L’alto mare sarà protetto: entra in vigore il Trattato ONU per la tutela degli oceani
Dopo decenni di negoziati, il Trattato sull’Alto Mare diventa legge. Un passo storico per la salvaguardia della biodiversità marina e un importante segnale di cooperazione.
Dopo oltre vent’anni di trattative, il Trattato ONU per la protezione dell’alto mare diventerà vincolante a partire dal 17 gennaio 2026. Il sessantesimo Paese, il Marocco, ha depositato la ratifica, permettendo l’entrata in vigore di un accordo che mira a proteggere la biodiversità nelle acque internazionali, finora rimaste in gran parte prive di tutela.
Il numero di 60 ratifiche era stato stabilito nel testo del trattato, approvato nel 2023 dopo anni di trattative, come soglia minima necessaria per farlo entrare in vigore. Si tratta di una prassi comune nei trattati internazionali: affinché un accordo multilaterale diventi legalmente vincolante, viene stabilito un numero minimo di Stati che devono ratificarlo. Questo serve a garantire che ci sia una massa critica di consenso tra i Paesi firmatari prima che il trattato produca effetti concreti.
Nel caso del Trattato sull’Alto Mare, la soglia delle 60 ratifiche è stata raggiunta lo scorso venerdì grazie alla firma del Marocco e della Sierra Leone. Da quel momento decorre un periodo di 120 giorni (come previsto dallo stesso trattato), al termine del quale — il 17 gennaio 2026 — l’accordo entrerà ufficialmente in vigore per tutti i Paesi che lo hanno ratificato.
Un risultato storico, che sembrava irraggiungibile fino a pochi mesi fa. Alla vigilia della terza conferenza delle Nazioni Unite sulla salvaguardia degli oceani, i paesi firmatari erano solo 33 e Greenpeace faceva notare che “continuando con il ritmo attuale l’obiettivo si potrà raggiungere non prima del 2107”. Già durante la conferenza però qualcosa si era mosso e diversi paesi avevano ratificato il trattato o promesso di farlo nei mesi successivi. E così è stato.
L’alto mare, che copre oltre i due terzi degli oceani, è uno spazio senza sovranità nazionale, dove la pesca, il traffico navale, l’inquinamento e gli effetti del cambiamento climatico hanno prodotto un degrado sempre più evidente. Secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), quasi il 10% delle specie marine è a rischio estinzione. Eppure, attualmente, solo l’1% delle acque internazionali è protetto.
Il trattato ha un obiettivo ambizioso ma condiviso dalla comunità scientifica: proteggere almeno il 30% degli oceani entro il 2030. Per farlo, prevede la creazione di nuove Aree Marine Protette (AMP) anche in acque internazionali, dove sarà possibile limitare attività dannose come l’estrazione mineraria in acque profonde o la pesca intensiva.
Una volta in vigore, i Paesi firmatari proporranno le aree da tutelare e voteranno collettivamente sulle misure di protezione. Tuttavia, il trattato non è vincolante per i paesi che non lo firmano, e fra essi compaiono alcune fra le economie più grandi al mondo, come Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone e Italia. Inoltre lascia agli Stati la responsabilità di valutare l’impatto ambientale delle proprie attività, con la possibilità per gli altri Paesi di sollevare preoccupazioni. Una governance che richiederà attenzione, trasparenza e monitoraggio indipendente per evitare scappatoie o compromessi al ribasso.
Il valore simbolico di questo accordo va oltre gli aspetti normativi. Come ha dichiarato il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, il trattato stabilisce regole vincolanti per la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità marina, in un contesto globale in cui la cooperazione sembra spesso difficile. L’accordo mostra che, anche in assenza di una governance planetaria adeguata, si possono comunque ottenere risultati importanti quando l’urgenza ambientale è riconosciuta come priorità comune.
Le reazioni delle organizzazioni ambientaliste confermano il carattere storico dell’evento. Il WWF lo ha definito un “catalizzatore positivo” per la collaborazione internazionale, mentre Greenpeace parla di “punto di svolta” che potrebbe chiudere l’era dell’esplorazione predatoria degli oceani.






Commenta l'articolo
Per commentare gli articoli registrati a Italia che Cambia oppure accedi
RegistratiSei già registrato?
Accedi