15 Mar 2022

Dove ci sono armi… c’è guerra – #481

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Sosteneva Cechov che se in scena compare una pistola, prima o poi sparerà. Ecco, lo stesso si può dire per le armi nel mondo. Se riempiamo il mondo di armi, non possiamo meravigliarci se poi ci sono le guerre.

ARMI E GUERRA

Iniziamo parlando di armi, perché sono usciti un po’ di articoli che hanno a che fare con il commercio delle armi nel mondo. Secondo Internazionale (che traduce un articolo inglese di The Conversation) il business degli armamenti vale quasi cinquecento miliardi di dollari e molte aziende stanno facendo un sacco di profitti grazie alla guerra e all’aumento delle spese militari. Tutto il settore degli armamenti ha una vocazione globale. Gli Stati Uniti sono di gran lunga il leader mondiale, con il 37 per cento delle vendite di armi tra il 2016 e il 2020. Poi viene la Russia, con il 20 per cento, seguita dalla Francia (8 per cento), dalla Germania (6 per cento) e dalla Cina (5 per cento). E anche l’Italia non scherza col suo 3%.

Ora, con l’esplosione del conflitto in Ucraina, i numeri dell’intero comparto, che secondo l’ultimo report dell’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri) era in lieve calo nell’ultimo quinquennio, sono tornati a crescere. L’Ue ha annunciato di voler comprare e consegnare all’Ucraina armi per 450 milioni di euro. Gli Stati Uniti hanno invece promesso 350 milioni di dollari d’aiuti militari, che si aggiungono alle oltre novanta tonnellate di forniture militari, per un valore di 650 milioni di dollari, solo nel 2021.

Si tratta di una vera e propria manna per le principali aziende nel mondo che producono armamenti. La Raytheon produce i missili Stinger e, insieme alla Lockheed Martin. Le azioni di Raytheon e Lockheed Martin, due fra le principali aziende statunitensi, sono cresciute dall’inizio dell’invasione, rispettivamente del 16 e del 3 per cento, in contrasto con l’andamento generale dei mercati, con l’indice S&P500 che in generale è calato dell’1 per cento.

Alla vigilia del conflitto, Gregory J. Hayes, amministratore delegato di Raytheon, aveva dichiarato il 25 gennaio, durante una videoconferenza dedicata agli utili dell’azienda: “Tutte queste cose – riferendosi alle crescenti tensioni globali – stanno mettendo pressione sulle autorità locali, spingendole a spendere di più. Ho piena fiducia che ne trarremo un qualche beneficio economico”. Mentre secondo le parole di Richard Aboulafia, amministratore delegato dell’azienda statunitense di consulenza militare AeroDynamic Advisory, Il principale rischio per gli investitori è che “tutto questo si riveli un castello di carte russo e che la minaccia scompaia”.

Fa un po’ impressione leggere queste dichiarazioni, ma a ben vedere non dovrebbe. Anche qui, vale lo stesso discorso che facevamo tempo fa con le case farmaceutiche e la gestione della pandemia. Se noi accettiamo tutte le premesse, ovvero che è lecito produrre armi e affidare la loro produzione ai mercati, e che quindi ci siano aziende che producono armi e cercano il massimo profitto, poi perché dovremmo scandalizzarci nel sentire che le aziende stanno facendo un sacco di soldi con la guerra?

Da una parte ci lamentiamo che non vogliamo la guerra, dall’altra continuiamo a riempire il mondo di armi, pensando forse che servano a produrre cibo, o cultura, e non a far saltare in aria città e ospedali. 

ULTIME DALL’UCRAINA

Nel frattempo in Ucraina continuano a succedere cose. Non cose belle, perlopiù. Ieri ci sono stati i colloqui fra la delegazione russa e quella ucraina, in Bielorussia, che non hanno portato a particolari risultati, mentre a Roma si sono incontrati il responsabile per la sicurezza nazionale americana, Jake Sullivan, e il capo della diplomazia del Partito comunista cinese Yang Jiechi, detto la tigre, dettagli non così rilevante ma visto che tutti e dico tutti i giornali lo riportano ho pensato dovesse avere una sua importanza.

Pare che Sullivan abbia detto a Jiechi che se il governo cinese appoggerà quello russo, ci saranno delle conseguenze.

Avete fatto caso che mi sto sforzando di non dire mai la Russia, la Cina, gli Usa, a differenza di quello che fanno i giornali, e di nominare invece nomi e cognomi, ruoli ecc? C’è un motivo, anzi due. Il primo è che le persone esistono, i paesi no, sono convenzioni, narrazioni condivise. Il secondo è che se diciamo la Russia, la Cina, tendiamo a identificare certe scelte, che vengono prese e avallate da pochi individui, riguardino invece tutta la popolazione e il territorio. Cosa che è falsa, e ha conseguenze pericolose. 

La Russia non ha deciso di invadere l’Ucraina. Lo ha fatto Putin, assieme forse a qualcuno dei suoi generali. Ci sono milioni di persone, in Russia, che non la vogliono la guerra.

RUSSIA, APPELLO DELL’UNIVERSITA’ CONTRO LA GUERRA

E a questo proposito arriva, forte, un grido dalle università russe, contro la guerra. Riporta Comune.info che malgrado le minacce ricevute, sta rimbalzando in spazi web di diversi paesi la lettera firmata da 4.000 accademici, studenti e laureati della prestigiosa Università Statale di Mosca, la più antica università russa, che condannano la guerra. Nella lettera si legge: “Condanniamo categoricamente la guerra che il nostro paese ha scatenato in Ucraina… La guerra è violenza, crudeltà, morte, perdita di persone care, impotenza e paura che non possono essere giustificate da nessun obiettivo. La guerra è l’atto più crudele di disumanizzazione… Chiediamo a tutti i cittadini russi che hanno a cuore il suo futuro di unirsi al movimento per la pace. Siamo contro la guerra!

Non sposterà di una virgola la situazione, non placherà il conflitto, non sarà una soluzione sistemica. Però ogni tanto fa comunque bene ridircelo e sentirlo dire, che al di là delle cause, al di là del cercare di capire, che è fondamentale, la guerra fa comunque schifo. 

ABBASSARE I RISCALDAMENTI

Nel frattempo pare che in Italia il governo abbia in cantiere un Decreto risparmi, che prevede – a differenza di quello che sosteneva Cingolani – “abbassamento delle temperature massime consentite del riscaldamento negli edifici, riduzione del consumo di luce negli uffici pubblici e un tetto sui prezzi del gas”. Mi fa notare Daniel Tarozzi, direttore editoriale di Italia che Cambia – come in nome delle emergenze, prima il Covid, poi la guerra, siamo disposti a adottare misure straordinarie, quasi impensabili. Mentre non lo facciamo per il clima, che è la minaccia più grande addirittura alla sopravvivenza della nostra specie.

È buffa, farebbe quasi ridere, se non facesse piangere, la dispercezione del rischio che abbiamo. Non dico che il Covid o men che meno la guerra siano passeggiate di salute. Ma dall’altro lato parliamo della fine certa della nostra civiltà, se non facciamo qualcosa di urgente.

Ad ogni modo, vediamola in positivo. Queste emergenze ci stanno insegnando che possiamo fare sforzi straordinari, quando percepiamo qualcosa come un pericolo grave. Nessuno potrà più dire “non si può fare”.

FONTI E ARTICOLI

#armi
Nigrizia – Commercio di armi: Italia +16%. Boom di acquisti dell’EgittO
Internazionale – I giganti mondiali delle armi fanno miliardi grazie alla guerra

#Ucraina
il Post – Le divisioni sempre più profonde tra gli ortodossi in Ucraina
Comune-info – Il grido dell’Università di Mosca

#covid
il Post – In Francia non è più obbligatoria la mascherina in molti posti pubblici al chiuso

#smartphone
Rinnovabili.it – Nel 2022 gli smartphone genereranno 146mln di tonnellate di CO2

#biodiversità
Rinnovabili.it – Biodiversità mondiale, perché a Ginevra è in gioco il nostro futuro?

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