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5 Maggio 2025
Podcast / Io non mi rassegno

Alle presidenziali in Romania ha vinto l’altra l’estrema destra – 5/5/2025

Elezioni in Romania, estrema destra in testa; in Germania l’AfD è ufficialmente un partito estremista. Il 3 maggio si riflette sulla crisi dell’informazione globale.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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Questo episodio é disponibile anche su Youtube

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Domenica si è votato per il primo turno delle elezioni presidenziali in Romania. Di nuovo, dopo che le scorse sono state annullate. E di nuovo ha trionfato l’estrema destra, questa volta nella figura però di George Simion, e non di Calin Georgescu. 

Va bene, al solito vi fccio il breve ripassino. La Romania è un paese con una classe politica piuttosto stagnante, oligarchica, clientelare e profondamente segnata da corruzione e instabilità. La transizione democratica, dopo la caduta del regime comunista nel 1989,è stata lunga e travagliata e molti ex membri dell’élite comunista sono riusciti a riciclarsi nel nuovo sistema politico, mantenendo il controllo su importanti leve del potere, così come molti ex membri della polizia segreta del regime comunista, la famosa e temuta Securitate, sono finiti nei moderni servizi di intelligence.

In questo panorama ale ultime elezioni, che si erano tenute nel novembre 2024, è emersa una figura che si è presentata come una assoluta novità, un personaggio avulso alla politica, anti corruzione, in chiave populista e di destra: tale Calin Georgescu, che ketteralmente nessuno aveva visto arrivare, men che meno i sondaggi, è che è una figura abbastanza sui generis.

I media lo hanno battezzato facilmente filorusso, ed è vero, ed ha un bel pezzo della classica retorica dell’estrema destra trumpiana: anti immigrazione, sovranista ecc. Ma a questa affianca una cornice ambientalista, è stato presidente del Club di Roma di Romania, e promuove una lotta al cambiamento climatico fatta di un sovranismo in salsa localista e in un certo senso ecologico.

Georgescu aveva trionfato alle elezioni di novembre 2024 e si presentava, da totale outsider, come favorito per i ballottaggi e quindi diventare presidente, ma è stato estromesso dalla Corte costituzionale rumena che ha annullato il primo turno di elezioni, sostenendo che c’erano dei dubbi sulla regolarità e su non meglio precisate interferenze straniere. A Georgescu è stato poi impedito di ricandidarsi alla tornata successiva, quella di ieri, e anche se un tribunale rumeno ha contestato la decisione, alla fine si è andati nuovamente al voto e tutto questo ha spianato la strada a George Simion – leader di Aur, altro partito di estrema destra, alleato di Giorgia Meloni all’Europarlamento e amico pure della Lega. 

Simion ha ottenuto, nelle elezioni di ieri, oltre il 40% dei voti. Che sono tantissimi: non abbastanza per ottenere una vittoria netta al primo turno, ma sufficienti per garantirgli, al netto di sorprese a cui la politica rumena ci sta abituando, un secondo turno abbastanza comodo. Nel momento in cui registro lo spoglio non è ancora terminato e non p chiaro con chi andrà al ballottaggio perché ci sono due candidati praticamente appaiati, entrambi con circa il 20%. 

Si tratta di Crin Antonescu, il candidato europeista della larga coalizione di governo composta dal Partito Socialdemocratico (PSD, di centrosinistra), dal Partito Nazionale Liberale (PNL, di centrodestra) e dall’Unione Democratica Magiara di Romania (che rappresenta la minoranza ungherese nel paese) e di Nicușor Dan, candidato indipendente di orientamento liberale e attuale sindaco della capitale Bucarest.

L’affluenza è stata del 53,2 per cento. Il secondo turno è previsto per il 18 maggio.

Ma quindi chi è George Simion? Vi leggo come lo descrive Francesca De Benedetti su Domani:

“Se è vero che in generale il caso delle presidenziali romene è un innesto di vecchie eredità e tattiche ultramoderne – in un paese che risente ancora del pesantissimo ruolo della polizia segreta e di una evidente corruzione della classe politica, le quali si intrecciano però con l’ultracontemporaneo abuso di social network e fake news – questo intreccio tra passato e futuro è particolarmente evidente nel profilo politico di George Simion. Al netto degli esclusi dalla corsa, nessuno quanto lui prova a tenere insieme l’Arcangelo Michele (cioè il vecchio fascismo legionarista) e Donald Trump (la contemporaneità dell’estrema destra), il nazionalismo dei villaggi rurali e l’imperativo globale del “Maga”.

Basti osservare, come fa lo storico esperto di Romania Francesco Magno, che «quando Simion si è sposato, nel 2022, ha scelto di emulare persino nel vestiario il matrimonio di Corneliu Zelea Codreanu», fondatore della Legione dell’Arcangelo Michele, l’organizzazione fascista romena del secolo scorso. Il nome stesso del partito, Alianța pentru Unirea Românilor (Aur), porta con sé l’idea di una grande Romania – «dal Tibisco al Nistro», i due fiumi – che si estende verso la Moldavia.

Questo stesso apparato ideologico (e le annesse tensioni retoriche antiungheresi) ha fatto sì che Aur e Fidesz si collocassero in due gruppi diversi all’Europarlamento (Simion con Meloni nei Conservatori e Orbán con Salvini e Le Pen nei Patrioti), nonostante le molte affinità e gli intrecci che tuttora persistono tra il partito romeno e la Lega.

Sui rapporti con la Russia, probabilmente sono meno netti e più ambigui rispetto a wquelli di Georgescu, e forse è anche questo che lo rende un candidato in qualche modo più accettabile per l’occidente. “Quando si tratta di esibire posizioni in pubblico – continua De Benedetti – il candidato alla presidenza preferisce indossare il cappello trumpiano piuttosto che sventolare la bandiera filorussa. Proprio Aur aveva organizzato a fine gennaio, in una sala brussellese dell’Europarlamento, l’evento “Mega2025”. Si era trattato anche di una mossa dei melonian-conservatori per non lasciare ai competitor Patrioti – e al loro raduno “Mega” di febbraio – l’anteprima europea.

Ecco qua. Comunque, ne riparliamo nei prossimi giorni, e poi dopo il 18.

Venerdì scorso è arrivata una decisione che potrebbe cambiare il panorama politico tedesco: i servizi segreti interni hanno ufficialmente designato Alternative für Deutschland, il partito di estrema destra tedesco, come organizzazione estremista che mette in pericolo la democrazia

Ed è una roba che potrebbe avere ricadute molto significative sulla politica tedesca. Questa designazione arriva infatti dopo un’indagine e un rapporto di oltre mille pagine dei servizi tedeschi sul partito di estrema destra, che attualmente, ricordiamolo, è il secondo partito più forte del paese e la principale forza di opposizione. E che adesso in base a questa definizione potrebbe essere bandito dalla scena politica nazionale, o meglio il Parlamento potrebbe chiederne lo scioglimento.

Ma capiamo prima cosa è successo. Che AFD non fosse un partito di moderati, lo sapevamo da un pezzo, ma alcuni fatti hanno spinto i servizi ad aprire un fascicolo. Ad esempio lo scorso anno, scrive il Post, un’inchiesta giornalistica aveva rivelato lo svolgimento di una riunione segreta fra membri di AfD e di movimenti neonazisti tedeschi per discutere di un piano di espulsioni su larga scala delle persone richiedenti asilo, di immigrati con permesso di soggiorno e anche di cittadini tedeschi di origine straniera. 

Questa inchiesta aveva portato a grosse manifestazioni in giro per la Germania contro il partito. Ciononostante i consensi di AFD sono comunque aumentati significativamente nell’ultimo anno, e alcuni sondaggi oggi lo indicano come partito con più preferenze nel paese.

Tornando all’attualità, anche se il fascicolo non è stato pubblicato e probabilmente non lo sarà, sappiamo che la decisione dei servizi è stata motivata dalle posizioni xenofobe del partito, considerate discriminatorie verso le persone immigrate e i loro discendenti. 

Che succede adesso? Succede che questo nuovo status consente ai servizi di aumentare il livello di sorveglianza: possono utilizzare informatori, intercettare conversazioni, e monitorare più da vicino le attività del partito – anche se con alcune limitazioni, soprattutto quando si tratta di parlamentari.

E poi c’è la questione del possibile scioglimento del partito. Che diventa una possibilità, ma che non è una roba immediata né scontata. Per farlo servirebbe un iter lungo e complesso, che passa dal Bundestag e dal Bundesrat (che sono le due camere del parlamento tedesco, anche se sono molto diverse rispetto alle nostre perché il Bindestag è la camera dei parlamentari eletti, mentre il Bundesrat è quella che riunisce i rappresentanti delle regioni) e infine dalla Corte costituzionale. 

Per compiere questo iter servirebbe soprattutto una volontà politica chiara da parte degli altri partiti. Volontà che, per ora, sembra esserci solo a parole.

Perché in realtà questo iter poteva essere fatto anche prima di questa definizione. Dal punto di vista giuridico non cambia niente. E il dibattito se, in particolare in Germania, un paese con un passato ancora non elaborato correttamente come quello del nazismo, fosse accettabile avere un partito in parlamento che più o meno esplicitamente si rifà a quella roba là c’era già da tempo. Fra l’altro già in passato in Germania, nel 2017, il parlamento aveva richiesto lo scioglimento dell’NPD, partito da molti considerato neonazista, ma che aveva consensi molto bassi. E fra l’altro la Corte costituzionale aveva respinto la richiesta.

Adesso però bandire un partito che ha preso oltre 10 milioni di voti alle ultime elezioni significherebbe porsi in aperto conflitto con una fetta consistente dell’elettorato. Ed è una questione politicamente e democraticamente molto spinosa. Perciò in passato alcuni esponenti politici avevano detto che un passo del genere sarebbe stato giustificabile solo dopo una designazione ufficiale di estremismo. Ecco: ora quella designazione è arrivata.

Solo che la questione resta spinosa comunque e la volontà politica vacilla. Perché nel frattempo AFD è ulteriormente cresciuto, parliamo di un partito ben radicato, con consenso popolare e presenza in diversi governi regionali. La questione è molto complessa e tira in ballo i limiti della democrazia. Le democrazie liberali hanno dei limiti, che sono quelli imposti dalla legge e dalle costituzioni. Che succede se questi limiti vengono superati con il consenso popolare? Che succede se la democrazia viene messa in pericolo, ma democraticamente, quindi passando dal suo interno e col consenso delle persone?

Al solito, emergono le contraddizioni di un modello che in definitiva non ci protegge come pensavamo dagli estremismi e che dovremmo evolvere, se vogliamo che risponda ai reali bisogni delle persone.

Tornando al caso specifico, la palla passa ora alla politica, e in particolare al prossimo cancelliere Friedrich Merz, che dovrebbe entrare in carica a breve. La sua eventuale decisione sarà un banco di prova fondamentale sul rapporto tra democrazia e contrasto all’estremismo.

Sabato era il 3 maggio e come ogni 3 maggio era la giornata mondiale per la libertà di stampa. Un’occasione colta da molte organizzazione di settore per fare il punto della stampa a livello globale. E il quadro non è dei più rosei. Secondo Reporter Senza Frontiere, citato dal Guardian, tre quarti dei paesi non garantiscono un’informazione libera. E anche le vecchie potenze democratiche, che un tempo si facevano promotrici di questo diritto a livello globale, stanno abbandonando il campo.

Dagli Stati Uniti, Donald Trump ha di fatto smantellato l’intero apparato pubblico di sovvenzioni all’informazione internazionale. Che magari possiamo dirci che gli Usa finanziavano anche per scopi geopolitici, ma comunque parliamo di emittenti storiche come Voice of America, Radio Free Europe e Alhurra, nate per contrastare la propaganda nazifascista e poi quella sovietica, e che negli anni hanno garantito informazione più o meno indipendente, o perlomeno garantivano un altro punto di vista in decine di paesi comunque autoritari come Russia, Cina, Iran e Turchia. 

E mentre Washington chiude i rubinetti, anche in Europa la situazione non è rosea. L’Italia, per esempio, è scivolata al 49° posto nella classifica di RSF, una delle peggiori posizioni in Europa occidentale. E non solo per i ben noti provvedimenti del governo Meloni – come la cosiddetta “legge bavaglio” e il segreto di Stato sul software spia israeliano Paragon – ma per un’intera struttura dell’informazione sempre più concentrata, dipendente dalla pubblicità privata e permeabile alle pressioni economiche e politiche. Un esempio su tutti: il caso Repubblica, con contenuti aziendali pubblicati come articoli giornalistici, denunciati dagli stessi giornalisti del quotidiano.

Il rapporto RSF evidenzia un panorama mediatico variegato in apparenza, ma che nella realtà è dominato da pochi grandi gruppi editoriali legati a interessi economici e industriali. E, quando si parla di temi caldi come Gaza o Ucraina, la deontologia spesso viene sacrificata in nome della propaganda. 

Insomma, viviamo nei tempi che viviamo, e l’informazione è quella che è. Però non è proprio e sempre così. Il 3 maggio ad esempio è stata anche la giornata nazionale dell’informazione costruttiva, un modello di giornalismo a cui ci rifacciamo e che cerca di dare potere a chi legge, spiegando, analizzando, cercando di far capire  cosa possiamo fare di fronte ai problemi. 

Perché a volte, nel luogo comune, nel lamentarci che i giornali fanno tutti schifo, che i giornalisti sono tutti dei venduti, sembra che siamo solo dei ricettori passivi di informazione e invece possiamo scegliere. Così come il fatto che esistano decide di fast food intorno a noi non ci obbliga a mangiare schifezze, e scegliamo con cura cosa mangiamo, al tempo stesso possiamo scegliere come nutrire la nostra mente.

E così come siamo disposti a pagare qualcosa in più per comprare un certo prodotto e garantire a quel piccolo produttore locale di sopravvivere, ricordiamoci che anche nell’informazione possiamo votare col portafoglio. Io non vi chiedo di abbonarvi tutti e tutte a ICC, sarebbe arrogante. Ma di scegliere un budget anche piccolo, se avete un minimo di disponibilità, con cui contribuire all’informazione che vi piace, che pensate ne abbia bisogno e che vorreste che anche altri conoscano. Abbonandovi o facendo una donazione. Pensateci.

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