3 Nov 2021

È iniziata la COP26, ultima occasione per il clima – #400

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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I leader mondiali sono volati a Glasgow per partecipare alla Cop26 sul clima. La lotta al cambiamento climatico è diventata centrale nelle agende politiche di molti governi, ma cosa possiamo aspettarci da questo incontro? E come ci arriviamo dal punto di vista climatico, politico e sociale? Ne parliamo in questa prima puntata della seconda stagione di Io Non Mi Rassegno!

Che cos’è la COP26

Cop sta per Conferenza delle Parti ed è un incontro annuale che venne deciso al Summit della Terra di Rio nel 92 e che ha preso il via nel 95 a Berlino. Da allora ogni anno, in genere verso novembre, i leader mondiali assieme a esponenti di istituzioni, aziende, società civile, si incontrano in qualche luogo del mondo per fare quattro chiacchiere e ogni tanto prendere delle decisioni su come contrastare la crisi climatica. 

Poi, all’incirca ogni cinque anni, c’è un incontro più importante degli altri, in cui ci si accorge che stiamo facendo poco o niente di quanto deciso e si cercano di prendere decisioni più vincolanti. L’ultimo è stato la famosa Cop21, quella dell’accordo di Parigi, in cui i leader mondiali si erano accordati di fare tutto il possibile per mantenere l’innalzamento delle temperature al massimo entro i +2 gradi rispetto all’era preindustriale, e possibilmente entro il grado e mezzo. 

Questo di Glasgow è un altro di questi incontri considerati particolarmente rilevanti in cui dovremmo prendere decisioni importanti, e infatti doveva arrivare esattamente a 5 anni da Parigi, nel 2020. Solo che è stato rimandato di un anno causa Covid. 

Cambiamento climatico

Come arriviamo alla Cop26? Dal punto di vista climatico… maluccio. L’ultimo report dell’IPCC, il panel internazionale di scienziati che studia i cambiamenti climatici, ci dice che gli impegni che i paesi hanno preso fin qui non sono minimamente sufficienti a restare entro entro i due gradi di surriscaldamento. Lasciamo perdere il grado e mezzo, che ormai viene considerato irrealistico dalla maggior parte dei climatologi. Basti pensare che già oggi la temperatura media è più alta di 1,2 gradi rispetto all’era preindustriale, restare entro gli 1,5 è praticamente impossibile. Ma insomma, restare entro i due gradi viene considerato una sorta di imperativo categorico climatico se vogliamo mantenere una qualche forma di civiltà su questo pianeta. In un prossimo episodio faremo il punto sul tema cambiamenti climatici dal punto di vista scientifico, con un’analisi degli ultimi studi usciti, ma intanto considerate che se le temperature aumentano più di due gradi, non può esistere una società nemmeno lontanamente simile alla nostra. 

Se invece restiamo entro i due gradi, parliamo di una società diversa, molto diversa, ma che può ancora esistere. Quanto diversa? Ad esempio con la calotta Artica che scomparirebbe del tutto durante l’estate, con cambiamenti nelle correnti oceaniche e nei venti, con coltivazioni molto diverse dalle attuali, con periodi di siccità che colpirebbero circa mezzo miliardo di persone e ondate di calore anomalo che colpirebbero il 40% della popolazione, scomparsa delle barriere coralline, coste sommerse dalle acque con milioni e milioni di persone che dovrebbero spostarsi. E questi sono solo gli effetti – anzi una parte – che possiamo prevedere. Non possiamo prevedere gli altri effetti che questi stessi effetti genererebbero. Guerre per le risorse? Nuove pandemie dovute allo scioglimento del permafrost? Altre reazioni a catena incontrollabili?

E’ spaventoso? Sì. Ma è plausibilmente lo scenario migliore che abbiamo davanti. E se fossimo molto bravi a gestire il tutto, con +2 gradi ce la potremmo ancora fare a costruire una società vivibile, e magari per molti aspetti anche migliore di quella attuale.

Il problema è che sempre secondo il report dell’IPCC, anche se rispettassimo gli obiettivi che ogni paese si è dato fin qui di riduzione delle emissioni di CO2 (cosa che non stiamo facendo) andremmo incontro a un aumento delle temperature di 2,7 gradi entro la fine del secolo. 

Politica, opinione pubblica e movimenti

Anche dal punto di vista politico, ci arriviamo così così. A parte che siamo al 26esimo incontro e le emissioni globali continuano a crescere (a parte la parentesi lockdown), il che di per sé ci fa capire che forse forse qualcosa non sta funzionando. Ma ci arriviamo anche dopo un G20 tenutosi a Roma lo scorso fine settimana, che doveva essere in qualche modo preparatorio ma che si è concluso in maniera piuttosto vaga, con i primi ministri dei 20 paesi con le economie più grandi e inquinanti al mondo che si sono ridetti, per l’ennesima volta, che dobbiamo impegnarci per restare entro il grado e mezzo di innalzamento delle temperature medie globali, cosa che come abbiamo visto è irrealistica, e senza nemmeno dirsi come. Non ha tutti i torti Greta quando accusa i politici di essere buoni solo a fare bla bla bla.  

Però, rispetto anche a pochi anni fa, ci arriviamo con un’opinione pubblica molto più consapevole, e questo non è da poco. Il fatto stesso che i capi di stato del G20 si siano trovati prima dell’incontro per parlarne, visto da un’altra angolatura, è un evento interessante. I telegiornali passano quotidianamente servizi legati ai cambiamenti climatici, Luca Mercalli è tornato in prima serata a Che tempo che Fa (vi lascio il link dell’intervista, che trovate assieme a tutte le altre fonti di questa puntata sulla pagina rassegna stampa di ICC.org), e a parte qualche fugace apparizione di personaggi mitologici tipo il prof Battaglia che continua a ritenere che non ci sia nessuna prova del legame fra i cambiamenti climatici e l’attività umana, quando in realtà è l’argomento più studiato e con più prove a sostegno della storia dell’umanità, ma ecco a parte qualche piccola defaiance possiamo dire che la consapevolezza è mooolto aumentata.

Per la prima volta abbiamo dei movimenti globali come FFF e XR che fanno della consapevolezza e giustizia climatica il focus delle loro dimostrazioni e manifestazioni. Quindi ecco, non è più un tema che si può nascondere sotto il tappeto e questo è già qualcosa. Tanto.

Obiettivi della Cop26 

La decisione principale riguarda i Nationally determined contributions, ovvero quegli obiettivi di riduzione delle emissioni che ogni paese si è dato dopo l’accordo di Parigi e che come abbiamo visto non sono sufficienti. Il problema, fra l’altro non è solo che non sono sufficienti, ma anche che quasi sicuramente non li stiamo rispettando e nemmeno sappiamo come fare a vedere se li stiamo rispettando. Infatti non ci sono dei criteri condivisi su come vengono calcolate queste riduzioni, su come e quando applicarle, e tutto si basa molto su quello che un paese dichiara. Ad esempio alcuni paesi sostengono che ridurranno le emissioni tutte insieme alla fine, invece di farlo in maniera graduale, anche se questo sembra molto poco plausibile, altri tipo la Cina che le aumenteranno fino al 2030, per poi ridurle successivamente. Insomma, è un bel caos. 

L’obiettivo principale della COP 26 e ottenere chiarezza su questo punto. Quindi avere criteri più chiari e uniformi sui Nationally determined contributions, e fare in modo che questi impegni presi dai singoli paesi siano complessivamente adeguati all’obiettivo di stare entro i due gradi (e a non escludere del tutto il grado e mezzo) di innalzamento delle temperature medie globali. 

Ci sono però anche altri obiettivi: tipo che venga rispettato l’impegno dei paesi con economie più grandi e inquinanti a finanziare iniziative per la riduzione delle emissioni e le forme di sostegno per i danni causati dai disastri naturali in paesi economicamente più poveri. Impegni che erano stati presi nel 2009 alla COP15 di Copenaghen, e che fin qui sono stati solo parzialmente rispettati. 

O che si raggiunga un accordo sull’abbandono del carbone come fonte di energia, che è il più inquinante delle fonti energetiche ma continua a essere ampiamente utilizzato in molti paesi industrializzati, soprattutto Cina, India, il Messico e l’Australia, ma anche altri.

Infine c’è la questione del sistema di scambio di quote di emissioni. Un articolo del Fatto Quotidiano spiega molto bene perché il mercato del carbonio per come è stato pensato fin qui non stia funzionando e sia un vero e proprio fallimento, usato dai paesi inquinanti per mascherare le loro emissioni finanziando progetti sostenibili (che poi lo sono spesso solo sulla carta) in paesi più poveri invece di ridurre le emissioni in casa loro.

Ecco questi sono i temi principali, e se si riuscissero a prendere decisioni significative su questi aspetti sarebbe già un gran risultato. Non so quanto sia probabile. Realisticamente non molto. 

Ma c’è un piccolo segnale incoraggiante che ci arriva dalla prima giornata della COP ovvero il fatto che, riporta fra gli altri il WWF, Oltre 100 paesi alla COP26, fra cui Brasile e Cina, si siano impegnati ad arrestare e invertire la perdita di foreste e il degrado del territorio entro il 2030, promuovendo uno sviluppo sostenibile e una trasformazione rurale inclusiva. A questo scopo verranno impiegati 12 miliardi di dollari di fondi pubblici per proteggere e ripristinare le foreste, insieme a 7,2 miliardi di dollari di investimenti privati. Il che è in linea, secondo il WWF, con l’impegno di molti di questi governi di invertire la perdita di biodiversità entro il 2030.

Ecco, questo è quanto posso dirvi fin qui. Nei prossimi giorni continueremo a seguire la COP26 e tutto quello che vi succede attorno e metteremo, come abbiamo sempre fatto, il focus sulle tematiche ambientali e climatiche. Ci vediamo domani per una nuova puntata!

Leggi gli articoli

#Crisi climatica
UNFCCC – Updated NDC Synthesis Report: Worrying Trends Confirmed
IPCC – AR6 Climate Change 2021: The Physical Science Basis
il Post – Cosa cambia mezzo grado
Rai – Luca Mercalli – Che Tempo Che Fa 31/10/2021 (Video YouTube)

#G20 Roma
​Rai News – Stop alla deforestazione entro il 2030, 100 paesi firmano oggi

#Cop26 #Copenhagen
il Post – È iniziata la COP26 di Glasgow
il Post – Cosa c’è in ballo alla COP26

#Carbon Market
Il Fatto Quotidiano – Il mercato dei crediti di carbonio, un modo per ritardare la transizione ecologica

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