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«È incredibile come ogni giorno le notizie accadano sempre esattamente per quanto basta a riempire un quotidiano», recita una fulminante battuta scritta qualche anno fa dal grande comico Daniele Luttazzi. Personalmente gli aggiungerei un solo aggettivo: «le brutte notizie». Scrivo queste righe – per fortuna – su una delle poche lodevoli eccezioni: Italia Che Cambia, la testata che ormai da un anno ospita questa mia rubrica, ha da sempre scelto e portato avanti un approccio costruttivo al giornalismo, con notevole successo.
In compenso, esclusi i presenti, i grandi media sembrano specializzati nella collezione di guerre, omicidi, crimini, catastrofi naturali, crisi di vario tipo. Un catalogo di sfighe che puntualmente si arricchisce di minuto in minuto, per il semplice motivo che genera interazioni, clic, audience; insomma, sembra funzionare, dal punto di vista del business editoriale. Già, ma a che prezzo? Il risultato di questa continua corsa al rialzo dei toni è un pubblico sempre più indignato, inferocito, spaventato, ansioso, disperato.
Ma soprattutto: possibile che ogni giorno non accadano sufficienti belle notizie, tante che possano riempire anch’esse quel benedetto quotidiano? A chi è abituato a raccontare e a sentir raccontare solo il marcio dell’esistenza potrà sembrare incredibile, eppure i freddi numeri ci raccontano che in questo periodo storico abbiamo una vita media più lunga, meno morti violente, per malattia, per fame, insomma condizioni di vita complessivamente migliori, persino per le popolazioni più povere e disagiate, di tutto il resto della storia dell’umanità. Come è possibile conciliare questo dato di fatto con lo storytelling – come lo chiamano quelli bravi – dell’informazione? Forse non sono davvero le buone notizie che non accadono; forse piuttosto sono i giornalisti a non essere abituati a cercarle.

Certamente la pensa così Tonino Esposito, ex funzionario di banca in pensione, che ha deciso di dedicare la sua vita al tema della comunicazione sociale positiva, fondando ormai dieci anni fa, insieme a un gruppo di altri cittadini – alcuni dei quali giornalisti professionisti – l’associazione culturale no profit The Bright Side, di cui è presidente. «Se racconta solo ciò che di negativo c’è nel mondo, omettendo la metà positiva, allora chi ha il dovere dell’informazione fa male il proprio lavoro e fa del male alle persone, soprattutto ai ragazzi», è la sua filosofia. «Gli esperti ci dicono che, venendo bombardati di brutte notizie, si riceve un imprinting negativo quasi irreversibile, tanto da perdere la capacità di vedere e riconoscere il bello».
Cominciamo dunque smentendo finalmente un falso mito, purtroppo duro a morire nel mondo del giornalismo: «Non è vero che le buone notizie non fanno notizia o che non hanno mercato. A chi lo sostiene ricordo che il martedì, quando esce l’inserto settimanale Buone notizie, il Corriere della Sera vende in media quattro volte di più degli altri giorni. È vero piuttosto che è più difficile raccontarle, anche perché non esiste una scuola di giornalismo positivo e costruttivo, non c’è un modello di riferimento. Bisogna trovare un linguaggio avvincente, convincente, sexy: come ai suoi tempi fece Piero Angela con la cultura e la scienza».
Vogliamo fare una rivoluzione culturale
Tonino Esposito non sarà il nuovo Piero Angela, ma con la sua associazione The Bright Side, insieme a una manciata di collaboratori convinti e a non pochi alleati esterni – tra i soci onorari figurano ad esempio Susanna Tamaro, Paola Saluzzi, Ermete Realacci, Veronica Maya, Giovanni Valentini, Marco Frittella – qualche risultato lo ha già ottenuto. «Combattiamo una lotta titanica con i nostri piccoli mezzi, economici e organizzativi – ammette –, ma ci siamo fatti largo a forza di spallate, ci siamo costruiti una reputazione con le nostre provocazioni positive. In dieci anni abbiamo lanciato tanti progetti: alcuni portati a termine, altri ideati e pronti sul nostro sito, disponibili per chiunque abbia interesse a dar loro vita insieme a noi».
Due progetti su tutti di cui va particolarmente orgoglioso: «Siamo conosciuti soprattutto per il TG delle buone notizie, prodotto nel 2017 dalle scuole elementari e medie, progetto nazionale unico in Italia, con rappresentanze di tutte le regioni. Da qualche anno, poi, realizziamo l’Annuario delle storie gentili e delle buone notizie, in e-book e anche in edizione cartacea». Nell’ultima edizione dell’annuario hanno trovato spazio – giusto per menzionarne qualcuna – la storia di Franz Kafka che leggeva a una bimba le «lettere di una bambola»; quella di Nadia e Franco, gestori di un rifugio sopravvissuti al freddo della montagna grazie alla solidarietà di tantissime persone; e di Giovanni, quattordicenne che dopo il naufragio di Cutro ha deciso di aiutare i migranti.

Negli anni, Esposito ha avuto occasione di entrare in contatto con i più grandi nomi dell’informazione italiana, scoprendo che in realtà la convinzione che porta avanti è più diffusa di quanto si aspettasse: «Abbiamo incontrato tanti giornalisti importanti, compresi i direttori delle più grandi testate nazionali, giornalistiche e televisive. Tutti, nessuno escluso, ci hanno dato ragione. Ne sono consapevoli e a volte provano anche senso di colpa, ma sono vittime di loro stessi: sono stati formati con quel modello culturale ed è più forte di loro».
Il problema dunque sta nel trasformare l’idea in una pratica editoriale concreta: «A noi la ragione non interessa – ribatte il presidente di The Bright Side –: vorremmo che da domani si assumessero la responsabilità di cambiare le logiche, perché si può fare. Immaginiamo un telegiornale che per quindici minuti è come quelli attuali, ma per gli altri quindici racconta tutto ciò che di bello, innovativo, futuribile si muove intorno a noi. Insomma, vogliamo fare una rivoluzione culturale».
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