6 Apr 2023

Carne sintetica e auto elettriche: problemi o soluzioni? – #705

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Alcune risorse chiave per le batterie delle auto elettriche hanno scatenato una corsa alla distruzione di foreste primarie e fondali oceanici, mentre si riaccende il dibattito sulla carne prodotta in laboratorio. Cerchiamo di approfondire entrambe le questioni e magari trarne qualche considerazione più generale. Prima però qualche fatto di cronaca, dal ricovero di Berlusconi in terapia intensiva, all’abbandono della presidenza del partito (e in generale di ruoli istituzionali importanti) da parte della premier finlandese Sanna Marin, all’annuncio di Matteo Renzi nuovo direttore del quotidiano il Riformista. Mentre in conclusione, grazie al contributo di Tiziana Barillà, vediamo cosa sta succedendo nei mondi del No al ponte sullo Stretto, che si stanno riorganizzando dopo le ultime mosse del governo.

Ci sono diverse notizie importanti oggi, ma sono più fatti di cronaca, che non necessitano particolare commento al momento, per cui direi che facciamo una carrellata iniziale per poi andare a soffermarci sull’argomento che vorrei invece approfondire, che è quello che avrete letto nel titolo.

Comunque, le notizie principali della giornata di ieri sono che:

  • Silvio Berlusconi è ricoverato in terapia intensiva al San Raffaele di Milano, per una sospetta polmonite dovuta a quanto pare a un’infezione non risolta. Le notizie che filtrano parlano comunque di un Berlusconi cosciente, che parla, e ha iniziato la terapia antibiotica e le cui condizioni sono stabili.
  • La premier finlandese Sanna Marin, sconfitta alle elezioni, ha annunciato che lascerà la presidenza del suo partito e farà un passo indietro, nonostante sia ancora molto popolare in Finlandia. Marin continuerà il suo lavoro di deputata e di primo ministro fino all’entrata in carica del nuovo esecutivo, che quasi sicuramente non vedrà la partecipazione della sinistra. Brevissimo commento: la casistica di premier donna che fanno un passo indietro sta diventando numerosa e rinforza quella sensazione che molte donne interpretino certi ruoli di potere con piglio diverso, forse con più umanità e serietà.
  • Matteo Renzi (scusate l’ossimoro involontario di accostare le due parole Matteo e Renzi dopo le due parole umanità e serietà, ma sono due notizie diverse). Dicevo, Matteo Renzi è il nuovo direttore del quotidiano il Riformista. Cosa che avvalora la tesi di cui sopra, e che se da un lato forse non è una buona notizia per il mondo del giornalismo, certamente lo è per questo format perché ho il sospetto che potremo fare un sacco di puntate di trova il bias! 

Che c’entrano le macchine elettriche con la carne sintetica? In realtà la risposta è abbastanza immediata a chi mastichi almeno un po’ le tematiche ambientali: sono entrambe soluzioni che stiamo sviluppando per ridurre l’impatto di due settori fra i più inquinanti in assoluto come quello del trasporto privato e quello degli allevamenti intensivi.

Ma quanto, e a quali condizioni sono soluzioni sensate? Ecco, sono usciti un po’ di articoli e di studi che ci permettono di fare un po di riflessioni ampie su questi due argomenti, e se non vi dispiace li tratterei cercando di tenerli assieme perchè hanno alcuni parallelismi interessanti, al netto di diverse differenze. 

Come al solito parto raccontandovi le notizie. Iniziamo con le auto elettriche. Sapete che uno dei problemi principali sono le materie prime che servono in particolare per le batterie (o perlomeno, per alcuni tipi di batterie). Dominella Trunfio su GreenMe racconta come “La produzione di batterie per auto elettriche potrebbe portare allo sterminio del popolo Hongana Manyawa oltre che alla distruzione di vaste aree forestali dell’isola di Halmahera in cui avviene l’estrazione di nichel”.

A denunciarlo è Survival International, l’organizzazione che da anni è a fianco delle popolazioni indigene e che racconta come in Indonesia, un imponente progetto di estrazione di nichel rischia di spazzar via un popolo incontattato unico. Il progetto fa parte di un più ampio programma del governo indonesiano che mira a diventare un importante produttore di batterie per auto elettriche proprio grazie all’estrazione e alla fusione di nichel e di altri minerali: un piano in cui compagnie internazionali come Tesla stanno già investendo miliardi di dollari.

Gli Hongana Manyawa – nome che nella loro lingua significa “popolo della foresta” – sono uno degli ultimi popoli di cacciatori-raccoglitori nomadi dell’Indonesia che oggi rischiano di vedere la loro terra, e tutto ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere, distrutto. Secondo la legge internazionale, queste attività minerarie sono illegali perché i popoli incontattati non possono dare il loro Consenso Libero, Previo e Informato allo sfruttamento della loro terra – un requisito legalmente necessario per tutte le attività di ‘sviluppo’ nelle terre indigene. Ma questo fin qui non sembra fermare lo sfruttamento.

E non si tratta solo di foreste e popolazioni incontattate. Anche i fondali sottomarini sono sottoposti a stress e pressione per la ricerca di minerali che servono alla transizione energetica, e di nuovo in particolare alle auto elettriche. 

Sul Guardian Robin McKie racconta quello che emerge da un’indagine condotta all’organizzazione ambientalista Fauna & Flora, secondo cui ci sarebbero prove evidenti che che l’estrazione di minerali rari dai fondali profondi potrebbe causare danni “estesi e irreversibili” al pianeta.

Il rapporto si aggiunge alla crescente controversia che riguarda il cosiddetto deep-sea mining, ovvero l’esplorazione dei fondali oceanici in cerca di minerali rari, tra cui cobalto, manganese e nichel. Le compagnie minerarie vogliono sfruttare questi giacimenti, fondamentali per il settore delle energie alternative, perché le riserve terrestri si stanno esaurendo. Tuttavia, oceanografi, biologi e altri ricercatori hanno avvertito che questi piani causerebbero un inquinamento diffuso, distruggerebbero gli stock ittici globali e cancellerebbero gli ecosistemi marini.

In realtà non è una cosa nuova. Fauna & Flora ha sollevato per la prima volta la questione dell’estrazione mineraria negli oceani in un rapporto del 2020. Da allora, gli scienziati hanno intensificato lo studio delle zone di mare profondo e hanno evidenziato ulteriori pericoli derivanti dall’estrazione mineraria, fra cui la possibilità che si vadano a rilasciare i vasti serbatoi di carbonio custoditi sui fondali marini, che andrebbero ad aggravare la crisi climatica globale.

Al momento non esistono regole chiare a livello internazionale, anche se le Nazioni Unite stanno cercando una via condivisa sul Deep sea mining. C’è stato un incontro durato quasi un mese a 24 giorni di incontri e negoziati a Kingston, in Giamaica, ma non è stato trovato un accordo. La Cina assieme ad altri paesi guida il fronte del sì, dell’esplorazione senza regole, ma cresce il numero di paesi che chiede una moratoria, una pausa precauzionale, idea lanciata da Vanuatu e Repubblica Dominicana e appoggiata da Cile, Costa Rica, Ecuador, Figi, Francia, Germania, Micronesia, Nuova Zelanda, Palau, Panama, Samoa e Spagna.  Alcuni di questi paesi lo hanno fatto per mera sopravvivenza, altri sospetto per questioni geopolitiche, oltre che ambientali, ma tant’è.

Ok, ma quindi? Che ci dicono questi studi? Che la mobilità elettrica non è una vera soluzione? Che è tanto insostenibile quanto quella a base di petrolio? Be’, no. Il punto, come ripetiamo spesso su ICC, è che – premesso che non possiamo più permetterci di bruciare niente, men che meno il petrolio che serve a spostare le nostre auto, la mobilità elettrica è un’ottima soluzione se e solo se riduciamo drasticamente i mezzi circolanti, e quindi se facciamo una vera e propria rivoluzione dei trasporti. Altrimenti rischia di diventare l’ennesimo, grosso, problema.

Da questo punti di vista la novità è che oltre a dirlo noi e tanti altri più esperti di noi, questa conclusione giunge anche uno studio scientifico realizzato dallo European Enviromental Bureau e pubblicato pochi giorni fa, dal titolo emblematico “Rallentare per accelerare: perché la mobilità a emissioni nette zero ha bisogno della decrescita”. Lo studio prende in considerazione 4 scenari diversi di decarbonizzazione dei trasporti, ciascuno guidato da una narrativa specifica: 1. una sostituzione lenta e graduale dei veicoli esistenti con quelli elettrici  2. una rapida e massiccia diffusione dei veicoli elettrici 3. una mobilità elettrica leggera (quindi oltre a macchine scooter, e-bike, monopattini) e 4. Una mobilitò elettrica abbinata a una forte riduzione dei trasporti. La conclusione è che solo nello scenario in cui la mobilità elettrica è abbinata a una forte riduzione dei trasporti le risorse del pianeta sono sufficienti e non facciamo troppi danni agli ecosistemi. 

Va bene, passiamo alla questione della carne sintetica, nome scorretto con cui viene identificata la carne coltivata in laboratorio. In questi giorni sono usciti un numero esagerato di interviste, riflessioni e contributi, in seguito alla decisione del nostro governo di vietarne la produzione e l’importazione nel nostro Paese. Partiamo proprio dal commentare uno degli ultimi, un’intervista abbastanza interessante all’immunologa Antonella Viola su la Svolta. 

Alla domanda della giornalista Costanza Giannelli su quali sono i vantaggi di questo tipo di carne a livello di sostenibilità ambientale, Viola risponde:

“Prima di tutto è un prodotto che non prevede la morte degli animali: si può mangiare un filetto di manzo senza che nessuna mucca venga cresciuta in un allevamento intensivo o macellata. Poi non inquina, mentre la produzione di carne negli allevamenti intensivi causa un grande inquinamento in termini di emissioni di gas, consumo di acqua e di suolo.

E dal punto di vista della sicurezza? Quali sono i pro e i contro per quanto riguarda questo aspetto?”

“Coltivare la carne in laboratorio significa eliminare gli allevamenti che possono essere un serio rischio di zoonosi, cioè di malattie che passano dagli animali agli esseri umani. Tenere tanti animali insieme, spesso in condizioni di grande affollamento, è un rischio per la diffusione di patogeni che possono poi colpire anche noi. Inoltre la carne che proviene dai laboratori è microbiologicamente pura, cioè non contiene alcun tipo di patogeno che possa provocare infezioni o intossicazioni alimentari”.

Sugli svantaggi invece risponde solo: “Ad oggi il costo di produzione, ma è sempre così all’inizio di una nuova tecnologia”.

In realtà anche qui la questione è molto più complessa di come la stanno raccontando i giornali. Ad esempio, i dati scientifici sono più discordanti di come appare a un’analisi superficiale. E se è vero che secondo alcune ricerche la carne in laboratorio ridurrebbe le emissioni di gas serra dell’80-90% e richiederebbe molta energia e 90% in meno di acqua, altre ricerche più recenti suggeriscono che, a lungo termine, l’impatto ambientale della carne coltivata in laboratorio potrebbe essere persino superiore a quello del bestiame.

Come è possibile? È possibile perché quasi tutti gli studi prendono in considerazione solo il processo produttivo della singola fettina di carne, mettiamo, ma non i costi energetici di tutta l’infrastruttura, cioé quanto costa a livello di energia ed emissioni costruire i laboratori, tenerli perfettamente sterili, igienizzarli, refrigerarli, quanta energia consumano ecc. Un articolo scientifico abbastanza recente, che vi lascio sempre sotto FONTI E ARTICOLI, suggerisce che sebbene siano stati condotti pochi studi sull’impatto esteso della coltivazione di carne in laboratorio, i suoi costi ambientali potrebbero persino essere superiori a quella da allevamento.

Senza considerare i possibili rischi per la salute (che magari non ci sono eh, ma al momento non si possono del tutto escludere) e la questione dei brevetti, perché a differenza di buona parte del cibo, la carne cresciuta in laboratorio sarebbe strutturalmente appannaggio di poche grandi aziende. 

Insomma, quindi la carne da laboratorio è peggio di quella da allevamento intensivo? Non lo so. È una buona soluzione? Non so nemmeno questo. Di sicuro non è qualcosa con cui credo sia pensabile di sostituire l’attuale consumo di carne. Magari può tornare utile in qualche caso specifico, non saprei.

Comunque, credo che questi due esempi, quello delle auto elettriche e quello della carne in laboratorio siano abbastanza diversi, nel senso che la mobilità elettrica resta di base una buona idea, alle condizioni che dicevamo prima, mentre sulla carne cresciuta in laboratori personalmente ho molti più dubbi. 

Al netto di ciò possiamo cogliere aspetti più generici e generali. Il primo è che tendiamo a classificare le cose in maniera abbastanza rigida in giuste e sbagliate, abbiamo la sensazione di dover per forza scegliere l’una o l’altra via, ma è come al solito un bias. Nello specifico il bias del falso dilemma. Nell’intervista che citavo prima sulla carne sintetica, ad esempio, si parla di carne in laboratorio come se fosse l’unica alternativa alla carne da allevamento intensivo, e quindi tendiamo a pensare di dover scegliere fra queste due opzioni, ma potremmo forse semplicemente ridurre di moltissimo il consumo di carne. 

Insomma tendiamo a schierarci e a dividere il mondo in due parti, ma la realtà non è fatta così, è un tipo di visione che serve più alle nostre esigenze identitarie che a risolvere i problemi, e la risposta giusta a quasi qualsiasi domanda è dipende. 

La seconda considerazione, collegata a questa, è che viviamo in un mondo caotico e pieno di variabili su cui non abbiamo il minimo controllo. Uno dei problemi è che continuiamo a cercare di risolvere i problemi continuando ad aggiungere variabili, complessità entropia al sistema. Più variabili significano anche maggiori probabilità che qualcosa vada storto.

Invece, sia nel caso delle auto che della carne, sarebbe più utile iniziare a togliere invece che ad aggiungere. Mangiare molta meno carne, usare molto meno l’auto. Poi, quel poco che rimane, capiamo come produrlo. Per le auto sicuramente auto elettriche, per la carne, vediamo. Comunque il punto è che dovremmo iniziare ad essere scultori della società, non pittori. Non dobbiamo dipingere la nuova società con altre pennellate su una tela già incasinata, dovremmo invece farla emergere da un blocco di marmo iniziando a eliminare il superfluo, pezzetto dopo pezzetto. 

Ovvio che non è semplice, perché aggiungendo si crea business, togliendo no. Ma il sistema economico lo possiamo cambiare, il funzionamento degli ecosistemi no. 

Ieri a Villa San Giovanni, in Calabria, c’è stata una importante assemblea del Movimento No Ponte, movimento che si è rianimato dopo le ultime mosse del governo che con un decreto ha riesumato la Società Stretto di Messina e affermato che i cantieri per la costruzione del Ponte sullo Stretto partiranno a giugno 2024. 

All’assemblea ha partecipato anche la giornalista Tiziana Barillà che se siete persone a modo ricorderete per l’intervento nella bellissima puntata di A tu per Tu sul tema della democrazia. Dico se siete persone a modo perché significa che siete abbonate a ICC e vi ascoltate oi nostri bellissimi podcast di approfondimento. Comunque, Tiziana ci ha inviato un contributo audio in cui ci racconta quello che sta succedendo dando la parola anche a Peppe Marra, storico attivista No Ponte. A te Tiziana.

CONTRIBUTO AUDIO DISPONIBILE NEL VIDEO/PODCAST

Ringraziando ancora Tiziana per il contributo, io direi che ci salutiamo e ci vediamo domani. Ricordatevi che se volete siete ancora in tempo a diventare delle belle persone. 

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