23 Maggio 2025 | Tempo lettura: 9 minuti
Ispirazioni / Meme!

Allenare il cambiamento attraverso il nudge: la visione gentile di Irene Ivoi

In un mondo pieno di urgenze e comandi frettolosi, Irene Ivoi preferisce un altro verbo: accompagnare. Non spinge, non costringe. Progetta cornici che fanno venire voglia di cambiare, attraverso il nudge, la cosiddetta spinta gentile.

Autore: Valentina D'Amora
irene ivoi

In un’epoca in cui si parla sempre di cambiamento, ma non sempre si riesce a tradurlo in gesti concreti, ci sono persone che progettano proprio quel varco invisibile tra le buone intenzioni e le buone azioni. Irene Ivoi è una di loro. Designer di formazione, ma anche consulente, formatrice e “pensatrice gentile”, Irene lavora da anni sull’intreccio tra sostenibilità, innovazione dei comportamenti e design dei contesti.

Lo fa usando uno strumento tanto sottile quanto potente: il nudge, ossia la spinta gentile, un concetto sviluppato dagli economisti Richard Thaler e Cass Sunstein nel loro celebre libro Nudge. La Spinta Gentile — Libro di Richard H. Thaler. È diventato un’idea chiave dell’economia comportamentale, tanto da valere a Thaler il Nobel per l’economia nel 2017. In altre parole è una tecnica per influenzare i comportamenti delle persone senza imporre obblighi o divieti, né offrire incentivi economici. Si tratta di modificare il contesto in cui le decisioni vengono prese – quello che chiamano “architettura della scelta” – per spingere le persone a fare la scelta più vantaggiosa per sé e per la collettività.

Ho fatto una bella chiacchierata con lei per esplorare in che modo in cui ci si può “allenare” al cambiamento culturale, progettando scelte più consapevoli e costruendo una realtà più sostenibile. E si può, una decisione alla volta. Abbiamo parlato di comportamenti che cambiano forma e di parole che fanno da cerniera tra ciò che siamo e ciò che possiamo diventare.

Irene, come hai conosciuto il concetto di nudge e cosa ti ha portata ad applicarlo nel tuo lavoro?

Il nudge è entrato nella mia vita diversi anni fa grazie a Piero Capodieci, un ingegnere psicologo che mi ha parlato di questa teoria e in particolare del libro pubblicato nel 2008, scritto da due economisti comportamentali americani, Thaler e Sunstein. Quando mi sono accostata all’argomento ho capito subito che tutto ciò di cui parlavano era esattamente ciò che io avevo fatto per tutta la vita ma senza un metodo, senza basi scientifiche e solo e soltanto utilizzando il mio cervello.

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A destra Irene Ivoi

Io sono un’autodidatta da sempre: ho una laurea di industrial design che apparentemente può non avere nulla a che fare col fatto che mi occupo di sostenibilità da 33 anni. Quello che invece ho studiato e quindi mi ha dato struttura però è la capacità di risolvere i problemi, perché è questo che l’industrial design insegna. Devi progettare una sedia, una lampada, un oggetto qualsiasi: ecco, quell’oggetto deve funzionare, quindi come progettista devi trovare soluzioni che rendano funzionale quello che stai pensando.

Tutto ciò che, come sapere, ho appreso nell’ambito della sostenibilità è arrivato in modalità autodidatta, per questo quando ho scoperto le teorie di questo libro mi sono detta: “Devo studiarlo approfonditamente per dare una assetto migliore alle cose che mi piacciono, che mi interessano, che faccio”. E così è stato.

Quindi hai dato un nome e un quadro a quanto già facevi. Nel 2020 sei stata relatrice al Tedx di Barletta e hai parlato proprio della spinta gentile.

Sì, ho scelto di esplorare il tema del nudge e da lì in poi mi sono successe una serie di cose bellissime. Questo argomento in Italia è ancora poco conosciuto, ma essendo anche molto affascinante tanti hanno cominciato a contattarmi per chiedermi di raccontarlo, di insegnarlo, di divulgarlo, di spiegarlo e di applicarlo anche. Nel frattempo, sotto la guida di Capodieci, avevo studiato in profondità quelle teorie.

E poi?

Ecco, da lì è arrivato il mio libro, La cerniera. La spinta gentile al servizio della sostenibilità, il mio tentativo di dare una struttura logica a tutte le informazioni, i contenuti, le suggestioni che avevo raccolto nel tempo. Nel momento in cui scrivi, come dico sempre, le parole non sono più tue, sono di chi ti legge.

In questo senso scrivere è un atto di egoismo da un lato, ma dall’altro è un gesto di immensa generosità perché ti consente di mettere a disposizione di tutti le cose che sai. Ovviamente questo libro non contiene tutto quello che conosco sulla spinta gentile, però è stato per me un modo di catalogare le cose che so, dividendole per tipologie, per aree, per settori e quindi di fare un lavoro di divulgazione.

Qual è stato un intervento tra i più efficaci a cui ha lavorato?

Mi viene in mente Acquartiere, un progetto che ho realizzato circa vent’anni fa e che riguardava la richiesta di far avvicinare i cittadini all’acqua del rubinetto. Avevamo scoperto che in un quartiere fiorentino presso cui stavamo operando, una zona residenziale di settantasettemila abitanti, quasi tutti i residenti bevevano solo minerale. Per ridurre la quantità di platica nei cassonetti, mi sono inventata un’offerta plurale di acqua, mettendo insieme vari interventi: innanzitutto una fontanella in un parco pubblico, aperto 24 ore su 24, idealmente simile alle casette dell’acqua di oggi che all’epoca non esistevano.

Dopodiché abbiamo preso accordi con alcuni esercizi commerciali di prossimità presso cui abbiamo collocato degli apparecchi che erogavano acqua trattata in bottiglie riutilizzabili al prezzo di 8 centesimi al litro – una minerale da 1,5 litri costava 35 centesimi –; infine abbiamo dotato tutti gli over 65 del quartiere di apparecchi filtranti per avere l’acqua organoletticamente trattata o gassata direttamente a casa.

Nel giro di pochi mesi questo progetto ha spostato i consumi della minerale di oltre un terzo, cioè un terzo delle persone che prima bevevano solo acqua minerale si sono spostate verso il rubinetto. Questo è un esempio di che cosa significa intervenire in un contesto pubblico su un problema specifico attraverso una nuova architettura di scelte, come dice la teoria del nudge, per aiutare le persone a comportarsi diversamente. Ecco, è un progetto macro che però dà un’idea di che cosa significa agire su un tema circoscritto adottando questi criteri.

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Un intervento che invece non è andato come speravi?

A Brescia, una decina di anni fa, in un quartiere in cui avevamo messo in atto un progetto pilota, abbiamo distribuito alle famiglie un adesivo con un messaggio: “Se non siete interessati a farvi riempire la cassetta postale di pubblicità, applicatevi sopra questo adesivo, chiedendo al distributore di posta di rispettarlo”. I cittadini avrebbero dovuto prendere quell’adesivo e attaccarlo sulla propria buca delle lettere: un gesto attivo, quindi.

Siccome spesso le persone indugiano per il bias dello status quo – in psicologia è un pregiudizio che non ci consente di cambiare e ci fa restare nella situazione attuale – puntando a fare la minor fatica possibile per ottenere il massimo risultato, nel momento in cui io ho chiesto loro di fare quel gesto in realtà ho richiesto uno sforzo, quindi la risposta è conseguentemente più bassa. Per questo il progetto di Brescia non ha ottenuto i risultati sperati. Probabilmente se avessi conosciuto meglio una serie di stratagemmi, di accorgimenti tipici del nudge, forse quell’azione l’avrei progettata diversamente.

Il nudge lavora spesso in silenzio, a margine, sullo sfondo. Come si progetta secondo te un’azione invisibile ma efficace?

Occorre avere molto chiaro qual è il comportamento da modificare, perché il nudge è uno strumento che agisce sui comportamenti e quindi bisogna decidere in maniera abbastanza precisa cosa voglio che le persone facciano a partire da domani rispetto a un problema. Quel comportamento te lo devi proprio immaginare quasi fisicamente. Poi sono importanti anche il contesto di riferimento e le persone con cui ti stai per rapportare. È importante conoscere le famose distorsioni cognitive, quelle che gli psicologi chiamano bias, le scorciatoie mentali, in psicologia note come “euristiche”, perché puoi decidere di utilizzarle per avere a disposizione una cassetta degli attrezzi più ampia e progettare una soluzione probabilmente più creativa.

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Irene Ivoi insieme ai volontari dell’associazione Cittadini Sostenibili alla presentazione del libro a Genova

Cè una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui invece ti piacerebbe rispondere?

Sì, fammi pensare. Ecco: “Quanto è cambiato il mondo della sostenibilità in questi ultimi trent’anni?”. È una domanda semplice, ma è raro che mi venga posta. Da cittadina rispetto a trent’anni fa trovo che la sostenibilità oggi sia diventata un criterio con cui molte più persone orientano le proprie scelte e le proprie decisioni.

È anche vero però che rispetto al ’95 sappiamo e abbiamo imparato cose che all’epoca non sapevamo. Mentre trent’anni fa dovevi insegnare, per esempio, come fare la raccolta differenziata correttamente, oggi alle persone devi spiegare che andare a sciare su una neve prodotta dai cannoni è un atto sconsiderato dal punto di vista ambientale. Trent’anni fa una cosa del genere nemmeno ce la chiedevamo, innanzitutto perché la neve esisteva ancora, ma poi perché non ci facevamo domande, per esempio, su che cosa significasse organizzare una vacanza sostenibile o scegliere di comprare un capo di abbigliamento sostenibile.

Oggi siamo più consapevoli, sappiamo quanti litri di acqua ci vogliono per produrre una maglietta, quindi possiamo con più attenzione decidere di comprarla oppure no. Abbiamo imparato a parlare di sfuso, di biologico, di chilometro zero, di plastic free, di shopper riutilizzabili invece che monouso. Conosciamo le basi di una buona gestione dei rifiuti, usiamo di più la bicicletta, utilizziamo fonti energetiche rinnovabili. Ecco, siamo molto più bravi rispetto a una trentina d’anni fa.

Quello che oggi secondo me ancora manca è la conoscenza dei consumi occulti di materia e di risorse che caratterizzano il nostro essere o non essere sostenibili. Per esempio noto poca consapevolezza sul tema del turismo, dal tipo di vacanza che scegli a cosa fai una volta a destinazione, passando da come ti sposti per andare in vacanza.

Informazioni chiave

La cosiddetta “spinta gentile”

Si tratta di una tecnica basata su modifiche sull’architettura della scelta per influenzare i comportamenti, senza coercizione né incentivi economici. Deriva dal libro di Richard Thaler (premio Nobel) e Cass Sunstein.

Il nudge si può applicare anche alla sostenibilità

La designer e consulente Irene Ivoi la utilizza per stimolare comportamenti sostenibili e consapevoli. Dopo averne studiato a fondo la teoria, ne è diventata divulgatrice.

Il suo approccio progettuale?

Il nudge deve essere contestualizzato e progettato in modo “invisibile ma efficace”, definendo in anticipo e con precisione il comportamento da modificare.