Come sta Valencia un mese e mezzo dopo l’alluvione che ha provocato 220 morti?
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La DANA, depressione isolata nei livelli alti, è la pioggia torrenziale attesa sempre a inizio autunno nella parte mediterranea della penisola iberica, quando l’aria calda del Mediterraneo si scontra con il freddo proveniente da nord e l’umidità condensa rapidamente. Quella dello scorso fine ottobre è stata travolgente e ha superato, in media, di circa un metro l’inondazione che travolse Valencia nel 1957 – in questo articolo vi ho raccontato la storia della mattonella apposta nel letto del fiume cittadino proprio in quel tragico anno.
Oggi i disastri, i crolli, le circa 130.000 macchine trascinate e accartocciate l’una sull’altra sono ancora una presenza inquietante, che ancora non si sa come e dove riciclare, con l’aggiunta di topi e serpenti risaliti dalle fogne e il terribile odore di cadaveri animali ricoperti da macerie: il fango è una melma che è ovunque, contro la quale sembra di sostenere una lotta impari e avvilente. Macchine di cantiere spostano le auto, ricostruiscono ponti provvisori, abbattono edifici pericolanti, ma per il fango servono mani umane, soprattutto per estrarlo dai sotterranei e dai piani bassi, braccia resistenti più che forti, volontà determinate, solidarietà che travalicano nell’emozione.
![Valencia](https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2024/12/alluvione-valencia-1-1024x682.png)
Mezzi e uomini dell’esercito sono arrivati dapprima in poche centinaia e poi, nel mese, fino a ottomila: dicono le autorità che sarebbe stato un disastro mandare tanti uomini subito, ancora prima di valutare le possibilità di accesso ai luoghi devastati e le necessarie attrezzature. Chi ha sgomberato le strade sono stati gli agricoltori, quelli che nei mesi passati erano stati caricati dalla polizia per le contestazioni e i blocchi stradali, intervenuti con trattori e pale meccaniche per consentire ai mezzi di soccorso di accedere.
Nei giorni immediatamente dopo l’alluvione a Valencia si è creata una vera e propria ondata umana che è stato necessario organizzare, perfino arginare, per evitare che “intralciasse” gli aiuti ufficiali o forse perché non ne mostrasse l’insufficienza; sicuramente anche per evitare che le persone si esponessero a rischi, come i crolli successivi, che pure hanno fatto qualche vittima fra i soccorritori.
Le cittadine della provincia erano ancora invischiate nella melma e migliaia di giovani raggiungevano a piedi le periferie, le zone a sud e a ovest, dove il disastro era più grande e la gente più sola, soccorrendo i primi che incontravano. E le stesse autorità hanno cercato di dare appuntamento a tutti questi giovani nella zona della Città della Scienza, per prelevare quanti arrivavano con scope e secchi casalinghi, in mancanza di strumenti, e accompagnarli coi pullman di linea dove era possibile, dove più serviva.
Quello che hanno visto i ragazzi in quei luoghi è stato devastante non solo per la catastrofe e i suoi danni, ma anche per il senso di solitudine e di abbandono che hanno provato le persone di Valencia, ancora a distanza di giorni, sole a confrontarsi con le perdite umane, con case distrutte o non più abitabili, con la necessità di trovare un po’ di riparo dal freddo e dall’umido, con la difficoltà di reperire vestiti, cibo e acqua potabile, visto che tutte le attività commerciali erano devastate.
![Valencia](https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2024/12/alluvione-valencia-2-1024x685.png)
Nel bilancio, ancora incerto, si parla di circa 220 vittime, ma si teme che ci siano ancora altri morti nascosti o trascinati fino al mare: alcuni sono stati trovati a decine di chilometri di distanza dai luoghi di provenienza, ma non tutti ancora sono identificati e si lamentano ancora dispersi. Tra le vittime si contano soprattutto persone anziane, che non hanno avuto modo di chiamare aiuti perché sono saltate le comunicazioni mobili insieme alla corrente o non sono riusciti a sottrarsi spostandosi ai piani superiori, considerando che molti avevano problemi di deambulazione e vivevano ai piani terra, in diversi punti dove l’acqua è arrivata fino a tre metri.
La gente non si fida più delle informazioni ufficiali e non a torto, perché da uno Stato così poco presente nelle strade è difficile attendersi che abbia la misura di quanto è successo. E anche i danni registrati a Valencia, soprattutto alle auto, non sono facili da dimostrare: le assicurazioni rimborsano solo con una prova fotografica del danno, ma spesso le vetture sono disperse o non sono riconoscibili.
E la sfiducia è talmente tanta che i giovani non vanno più agli appuntamenti alla Città della Scienza a favore di telecamere, preferiscono raggiungere a piedi i luoghi transitando sui primi attraversamenti che l’esercito è riuscito a realizzare. È lì che l’onda, passando nelle zone dove ha trovato il cemento della crescita sregolata, ha accelerato il suo corso e l’acqua si è trasformata in uno tsunami di terra, spaventoso, potente e lungo.
![Valencia](https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2024/12/alluvione-valencia-3-1024x681.png)
La città universitaria non ha subito danni, ma per settimane gli allievi l’hanno disertata per andare nel raggio di una decina di chilometri ad aiutare, con i suoi circa sessantamila studenti, di cui circa 3-4000 in progetti Erasmus, quindi provenienti da Europa e altri continenti. E si sono create reti autogestite per garantire gli aiuti, arrivando a occupare i supermercati sventrati, raccogliendo i prodotti ancora utilizzabili e installandovi delle cucine per la distribuzione di pasti caldi. I bambini e ragazzi sono senza scuole e potrebbero essere accompagnati a Valencia utilizzando aule libere in città, ma non vi si provvede.
La gente di Valencia è arrabbiata con i politici perché nei recenti avvicendamenti l’attuale governo regionale, negazionista climatico, aveva reso inoperante l’iniziativa del precedente governo socialista, che almeno aveva istituito una Unità Valenziana per le Emergenze, nata per affrontare gli incendi, ma che aveva anche fronteggiato efficacemente un fenomeno di gota frìa nel 2019, limitandone le vittime a poche unità. Gli amministratori locali a loro volta incolpano il governo centrale di non aver mandato sufficienti aiuti immediati, il governo si scarica le responsabilità appellandosi al fatto che le competenze sono regionali e che non è stato coinvolto in tempo.
Si è creata una vera e propria ondata umana che è stato necessario organizzare per evitare che “intralciasse” gli aiuti ufficiali o forse perché non ne mostrasse l’insufficienza
Tra gli amici volontari, gli operatori della sanità e della sicurezza, i militanti ambientalisti, i funzionari che ho contattato, percepisco soprattutto scoramento, desolazione, senso di abbandono. Rimangono le immagini dei ragazzi che si rimboccano le maniche, indossano mascherine e si sporcano di fango e che ora si danno da fare per distribuire i pasti che cucinano gli anziani dei quartieri coinvolti. Le responsabilità sono gravi e probabilmente ci saranno terremoti politici, ora vedremo se si prenderanno misure per un cambiamento climatico necessario, che richiede coraggio e decisioni improcrastinabili per un fenomeno conosciuto come le piogge torrenziali d’autunno ma diventato fuori controllo, anche per l’innegabile inerzia delle istituzioni.
Cosa possiamo fare noi davanti a fenomeni tanto tragici quanto grandi, che trasmettono un frustrante senso d’impotenza? Oltre ad attivarci per sostenere nell’immediato le popolazioni delle zone colpite anche solo con aiuti a distanza, è fondamentale avere una visione a lungo termine e capire come adattare il nostro stile di vita a fenomeni meteorologici estremi che sono destinati solo a intensificarsi. Per cominciare, vi suggeriamo di ascoltare il podcast Clima, maltempo, siccità: cosa possiamo fare per adattarci? in cui il direttore di Italia Che Cambia Daniel Tarozzi si confronta sul tema con Filippo Thiery, meterologo di Geo, e Cristiano Bottone, divulgatore e promotore di soluzioni
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