5 Lug 2023

Il Centro di Educazione alla Pace di Rovereto e la sperimentazione di forme creative di coinvolgimento

Scritto da: Laura Tussi

Sin dagli anni ottanta il Centro di Educazione alla Pace di Rovereto ha portato avanti una fondamentale attività per la diffusione di una cultura di pace e nonviolenza attraverso iniziative innovative che hanno fatto scuola in tutta Italia. Il tutto nel segno di una figura storica del mondo dell'attivismo trentino, italiano e internazionale di cui è appena ricorso il 28esimo anniversario della scomparsa: Alex Langer.

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Trento, Trentino Alto Adige - Comiso, Baghdad, Sarajevo… Erano gli anni ottanta, e poi novanta e a livello nazionale e globale si assisteva quasi inermi, ma con una grande volontà di azione e cambiamento, a condizioni di violenza e ferocia conclamate che continuavano nel solco della storia di sempre, ma con un’accelerazione dopo gli eventi del 1989. Eppure sembrava che un’alternativa fosse possibile: la capacità di mobilitazione, sollecitata da organismi collettivi e da reti spontanee e in espansione strutturata. Era la prova di una opinione pubblica indisponibile ad accettare gli orrori delle nuove guerre e la logica dell’iniquità.

Senza illusioni di un successo immediato, vista la disparità delle forze, ma con la consapevolezza che la nuova società aveva possibilità di sbocciare: quella della partecipazione in chiave pacifista e quella che a un certo punto si sarebbe riassunta nello slogan “fuori la guerra dalla storia”. Fra le tante, è interessante ripercorrere un’esperienza in particolare –il laboratorio Trentino per la nonviolenza e di educazione alla pace e in particolare il Centro di Educazione alla Pace di Rovereto –, proprio nei giorni in cui ricorre il 28esimo anniversario della morte di uno dei maggiori protagonisti della scena pacifista trentina.

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Questo laboratorio infatti e il Trentino tutto sono profondamente legati alla propizia e quanto mai carismatica personalità di Alex Langer. Il Centro di Educazione alla Pace di Rovereto è stato un luogo felice e chi, per volontà o per caso, ha potuto circolare tra questo incrocio di progetti, ne ha misurato l’impegno e le potenzialità non sempre pienamente realizzate. Nel piccolo ambito della città trentina, gli attivisti si sono sentiti grandi, aperti, collegati con il mondo e le sue miserie, ma anche le sue forze nobili, impegnati sui temi che entro lo sguardo critico sui giochi planetari, erano e sono le direttrici per il pensiero e l’azione di una nuova civiltà.

La pace, i diritti, l’ambiente, la crescita di panorami nuovi di cittadinanza. Su questo gli attivisti che hanno strutturato i lavori del Centro di Educazione alla Pace si sono impegnati operando su una molteplicità di livelli: dalla manifestazione all’approfondimento tematico, dai progetti con le scuole e i primi incontri e percorsi civicamente interculturali. Il comitato delle associazioni per la pace e i diritti umani era molto attivo e forte, già allora, di una lunghissima storia.

L’opposizione ai missili Cruise e la carica ideale terzomondista sono state alle radici di un soggetto rimasto attivo fino ai tempi attuali. Sono ancora presenti le realtà fondatrici, se ne sono aggregate altre nate in seguito, sono stati promossi gruppi di lavoro e nuove esperienze di associazionismo strutturato e di incontro informale. Si è affermato più che una ricambio, una crescita generazionale. La dialettica interna, a volte anche non poco sofferta, è stata garantita dai diversi mondi di riferimento politici e religiosi – laico, cattolico, valdese, islamico e altri – che vi hanno partecipato.

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Il centro di educazione permanente alla pace, gestito dal comitato, dal 1992 è il luogo fisico per la progettualità, la formazione, la testimonianza, la documentazione. Intorno a queste istanze è stata pensata e perseguita la rete per l’educazione alla pace a livello nazionale. Qui si sono incontrati una moltitudine di protagonisti dal basso: testimoni dalla ex Jugoslavia, nonne di Plaza de Majo, monaci tibetani, attivisti di tanti paesi africani e così via.

Qui si sono avvicinate ottiche spirituali diverse e culture religiose e si sono svolti percorsi importanti sul potenziamento delle iniziative e soprattutto sull’emancipazione della donna: si è cercato di analizzare insomma quel processo dal quartiere all’ONU, al palazzo di vetro a cui qualcuno degli attivisti è arrivato davvero.

Il Centro di Educazione alla Pace è stato un luogo di sperimentazione di forme creative di coinvolgimento, una per tutte “danzare la pace”. E si sono avviate le prime proposte di formazione rivolta agli insegnanti per far entrare nella scuola metodi e contenuti coerenti con un diverso futuro. Sono partiti i primissimi, volontaristici corsi di italiano per stranieri, che erano contemporaneamente occasioni di conoscenza reciproca. Si sono sviluppate diverse iniziative sui beni comuni, a partire dalla campagna sull’acqua e le proposte per uno sviluppo sostenibile.

Uno degli obiettivi del Centro di Educazione alla Pace è il “fare memoria” di storie di questi decenni, che è una necessità comunque

A Rovereto fa centro il comitato migranti, una larga rete per l’accoglienza in relazione, tramite incontri e corsi con i giovani profughi ospitati nel territorio. Negli anni novanta del secolo scorso, la città trentina ha visto svilupparsi progetti di ricerca e informazione a respiro internazionale con i quali il comitato ha cercato di interagire, come l’Università dell’istruzione dei popoli per la pace e l’osservatorio sui Balcani e Caucaso. Il decennio di attività dell’Università dell’istruzione dei popoli per la pace ha portato in città i più impegnati studiosi su pace, nonviolenza, diplomazia popolare, globalizzazione. E con questi per le sessioni annuali dei corsi, sono arrivati giovani da tutto il mondo, portatori di vissuti ed esperienze comunitarie e professionali davvero esemplari.

Ragionare con rigore scientifico sui meccanismi del conflitto e della possibilità di conciliazione, della violenza strutturale e quindi di principi di economia mondiale; far incontrare in un percorso comune studenti israeliani e palestinesi; portare nelle scuole l’attivista nigeriana, lo studente nepalese, il giornalista colombiano. Questo e altro ancora si è cercato di portare nel tessuto cittadino fino all’esperienza internazionale. I corsi locali hanno poi investito ambiti molteplici, come l’educazione interculturale, l’amministrazione pubblica, l’economia, la solidarietà internazionale.

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E anche su questo si è sempre tentato di portare riflessione ed esperienza a destinatari di più ampio respiro oltre l’azione d’aula.
Ma per tutta questa storia rimandiamo a spazi e strumenti appositi. È difficile misurare nelle sue ricadute l’attivismo di tante vite, di una comunità variegata. Sono sempre stati consapevoli della difficoltà di far percepire alla città la presenza continuativa, il lavoro veramente quotidiano, aldilà delle manifestazioni di maggiore visibilità.

Allargare la partecipazione, agganciare nuovi interlocutori, far circolare idee e proposte in ambienti più vasti sono stati mantenuti come obiettivi paralleli a un’iniziativa come il “fare memoria” di storie di questi decenni, che è una necessità comunque. Tanto più lo è oggi, quando è difficile contare sulle grandi risposte pubbliche che hanno accompagnato gli anni novanta. Con la coscienza di quanto si è costruito e la ricognizione su quello che vive, rinforziamo il nostro sguardo verso il futuro. Per superare l’attuale tragica congiuntura di estrema deriva bellicista in Russia e Ucraina oltre il conflitto, oltre l’estremo limite della potenziale terza guerra mondiale con il suo tragico epilogo nell’apocalisse nucleare.

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