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10:21 24 Ottobre 2025 | Tempo lettura: 3 minuti

L’appello di un attivista di Ultima Generazione a processo dopo le accuse a Eni: rischia fino a otto anni

Si chiama Michele Giuli, è un docente di storia e membro di Ultima Generazione, imputato per diffamazione e istigazione dopo aver definito Eni “colpevole e criminale”.

Autore: Redazione
michele giuli sciopero fame
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«Michele rischia fino a 8 anni di carcere», si legge nell’appello circolato in queste ore sui canali di Ultima Generazione, insieme alla raccolta fondi per coprire le spese legali. L’obiettivo è raggiungere 15.000 euro entro la prossima udienza di fine ottobre; in pochi giorni sono già arrivate alcune centinaia di donazioni.

Il caso di Michele Giuli, professore di storia e attivista di Ultima Generazione, è entrato nel vivo nel 2025 con l’avvio del procedimento a Roma per diffamazione a mezzo social nei confronti di Eni, multinazionale energetica italiana fra le principali responsabili storiche della crisi climatica. L’elemento della diffamazione sarebbe contenuto in post e video in cui Giuli ha definito la multinazionale «colpevole e criminale» per il contributo alla crisi climatica; Eni lo ha querelato per diffamazione e per istigazione a delinquere. Le prime udienze si sono svolte tra aprile e giugno 2025 presso il Tribunale di Roma.

L’attivista e professore di storia collega la sua vicenda al clima politico-giudiziario degli ultimi mesi, tirando in ballo il cosiddetto Decreto Sicurezza – in occasione della cui approvazione Giuli aveva fatto uno sciopero della fame per chiedere a Mattarella di non firmalo – e denunciando una strategia di dissuasione del dissenso. Il decreto è stato approvato nel 2025, ad aprile, e, tra le altre cose, ha irrigidito le sanzioni per manifestazioni e danneggiamenti in luogo pubblico, alimentando un confronto molto acceso sul bilanciamento tra ordine pubblico e libertà di protesta.

Dal punto di vista giuridico, il reato di diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità prevede una pena da sei mesi a tre anni, mentre l’istigazione a delinquere, se riferita a delitti, prevede la reclusione da uno a cinque anni. La somma aritmetica della massima pena arriva quindi a otto anni, ferma restando la valutazione del giudice su condotta, eventuali attenuanti o assorbimenti.

Il procedimento contro Giuli si inserisce in un quadro più ampio in cui, dal 2019, ENI ha avviato diverse azioni per diffamazione contro giornalisti e ONG; nel 2025 il Guardian ha stimato «almeno sei» cause, con oltre 10 milioni di euro richiesti complessivamente nei casi noti, mentre alcune sono state rigettate o si sono chiuse sfavorevolmente per l’azienda. Organizzazioni della società civile qualificano questi procedimenti come SLAPP (Strategic Lawsuits Against Public Participation), cioè azioni legali ritenute strumentali a zittire il dibattito pubblico.

ENI respinge l’etichetta di SLAPP e sostiene di agire per tutelare la propria reputazione da affermazioni ritenute false o diffamatorie.

Sul versante normativo europeo, nel 2024 è stata approvata ed è entrata in vigore la Direttiva (UE) 2024/1069, pensata proprio per arginare le SLAPP nelle controversie civili transfrontaliere: introduce meccanismi di rigetto anticipato dei procedimenti manifestamente infondati, misure economiche a tutela degli accusati e sanzioni per chi promuove queste azioni. L’Italia, al 24 ottobre 2025, non ha ancora completato il recepimento; l’Ordine dei Giornalisti ha recentemente chiesto al Parlamento un’accelerazione.

Il processo a carico di Giuli, pur non rientrando automaticamente nel perimetro transfrontaliero della Direttiva (il campo di applicazione è infatti limitato alle controversie civili in cui sia coinvolto più di uno Stato membro dell’Unione), alimenta il dibattito interno sull’urgenza di tutele anti-SLAPP anche in ambito nazionale, dove associazioni e osservatori segnalano un numero elevato di querele di questo tipo.

Intanto, la battaglia legale sul clima in Italia procede su più fronti: dal 2023 è pendente anche la causa civile “Giusta Causa” promossa da Greenpeace, ReCommon e 12 cittadini contro ENI, che mira a un cambio di strategia industriale in linea con l’Accordo di Parigi e che ha avuto sviluppi procedurali nel 2024-2025.

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