Come è andata la Conferenza Onu sugli Oceani a Nizza
Cresce il sostegno al Trattato sull’Alto Mare e alle aree marine protette, mentre gli USA si defilano e restano divisioni su plastica e miniere sottomarine.

Si è chiusa con un cauto ottimismo la Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani, ospitata a Nizza, dove quasi 200 Paesi si sono confrontati sulle principali minacce ai mari: dall’inquinamento da plastica alla pesca illegale, fino al controverso tema dell’estrazione mineraria sottomarina. Il risultato più concreto è stato il forte slancio verso la ratifica del Trattato sull’Alto Mare, strumento chiave per proteggere almeno il 30% delle acque internazionali entro il 2030.
Il trattato, firmato nel 2023 dopo anni di negoziati, necessita della ratifica di 60 Stati per entrare in vigore. Prima della conferenza erano solo 27 i Paesi che avevano completato il processo; in pochi giorni il numero è salito a 50, con ulteriori adesioni promesse entro fine anno. “Un risultato che mostra la volontà globale di agire per la salvaguardia dell’Alto Mare”, ha commentato Elizabeth Wilson di Pew Trusts, sottolineando la rapidità del processo rispetto ai tempi medi dei trattati ONU.
Oltre al trattato, la conferenza ha registrato progressi sull’istituzione di nuove aree marine protette. Tra queste, spicca l’annuncio della Polinesia Francese, che ha istituito la più grande riserva marina mai creata in acque nazionali: 900.000 km² vietati alla pesca estrattiva e alle attività minerarie.
Sul fronte della plastica, però, i risultati sono stati più modesti. Nonostante un documento politico firmato da 97 Paesi per un trattato ambizioso, i principali produttori di petrolio – tranne il Canada – hanno evitato impegni significativi. La plastica, derivata dal petrolio, rappresenta infatti un settore economico strategico per molte economie. Intanto, i dati parlano chiaro: oltre 171 trilioni di frammenti di plastica già infestano i mari e, senza interventi, il numero potrebbe triplicare entro il 2040.
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In generale sulla conferenza hanno pesato assenze significative. In particolare gli Stati Uniti, sotto l’amministrazione Trump, hanno scelto di non partecipare attivamente, inviando solo osservatori e prendendo le distanze dagli obiettivi dell’evento, legati agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. Secondo quanto comunicato dal Dipartimento di Stato, l’attuale amministrazione si oppone all’impostazione multilaterale della conferenza e agli impegni connessi alla conservazione degli oceani e delle risorse marine.
Il tema dell’estrazione mineraria sottomarina, o deep sea mining, ha visto forti divisioni. Si tratta della ricerca di minerali rari sui fondali oceanici, una pratica molto controversa, sulla quale alcuni Paesi hanno già espresso divieti specifici. A Nizza solo 37 Paesi hanno chiesto una moratoria in linea con l’appello di 2.000 scienziati che invocano ulteriori studi prima di autorizzare attività su fondali ancora largamente sconosciuti. Stati Uniti e Russia hanno mantenuto posizioni distanti: Washington ha avviato la concessione di licenze nazionali, mentre Mosca resta contraria al Trattato sull’Alto Mare, temendo ripercussioni sul settore della pesca.
Infine, resta irrisolto il nodo dei finanziamenti per l’azione climatica, su cui i Paesi più vulnerabili – come le piccole isole – continuano a sollecitare i paesi più ricchi. “La frustrazione cresce, ma forum come questo servono a mantenere alta l’attenzione”, ha commentato Feleti Teo, premier di Tuvalu.
La conferenza si è chiusa con l’adozione del Nice Ocean Action Plan, che sintetizza gli impegni presi, ma anche le sfide ancora aperte per garantire un futuro agli oceani, cuore pulsante della vita sulla Terra.
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