì e ferisce un pescatore. Da allora numerosi gli incidenti segnalati. La militarizzazione di questa zona è stata la fine del paese di Sant’Antonio di Santadi, perché l’esproprio di terreni ha costretto gli abitanti ad emigrare. E anche qui la popolazione si è ribellata con la rivolta di Cabras nel 1978.

A Capo Teulada, più a sud, si trova il poligono per esercitazioni terra, aria, mare. Il secondo poligono di Italia per estensione. Anche qui tanti rischi per la popolazione a cominciare dagli errori e dall’inquinamento ambientale derivano dall’utilizzo dei famigerati proiettili all’uranio impoverito.

Questi i siti principali, ma tutta l’isola è disseminata di tante altre installazioni militari: l’aeroporto Nato di Decimomannu, la base di capo Marrargiu, il porto militare di Cagliari, le polveriere, i radar, i depositi di carburante. In passato e per molto tempo nell’isola di Santo Stefano dell’arcipelago de La Maddalena la marina USA aveva una nave appoggio per sommergibili nucleari, in piena guerra fredda. L’oppressione che penalizza la Sardegna in misura abnorme e iniqua ha trasformato la felice posizione di centralità mediterranea in una maledizione per il popolo sardo e quelli dell’altra riva.

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LA STRATEGIA MILITARE NATO-USA

Dagli anni cinquanta, nel quadro della strategia militare NATO-USA la Sardegna è usata come immensa base. A partire dagli anni novanta, i vertici militari annunciano ripetutamente con estrema chiarezza che l’importanza strategica dell’isola è potenziata e destinata a crescere. I segni forti e palesi del rafforzarsi della schiavitù militare non sono colti né dalle istituzioni né dalla classe dirigente, entrambe arroccate nella tradizionale politica del “non vedo, non sento, non parlo”.

Sono invece segni colti dalle popolazioni costrette loro malgrado a convivere con le devastanti attività militari. Il progetto eterodiretto imposto alla Sardegna lentamente produce nel popolo sardo degli anticorpi. L’insofferenza popolare, fortemente radicata, nonostante da mezzo secolo si tenti di soffocarla e di anestetizzarla sembra scuotersi dall’atavica rassegnazione.

I PACIFISTI SI MOBILITANO E DENUNCIANO

Per merito dei pacifisti sardi, emergono i casi di leucemia provocati dall’uso dell’uranio impoverito in Bosnia e nei poligoni. Importante il convegno a Cagliari nel luglio 2007 riguardante l’opposizione alle basi militari in Sardegna e nel mondo. Si parla di sindrome di Quirra, unitamente alla sindrome dei Balcani. Nel 2001 la coraggiosa denuncia del medico e sindaco Antonio Pili fa emergere i dati da brivido sui tumori a Quirra: quindi un lavoro dal basso porta alla luce anche la drammatica situazione di un paese confinante con il lato sud ovest del poligono.

L’oppressione che penalizza la Sardegna in misura abnorme e iniqua ha trasformato la felice posizione di centralità mediterranea in una maledizione per il popolo sardo

L’esproprio delle risorse naturali e il conseguente strangolamento della fragile economia provocato dall’ingombrante e minacciosa presenza militare suscita ondate ricorrenti di opposizione popolare. Pastori e pescatori di volta in volta si mobilitano in un’ostinata difesa del poco lavoro che è stato loro concesso di svolgere, nei pochi pascoli devastati dai giochi di guerra, nelle ristrette zone di mare, ormai saturo di ordigni bellici. Negli anni novanta i pescatori del Sulcis si mobilitano e ottengono risultati.

Strati crescenti di popolazione vanno acquisendo una sempre maggiore consapevolezza del ruolo che le basi militari giocano nelle politiche militari della Sardegna, per i diritti umani negati, il diritto all’uso sostenibile delle risorse, il diritto al controllo democratico del territorio, il diritto a vivere senza l’incubo dell’olocausto nucleare, dell’uranio impoverito, della morte lenta per leucemia. E la lotta contro la guerra di aggressione in Iraq si va lentamente intrecciando e rafforzando a vicenda con queste problematiche, dando spessore alla consapevolezza che ripudiare la guerra comporta il rifiutare le basi e i poligoni della guerra stessa.

L’ISOLA DI PACE NEL MEDITERRANEO

Diventa sempre più profondo e visibile l’abisso che separa il ruolo di lugubre scuola di guerra, aggressivo bastione armato del Mediterraneo imposto alla Sardegna dalle alte sfere internazionali, e il progetto di futuro, deciso dalla Sardegna, dal suo popolo e dalle istituzioni di ospitale crocevia di popoli e culture delle due rive del Mediterraneo.

Nel corso della sua storia millenaria la Sardegna non ha mai mosso guerra di aggressione ad altri popoli. È sempre stata isola di pace e intende essere isola di pace. La lotta conferma che non esiste governo né forza armata che non possono essere sconfitti da un popolo quando il popolo ha la ragione e la volontà di lottare per far prevalere i suoi diritti e le sue esigenze.

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Noi pacifisti e nonviolenti lavoriamo per liberare la Sardegna dalla presenza militare con l’obiettivo che tutto l’apparato che sostiene e fomenta la guerra così come schiavitù, razzismo, ingiustizia sociale, finisca al più presto nell’archeologia della storia. Crediamo che la Sardegna possa dare un enorme contributo perché enorme è il peso della pressione militare che la mortifica. Liberandosi del ruolo di vittima, si libera del ruolo di complice e concorre a liberare l’umanità dall’incubo della guerra.

In un documento del 2012 i comitati pacifisti e le famiglie dei militari uccisi da tumore chiedono con forza la sospensione delle attività dei poligoni dove si sono registrate patologie di guerra. L’evacuazione dei militari esposti alla contaminazione dei poligoni; il ripristino ambientale; la bonifica seria e credibile delle aree terrestri e marine contaminate; il risarcimento dei malati alle famiglie; il ripudio della guerra e delle sue basi concentrate in Sardegna; l’impiego delle risorse ai fini di pace. Vorrei menzionare per concludere il libro Sono morto come un vietcong. Leucemie di guerra della giovane pacifista sarda Giulia Spada, una forte denuncia e importante presa di posizione e testimonianza a favore della pace.

Bibliografia di approfondimento

  • Bobbio Norberto, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 2009
  • Mastrolilli Paolo, Lo specchio del mondo. Le ragioni della crisi dell’ONU, Laterza, Roma 2005
  • Mini Fabio, Perché siamo così ipocriti sulla guerra? Un generale della Nato racconta, Chiarelettere, Milano 2012
  • Pugliese Francesco, Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 a oggi, Grafiche futura, Mattarello – Trento

Fonti analitiche

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