Sta per uscire “Ocean”, la durissima accusa di Attenborough contro la pesca industriale
Nel suo nuovo film Ocean, il naturalista denuncia la distruzione dei fondali e il “colonialismo moderno in mare”.

David Attenborough torna a farsi sentire, e lo fa con forza come mai prima d’ora. In occasione del suo 99º compleanno, l’8 maggio, uscirà nei cinema Ocean, il nuovo documentario dedicato allo stato dei mari, in cui il celebre naturalista e documentarista britannico denuncia con toni inediti le pratiche devastanti della pesca industriale.
Al centro del film c’è il bottom trawling, la pesca a strascico di profondità, definita da Attenborough come un “bulldozer sottomarino” che “lascia cicatrici visibili persino dallo spazio”. Secondo il documentario, due terzi di tutti i grandi pesci predatori sono già stati sterminati, e interi ecosistemi – come quello antartico – rischiano il collasso.
Ma la critica va oltre l’impatto ambientale: intervistato dal Guardian Attenborough parla apertamente di “colonialismo moderno in mare”, riferendosi alle flotte industriali che saccheggiano le acque costiere dei paesi più poveri, sottraendo risorse vitali alle comunità locali.
David Attenborough, inglese classe 1926, è uno dei più noti naturalisti e divulgatori scientifici del nostro tempo, celebre per aver portato la natura nelle case di milioni di persone attraverso documentari iconici come Life on Earth, The Living Planet e The Blue Planet, oltre a Planet Earth e Our Planet, che hanno ridefinito il linguaggio del documentario ambientale grazie a riprese spettacolari e una narrazione accessibile ma scientificamente rigorosa.
Con il passare degli anni, Attenborough ha progressivamente assunto un tono più urgente e militante, denunciando con forza la crisi climatica e la perdita di biodiversità, come nel film A Life on Our Planet (2020), considerato il suo testamento ecologico. Oggi, a 99 anni, continua a essere una delle voci più rispettate e influenti nella difesa del pianeta.
Questo ultimo lavoro, Ocean mostra immagini scioccanti ma anche storie di speranza: in alcune aree dove la pesca distruttiva è stata vietata, come in Scozia e alle Hawaii, la vita marina ha dimostrato una straordinaria capacità di ripresa. «Il mare può guarire, se gli diamo una possibilità”, afferma Attenborough».
Il film vuole influenzare l’Ocean Conference delle Nazioni Unite, prevista a giugno a Nizza, dove si discuterà l’obiettivo di proteggere il 30% degli oceani entro il 2030. “Ho visto un cambiamento globale una volta – con la fine della caccia alle balene – e so che può succedere di nuovo”, conclude Attenborough.
La pesca industriale rappresenta una delle principali minacce per la salute degli oceani, con impatti devastanti sugli ecosistemi marini e sulla biodiversità. Secondo il Marine Stewardship Council, circa il 37,7% degli stock ittici mondiali è attualmente sovrasfruttato, mettendo a rischio la sostenibilità delle risorse marine per le generazioni future.
Una delle pratiche più distruttive è la pesca a strascico, che consiste nel trascinare pesanti reti sul fondale marino, danneggiando habitat essenziali come le barriere coralline e le praterie di fanerogame marine. Questa tecnica non solo distrugge fisicamente il fondale, ma rilascia anche grandi quantità di carbonio immagazzinato nei sedimenti, contribuendo al cambiamento climatico.
Il documentario uscirà l’8 maggio nei cinema del Regno Unito. Per vederlo in Italia al momento l’unica data certa è quella del 10 maggio a Genova, in una proiezione organizzata dalla Fondazione Friends of Genoa in collaborazione con l’Università di Genova.
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