Essere Palestina: lotta, attivismo e coscienza collettiva nell’intervista ad Ahlam Hmaidan
Nella terza puntata del talk di Sardegna Che Cambia, l’attivista palestinese e sarda Ahlam Hmaidan ci parla di Palestina, del ruolo scomodo della Sardegna nel genocidio in corso, del valore della lotta, della solidarietà e della necessità di restare umani.

«È infinita la desolazione che provo nell’essere palestinese in questa vita, ma lo è anche la forza che ho in quanto palestinese». Cosa significa essere una persona palestinese oggi? Qual è il ruolo della Sardegna nel genocidio in corso? E che valore hanno le mobilitazioni, le scelte locali, le alleanze internazionali rispetto a quanto accade in Palestina? A queste e ad altre domande abbiamo provato a rispondere durante la terza puntata del talk mensile di Sardegna Che Cambia.
Ospite della redazione è Ahlam Hmaidan, attivista palestinese e sarda, che intervistata dalla nostra caporedattrice Lisa Ferreli ci accompagna in un racconto lucido, doloroso, ma potente; carico di dignità e determinazione. Una puntata che intreccia vissuti, riflessioni e lotte, partendo dalla Palestina e arrivando in Sardegna, per indagare ciò che lega questi due territori in modo scomodo ma profondo: storie di oppressione e di resistenza, ma anche di complicità e responsabilità politiche e militari.
Un talk per non restare in silenzio
Il format, ideato da Sardegna Che Cambia come spazio mensile di approfondimento e confronto, continua così il suo percorso di indagine sulle esperienze di cambiamento e autodeterminazione che attraversano l’Isola. Dopo aver parlato di sanità e autogestione, di resistenza e antifascismo, il focus si sposta a maggio su un tema che oggi è impossibile ignorare: la Palestina e la necessità di schierarsi, anche da qui.

Ahlam Hmaidan porta con sé la voce di un popolo la cui esistenza è negata, criminalizzata, sistematicamente aggredita. Ma porta anche uno sguardo lucido su ciò che accade qui, in Sardegna, in Italia, in Europa. Perché, come ricorda nel corso dell’intervista, le guerre non si combattono solo con le bombe, ma anche con le complicità silenziose, gli accordi economici, le narrazioni distorte. «La nostra bellissima Isola è un parco giochi per militari», racconta Hmaidan in riferimento alla forte presenza bellica, giustificata da quell’oltre 60% di demanio militare italiano localizzato in territorio sardo.
Boicottaggio, atti politici e responsabilità locali
La puntata parte dal tema del boicottaggio, riprendendo la recente iniziativa promossa dal Comitato Sardo di Solidarietà con la Palestina: una petizione, consegnata in Consiglio Comunale a Cagliari, per chiedere all’amministrazione di aderire al boicottaggio delle aziende e istituzioni israeliane coinvolte nella violazione dei diritti umani. Un’azione dal basso, sostenuta da oltre mille firme, che mira a trasformare la solidarietà simbolica in atti concreti.
La questione però, apre anche a una riflessione più ampia: cosa vuol dire per le istituzioni “prendere posizione”? Può un Comune dirsi a favore del popolo palestinese e poi concedere il patrocinio a eventi accusati di propaganda bellica – ne abbiamo parlato qui –, come accaduto a Cagliari con la Joint Stars for Charity? Può una Regione proporsi come luogo per “conferenze di pace” mentre nel suo territorio il 65% è occupato da servitù militari, ospita esercitazioni internazionali che sono alla base dei vari conflitti nel mondo? Ahlam Hmaidan affronta con chiarezza queste contraddizioni, mostrando quanto l’ipocrisia istituzionale possa essere dannosa e quanto invece ogni territorio – ogni comunità – possa scegliere da che parte stare.
Per mesi, nei media mainstream – televisione in primis – si è parlato di Palestina senza ascoltare le voci palestinesi
Il riconoscimento dello Stato di Palestina basta?
Tra i temi toccati nel talk, anche quello del riconoscimento formale dello Stato di Palestina, già approvato da alcune istituzioni locali, come il Comune di Cagliari e il Consiglio regionale sardo. Ma in merito Ahlam Hmaidan invita a non fermarci a questo gesto. «Serve concretezza, educazione, non smettere mai di parlare di Palestina, ogni giorno», commenta. Riconoscere non basta se non segue una coerenza politica, se non si traduce in scelte che interrompano i legami economici, militari e culturali con un sistema di apartheid e oppressione.
A partire dalla questione delle armi, come dimostrano i dati dell’ISTAT e le inchieste di Altreconomia: nel 2024 l’Italia ha esportato armi e munizioni verso Israele per oltre 5 milioni di euro. Non è chiaro se tra queste ci siano anche quelle prodotte in Sardegna, nello stabilimento RWM di Domusnovas, ma lo scenario bellico fortemente ancorato all’Isola fa sì che molte e molti in Sardegna sentano di essere parte – loro malgrado – di un sistema di guerra. Complici.

Una narrazione da ribaltare
Un altro punto chiave del Talk riguarda la narrazione. Per mesi, nei media mainstream – televisione in primis – si è parlato di Palestina senza ascoltare le voci palestinesi. «Da quasi due anni ci fischiano le orecchie», dichiara Hmaidan in riferimento al diritto di parola negato. Una rimozione sistemica che contribuisce alla disumanizzazione di un intero popolo e al rafforzamento di una lettura a senso unico del conflitto. Da qualche tempo, anche in Sardegna, qualcosa si muove: articoli, talk, momenti pubblici in cui le voci palestinesi iniziano a farsi sentire. Ma il ritardo accumulato pesa, e il dialogo passa per il ricordo di quanto sia urgente ricostruire una narrazione plurale, che parta dall’ascolto e dalla vicinanza.
In chiusura, il talk si concentra sul valore dell’attivismo, sulla resistenza quotidiana, sulla possibilità – e necessità – di fare qualcosa. Ahlam Hmaidan racconta della consapevolezza di un popolo che da decenni vive sotto occupazione, ma che continua a lottare per esistere, per autodeterminarsi, per vivere. Ed è proprio questo uno dei messaggi più forti che attraversano la puntata: la libertà non è mai una questione individuale. Le lotte per la dignità e l’autodeterminazione, ovunque si trovino, ci riguardano. Essere umani, oggi, significa non voltarsi dall’altra parte. E, come ci ricorda Ahlam Hmaidan, la libertà di uno è legata alla libertà di tutti.
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