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22 Febbraio 2022
Podcast / Io non mi rassegno

Putin e il Donbass, il conflitto spiegato – #468

Putin riconosce ufficialmente le repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk e invia una le truppe per una “missione di pace” nel Donbass. Cosa sta succedendo in Ucraina? Cosa ha in mente Putin e quali scenari abbiamo di fronte? E da dove origina questo conflitto?

Autore: Andrea Degl'Innocenti
INMR Copertina per homepage 80

Questo episodio é disponibile anche su Youtube

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Diciamoci la verità, più si va avanti, meno ci si capisce qualcosa sulla situazione in Ucraina. C’è quella celebre citazione del senatore americano Hiram Johnson, che una volta scrisse “quando scoppia una guerra la prima vittima è la verità. Ecco, qui la guerra ancora non è scoppiata ma la verità ce la siamo già persi per strada da un pezzo. Comunque, proviamo a raccapezzarci qualcosa.

Ieri nel tardo pomeriggio, Putin ha riconosciuto le due repubbliche indipendenti Donbass. Che vuol dire direte voi? E perché questa cosa è stata letta come un segnale di guerra? Facciamo il solito passetto indietro e vediamo che cosa è il Donbass e perché è territorio conteso. 

Il Donbass è una regione geografica che amministrativamente appartiene all’Ucraina, ma che è governata da leader filorussi e in cui la maggior parte della popolazione è e si sente russa. 

Nel Donbass in realtà la guerra si combatte già da anni, dal 2014, quando la Russia invase la penisola della Crimea, nel sud dell’Ucraina, e finì con l’annetterla (anche se questa annessione non è mai stata riconosciuta a livello internazionale). In quell’occasione le due regioni di Donetsk e Luhansk, che rappresentano circa un terzo del territorio del Donbass, sono uscite dal controllo dello stato ucraino e si sono autodichiarate repubbliche autonome, fortemente vicine alla Russia. 

A settembre del 2014, dopo 5 mesi di conflitto, Ucraina, Russia e i separatisti filo-russi concordano un cessate il fuoco nei famosi accordi di Minsk, che prevede tra le altre cose lo scambio di prigionieri, consegne di aiuti umanitari, ritiro di armi pesanti, e soprattutto la decentralizzazione del potere con una maggiore autonomia per le regioni del Donbass.

Quegli accordi già fragili non hanno mai retto veramente, per via di varie violazioni da entrambe le parti. La Russia, sebbene non abbia mai riconosciuto quei due stati, fino a ieri, li ha appoggiati in tutti i modi possibili, ha incentivato al loro interno la diffusione dell’utilizzo della moneta russa, il rublo, ha concesso a tutti gli abitanti i passaporti russi, e ha permesso loro di votare alle elezioni in Russia. Quindi quei territori erano formalmente ancora sotto l’Ucraina, ma nella realtà molto più vicini a Mosca che a Kiev. E il fronte interno fra territori autonomi del Donbass e l’Ucraina è rimasto un fronte caldo per tutti questi anni. Intere cittadine lungo il confine sono rimaste disabitate, sono state costruite vere e proprie trincee e si calcola che siano morti 13mila soldati nel conflitto, che non si è mai esaurito, anche se non se ne è parlato molto. 

Negli ultimi giorni, complice l’aumento della tensione generale, il conflitto nel Donbass si è rianimato e i due leader filorussi delle repubbliche autonome di Donetsk e Luhansk hanno chiesto a Putin di essere annessi alla Russia, così come successo per la Crimea. Mentre una settimana fa la Duma, il parlamento russo, ha votato per il riconoscimento delle due repubbliche.

E ieri sera Putin ha infine firmato una sorta di accordo con i due leader in cui riconosce ufficialmente le due repubbliche separatiste e ha inviato truppe russe nel Donbass per”assicurare la pace” in una missione di Peacekeeping. Il che da un’ultima spallata agli accordi di Kiev e ricambia gli equilibri della regione. In tutto ciò c’è il piccolo giallo dell’orologio di Putin che al momento di firmare l’accordo segnava le 12 e qualcosa, il che farebbe pensare che il video non fosse in diretta ma registrato e che gli accordi fossero stati già firmati prima ancora del colloquio con Sholz e Macron, forse per permettere ai leader filorussi di rientrare in paese prima dell’annuncio.

Subito sono piovute minacce da parte di tutta l’area Nato e dalle Nazioni unite di imporre sanzioni alla Russia per questa azione unilaterale intrapresa. Sanzioni che però, se non toccano più di tanto gli Usa, sono un’arma a doppio taglio per l’Europa, in particolare per la Germania e l’Italia, che sono ancora molto dipendenti dal gas russo.

Comunque, adesso la situazione è in bilico. C’è un grande dispiegamento di forze militari sui due lati del fronte, quindi sia dal lato ucraino che dal lato russo e bielorusso (la Bielorussia è alleata della Russia). La Russia ha fatto anche una serie di test missilistici nucleari giorni fa, mentre il leader ucraino Zelensky ha parlato della necessità di munirsi di bombe atomiche a meno di non ricevere la protezione europea contro la Russia. Fin qui, all’incirca, i fatti.

Poi, sopra i fatti, spiccano due grandi narrazioni, quella statunitense e quella russa, ed entrambe raccontano di come l’avversario li stia trascinando verso la guerra. L’Europa, per quanto ovviamente schierata con gli Usa, si trova più nel mezzo sia geograficamente che strategicamente, e prova a mediare, fin qui con scarso successo. 

La narrazione occidentale afferma che Putin ha dispiegato il 70% delle sue forze militari sul confine con l’Ucraina, dicendo che sono esercitazioni, ma con l’obiettivo di scagliare un attacco militare all’Ucraina.

La versione russa invece dice che i paesi Nato stanno armando sempre più l’Ucraina, che sono i soldati ucraini ad essere disposti pericolosamente lungo i confini, e che le operazioni russe sono perlopiù difensive. Che Putin avrebbe volentieri ritirato le truppe ma non può per via dell’aggressività della Nato, che vuole pian piano portare l’Ucraina sotto la sua ala protettiva, Ucraina che peraltro tiene sotto scacco le province del Donbass che invece vorrebbero diventare russe. E vige il principio dell’autodeterminazione dei popoli.

È curioso come Putin, in maniera probabilmente molto strategica, usi il lessico caro all’Occidente: autodeterminazione dei popoli, missione di peacekeeping. È quasi una rivendicazione di un metodo, un “se potete farlo voi posso farlo anche io”.

Ora, facciamo un po’ di geopolitica spiccia. Cosa vuole fare Putin? Nessuno è nella testa di Putin, ovviamente, ma possiamo fare qualche ipotesi. Dopo aver riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche separatiste, vuole conquistare tutto il Donbass? A questo punto sembra plausibile, anche solo come prova di forza, anche se a quanto pare non è questo grande obiettivo, perché a differenza della Crimea non è una zona particolarmente strategica né ricca di risorse. Arriverà a tentare di marciare su Kiev e assoggettare l’Ucraina? Possibile, ma che sembra difficile, perché militarmente, secondo gli analisti di Ispi, sarebbe un bagno di sangue per la Russia. Forse – forse – vuole “solo” fare la voce grossa per ridiscutere gli equilibri geopolitici post Unione sovietica.

Dopo il crollo dell’Urss la Nato (le cui politiche di fatto sono sempre state decise dagli Usa) ha adottato una politica molto aggressiva sul confine, andando a armare molte delle ex repubbliche Sovietiche che in teoria dovevano essere stati cuscinetto. La Russia si è fatta andar bene questa politica di controvoglia, messa alle strette, senza poter fare molto per via di una economia fragile, un’inferiorità militare e la mancanza di alleati seri.

Adesso questa cosa sembra essere in parte cambiata, la Russia ha un’economia un po’ riassestata, ha un esercito forte e ha un alleato quasi dichiarato nella Cina (alleanza suggellata durante le olimpiadi invernali di Pechino terminate ieri). Cina che per ora si è mossa con prudenza sullo scacchiere internazionale ma che di certo non può essere trascurata. E quindi è pronta per fare la voce grossa, giocare a fare la guerra e – probabilmente – pretendere che ci siano davvero delle zone cuscinetto rispetto al blocco dei paesi Nato in cui la Nato non metta il becco.

Dall’altro lato, la sensazione è che gli Stati uniti continuino a gridare al conflitto anche più del necessario, probabilmente per serrare le fila degli alleati e spingere i paesi a schierarsi. È anche un modo per scongiurare alleanze economiche che gli Usa hanno sempre visto male fra Europa e Russia, ad esempio lungo i binari dell’energia, così come quelle fra Europa e Cina (la famosa Nuova via della Seta naufragata anche per volontà degli Usa). 

Gli Stati uniti a ben vedere dovrebbero giocare una partita in seconda fila, in un conflitto che dovrebbe vedere l’Unione europea protagonista delle trattative con la Russia, e giocano invece un ruolo di primo piano, di contraltare alla Russia di Putin come ai tempi della guerra fredda, con un’Europa che invece si mostra debole e in balia della corrente. Europa che sta nel mezzo e prova a mediare, con Macron che si è affannato per organizzare un vertice fra Mosca e Washington, vertice che rischia di fallire prima ancora di compiersi. Sorprende questa fragilità dell’Europa, che si mostra davvero inconsistente. Che si siede al tavolo delle trattative solo per cercare di fare in modo che quelli che contano si parlino. 

E l’Ucraina? Sta ancora più nel mezzo, e da un lato si prepara alla guerra, dall’altro accusa gli Usa di causare allarmismo ingiustificato fra la popolazione. Venerdì il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov  ha dichiarato al parlamento che c’è una bassa probabilità di una grande escalation con la Russia. Ha aggiunto che l’intelligence ucraina vede ogni mossa fatta nell’area. Al tempo stesso, come mostrano alcune testimonianze, la popolazione sia nella capitale che in altre regioni si prepara a un’eventuale invasione russa. Persino i bambini si allenano a fare la guerra contro i russi, in caso di invasione, come racconta la testimonianza di Roberto Travan sulla Stampa.

#Ucraina
il Post – Cos’è il Donbass
MicroMega – Crisi Ucraina? Un attacco all’Europa
La Stampa – Donbass, la guerra dei bambini
RT – Nuclear Ukraine: What Kiev’s threats to acquire world’s deadliest weapons mean
RT – US Senate passes Ukraine support resolution

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