Il governo israeliano compra annunci su Google per screditare la relatrice ONU Francesca Albanese
Un’inchiesta di Fanpage.it mostra l’operazione del governo israeliano per screditare la relatrice ONU sui territori palestinesi occupati.
Una campagna mirata, pagata e finita in cima a Google. Se oggi digitate “Francesca Albanese” sul motore di ricerca più usato al mondo, non troverete più la sua pagina Wikipedia. Il primo risultato? Una pagina sponsorizzata dal dominio israeliano govextra.gov.il, dove la relatrice speciale ONU sui territori palestinesi occupati viene accusata di ogni nefandezza, compresi presunti contatti con Hamas.
La notizia, riportata in un’inchiesta di Fanpage.it, svela una strategia ben più ampia: una campagna pubblicitaria finanziata dal governo di Israele per colpire Albanese e distorcere la narrazione sul conflitto israelo-palestinese. Il tutto utilizzando strumenti propri della pubblicità digitale — Google Ads, intelligenza artificiale, targeting sociale — con una precisione chirurgica.
Secondo l’analisi di Fanpage, la campagna contro Francesca Albanese è apparsa per la prima volta il 5 luglio 2025 sulla piattaforma Google Ads Transparency, ed è stata aggiornata l’8. Inserita nella categoria “Famiglia e comunità” — un tocco surreale, considerando i contenuti — l’inserzione porta la firma della Israeli Government Advertising Agency, braccio comunicativo del governo Netanyahu.
Nel testo si accusa Albanese di aver “violato l’imparzialità” del suo mandato ONU e di aver mantenuto contatti con “gruppi terroristici”. Una narrazione che stride con la realtà del suo lavoro: proprio pochi giorni fa, il 30 giugno, Albanese ha presentato al Consiglio ONU per i Diritti Umani un rapporto che denuncia la complicità delle grandi aziende tech nel sostegno all’occupazione israeliana nei Territori palestinesi. “Questo è un passo necessario per porre fine al genocidio e smantellare il sistema globale che lo ha permesso”, si legge nel documento.
Il caso Albanese si inserisce in un disegno comunicativo più ampio. Già nel 2024, il governo israeliano aveva usato lo stesso metodo contro l’UNRWA, l’agenzia ONU che assiste i rifugiati palestinesi. Anche in quel caso, una pagina sponsorizzata — ancora oggi in cima ai risultati — accusa l’UNRWA di essere infiltrata da Hamas.
Secondo l’informatico Christo Wilson, intervistato da Wired US, Israele starebbe investendo somme significative per mantenere questi annunci in evidenza. A supporto della strategia, sono stati realizzati anche video generati con l’AI: telegiornali falsi, bambini palestinesi sorridenti con scatole di aiuti umanitari, clip rilanciate da influencer italiani come Caleel. Una realtà parallela, confezionata in pixel.
In teoria, l’Europa ha un’arma contro tutto questo. Il Digital Services Act impone la rimozione rapida di contenuti di disinformazione o propaganda terroristica. Le multe per chi non si adegua arrivano fino al 6% del fatturato annuo. Ma a giudicare dalla tenacia della campagna israeliana, il sistema di controllo fa acqua o chiude un occhio. Nel frattempo, chi cerca Francesca Albanese su Google trova prima le accuse, poi — se va bene — qualche notizia neutra. E forse, con un po’ di fortuna, il suo profilo professionale.







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