Dopo sette anni e tre rinvii, il tribunale si è dichiarato incompetente sulla denuncia di Ilaria Cucchi a un hater
Sette anni dopo un insulto online, Ilaria Cucchi è ancora in attesa di giustizia. Una vicenda simbolica dello stato della giustizia nel nostro Paese.

Sette anni fa, nel 2018, Ilaria Cucchi ricevette un commento violento e inaccettabile da parte di un hater che le augurava la morte. Un’offesa grave, l’ennesima, rivolta a una persona che da anni porta avanti una battaglia civile e umana per la verità sulla morte del fratello Stefano. Ilaria decise di denunciare. Non per vendetta, ma per dignità: «Avrei voluto delle scuse», scrive oggi, ricordando quella scelta. «Soprattutto avrei voluto sapere cosa muove un essere umano a scrivere questo, a provocare altro dolore a una famiglia che ha già sofferto tanto».
La risposta dello Stato, però, non è mai arrivata. O meglio: è arrivata a rilento, tra errori, rinvii e contraddizioni. «Mi è stato detto che sarebbe stato complesso. Non avevano gli strumenti per indagare». E così è stata lei stessa, insieme al suo avvocato e con il supporto di alcuni giornalisti, a rintracciare l’autore del messaggio.
Da quel momento si è aperto un iter giudiziario che racconta molto della giustizia italiana: il processo, previsto inizialmente per novembre 2024, è stato rinviato più volte per motivi procedurali. Prima un errore nella notifica, poi un vizio formale, infine – proprio ieri, 13 maggio 2025 – la beffa definitiva: il Tribunale di Roma si è dichiarato territorialmente incompetente, perché l’imputato vive in un’altra regione.
«Sette anni e tre udienze per trasmettere, finalmente, al giudice competente», scrive Cucchi, dal 2022 senatrice della Repubblica eletta come indipendente nella lista di Alleanza Verdi e Sinistra, che non nasconde la delusione. «Nel frattempo, fiumi di odio sui social che continuano a scorrere. E con loro i fiumi di dolore che provocano».
Il suo racconto non è solo una testimonianza personale. È il ritratto di una giustizia che, troppo spesso, arriva tardi o non arriva affatto. Che lascia soli i cittadini nel difendersi dall’odio, anche quando l’offesa è pubblica, riconoscibile, e l’autore individuabile. E che, nel frattempo, alimenta una cultura dell’impunità.
«L’Italia che fa finta di niente», conclude Ilaria. E che, in questo caso, sembra davvero aver voltato lo sguardo altrove.
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