La Sardegna e il mito dei borghi autentici: quando il paese diventa vetrina e l’identità resta in ombra
A Sadali, l’Ecomuseo e la guida Ornella Piroddi raccontano la contronarrazione di un’Isola reale lontana dagli stereotipi, primo fra tutti quello che non ci siano più paesi, ma borghi.
La Sardegna, isola arcaica, dai panorami ancestrali, abitata da piccole creature cocciute che conducono una vita lenta, immerse nella natura incontaminata. La civiltà qui si articola in piccoli e graziosi borghi in cui il tempo si è fermato. Corretto? Ecco, in queste parole si condensano una serie di stereotipi e luoghi comuni, imposti da altrove o costruiti per rispondere a esigenze esterne – spesso turistiche o commerciali. Le parole però sono importanti, sono alla base dell’interpretazione del mondo circostante, e attraverso esse e le narrazioni che compongono passa anche il concetto di identità.
E chi vive davvero nel territorio spesso non sente di appartenere a quelle che, se da un lato sono narrazioni fiabesche, dall’altro costituiscono una rappresentazione che serve meglio il mercato che non la verità delle comunità locali. Ornella Piroddi, guida turistica e socia della cooperativa Le Tre Fate, che dal 2013 gestisce l’Ecomuseo di Sadali, dove si impegna anche nel fare contronarrazione, smantellando stereotipi e ribadendo con forza: «Non siamo qui per fare da sfondo a una vacanza lenta.».
L’ecomuseo infatti non è un edificio da visitare, ma una comunità che si racconta e si prende cura di sé. Questa realtà si nutre di pratiche culturali partecipate: presentazioni di libri, collaborazioni con associazioni locali, visite guidate. Perché raccontarsi non è uno spettacolo, ma un atto di rispetto verso la comunità e soprattutto un esercizio di educazione continua.

Finita l’era della bidda
Quello che chiameremo “borghismo” – ovvero l’improvvisa diffusione di borghi – è un fenomeno che investe tutta l’isola, dove non mancano eventi in cui si possono degustare piatti tipici nel “borgo”. Ma da quando da bidda si è diventati borgo? Nel caso di Sadali, secondo Ornella Piroddi, il fenomeno ha avuto inizio quando il paese è entrato nel circuito dei “Borghi più belli d’Italia” diversi anni fa. Una scelta appoggiata anche dall’amministrazione comunale precedente per rilanciare il paese, che però ha innescato trasformazioni meno visibili. «Da quel momento si è iniziato a parlare di “borgo” in ogni contesto, ma nessuno si è chiesto se questa parola ci appartenesse davvero».
La questione è tutt’altro che terminologica: è identitaria. «Il paese è diventato una vetrina, o come lo definisco io “paese bomboniera”, in cui tutto deve essere perfetto accogliere i turisti. Un giorno mi hanno chiesto: “Perché non c’è nessuno in giro?”. Erano le tre del pomeriggio, in piena estate. Ho risposto: “Perché a quest’ora si sta in casa, come in tutti i paesi del mondo”. Ma chi arriva si aspetta la cartolina: ogni foglia al suo posto, ogni strada animata». Il malinteso più grande è pensare che la presenza del turista coincida con l’esistenza del luogo. «Noi esistiamo anche quando non ci guarda nessuno. I servizi ci sono perché viviamo qui dodici mesi l’anno, non perché arrivano i visitatori».
Chi abita questi luoghi non si riconosce in ciò che viene raccontato di loro, nella favola dei borghi
“Eita est borgo?”
«Nei social siamo diventati il borgo dell’acqua, il borgo degli elfi. Ma quando ho chiesto ad alcuni residenti se si riconoscessero in questa definizione, mi hanno risposto: “E ita est borgo?”, cos’è questo borgo?», racconta Ornella Piroddi con una certa ilarità. La narrazione del “borgo autentico nel cuore della Barbagia immerso nel bosco ancestrale” rischia di soffocare quella reale, fatta di vite quotidiane, lavori ordinari, paesaggi che cambiano. Se un paese viene venduto come luogo incantato, ogni elemento fuori posto – un muro scrostato, un giardino trascurato, una casa in costruzione – diventa un errore da nascondere.
Le parole hanno conseguenze: definire significa anche limitare, semplificare, escludere. E spesso chi abita questi luoghi non si riconosce in ciò che viene raccontato di loro, nella favola dei borghi. Le narrazioni dettate dalle esigenze del marketing contribuiscono alla percezione del luogo come un prodotto da consumare voracemente, perdendo di vista le specificità del posto in cui ci si trova. «C’è chi, durante le visite alle grotte si lamenta della temperatura, chi chiede tappeti, chi vuole l’orario continuato. Ma noi non possiamo – e non vogliamo – vivere dentro una grotta per compiacere l’ospite e non si sposa con la nostra visione del lavoro».

Piroddi riferisce anche un altro luogo comune riferito a Sadali: quello del centro storico “abbandonato”, forse più suggestivo rispetto al termine “disabitato”, che d’altra parte sarebbe più appropriato. La parte storica di Sadali è infatti semplicemente disabitata, perché negli anni ’40 gli abitanti hanno migrato verso la parte alta del paese per ragioni funzionali: costo basso, possibilità di avere un giardino, meno problemi legati al ghiaccio nelle strade. «Questo travisamento genera delle aspettative sempre legate al “paese bomboniera” fermo nel tempo, infatti non sono mancate delle lamentele da chi entrando dalla parte alta non si è trovato catapultato nel centro storico».
La cooperativa Le Tre Fate ha scelto di educare, non solo accompagnare. «Il nostro lavoro non è solo spiegare le stalattiti e le stalagmiti. Raccontiamo il ruolo dell’essere umano negli ecosistemi, sensibilizziamo. Prima di entrare nella grotta, ad esempio, chiarisco sempre che noi umani siamo ospiti in quella che per i pipistrelli è la propria casa. Una volta, un visitatore ci ha detto: “Grazie per la spiegazione anticoloniale”. È stato uno dei complimenti più graditi che abbiamo ricevuto, perché mi ha confermato che il messaggio che volevo veicolare è arrivato a destinazione».

Borghi, marginalità, sanità e illusioni romantiche
Il borghismo è sintomo di un sistema consumistico diffuso che provoca inevitabilmente omologazione e si scontra con dinamiche istituzionali, come ad esempio l’ingresso di Sadali nella città metropolitana di Cagliari, che comporta – come racconta Piroddi – una serie di problematiche sia identitarie che prettamente funzionali, come ad esempio la distanza. Oltretutto, questa narrazione estetizzante ha il potere di oscurare problemi concreti, come lo spopolamento, la marginalizzazione e la carenza di servizi essenziali.
«Oggi si parla di ripopolamento, ma come si può pensare di ripopolare un paese quando, ormai, l’unico ospedale disponibile nella Barbagia di Seulo è a circa 100 chilometri di distanza?», si chiede Piroddi. Intanto, i piccoli sardi arroccati nei loro suggestivi borghi possono godere della natura incontaminata, dei paesaggi arcaici, in una vita lenta nella speranza di non sentirsi male, perché ahinoi sarebbero altrettanto lente le cure mediche!
Vuoi approfondire?
Leggi anche la riflessione di Paolo Piacentini su come riabitare le aree interne.










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