11 Mar 2022

Le altre guerre, nel mondo – Io Non Mi Rassegno #479

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Questa sensazione, che ci attanaglia, che il mondo intero stia precipitando nel baratro della guerra, è molto relativa. Una buona parte del mondo, dal baratro della guerra non ci è mai uscito. Facciamo un giro per il mondo a scoprire quali sono gli altri conflitti, meno mediatici di quello in Ucraina, ma altrettanto cruenti.

Le ultime tre settimane sono state monopolizzate, a livello mediatico, dal conflitto in Ucraina. Questo, se da un lato è comprensibile, sia per il conflitto in sé, sia per le sue potenziali conseguenze sul mondo intero, tirando in ballo equilibri geopolitici di portata globale, dall’altro c’è un po’ la sensazione che come spesso accade, ci siano guerre di serie A e guerre di serie B.

E allora, abbiamo pensato di dedicare una puntata agli altri conflitti, a quelli ignorati perché coinvolgono parti di mondo più sfigate, dove le persone godono di meno ricchezze, meno diritti, e anche meno diritto all’empatia.  

Premessa importante: questa puntata non è per togliere importanza o rilevanza alla enorme sofferenza che stanno vivendo le persone coinvolte nel conflitto in Ucraina, ma al contrario, per portare alla luce altre sofferenze, altre storture, tanto la nostra capacità di provare empatia – a quanto ne so – non ha un limite massimo, non si esaurisce, perciò possiamo abbondare.

Al momento ci sono nel mondo cinque conflitti considerati maggiori, intendendo conflitti che hanno generato in questo o nello scorso anno più di 10mila morti (che ovviamente è un parametro molto semplicistico). Uno è quello in Ucraina, gli altri sono principalmente concentrati fra medio oriente e Africa.. 

C’è il conflitto in Afghanistan, che si è riacutizzato con l’abbandono del paese da parte delle truppe Nato e la riconquista del potere da parte dei talebani. Attualmente la guerra è combattuta fra un fronte conosciuto come Repubblica islamica dell’Afghanistan, che è espressione del vecchio governo assieme ad altre forze anti-taliban, e lo stato governato dai taliban. In questo momento il conflitto è concentrato nella regione del Panjshir, ma ci sono guerriglie in tutto il paese.

Oltre al numero elevato di morti, che lo scorso anno sono stati 40mila, il problema adesso è la carestia. Per un effetto combinato di guerra, cambiamento climatico, instabilità economica, pandemia e, soprattutto, le durissime sanzioni americane – che più che colpire il governo dei Taliban ha colpito la popolazione già stremata – si è generata una durissima carestia che sta mettendo in ginocchio il paese e lasciando milioni di persone senza cibo, in inverno. Più della metà della popolazione dell’Afghanistan vive al di sotto della soglia di povertà e deve affrontare una grave insicurezza alimentare.

Altrettanto grave e ancor meno considerato è quello in Etiopia. L’Etiopia arriva da tra decenni di lotte con la vicina Eritrea, e al momento è sconquassata da lotte di potere interne e quasi due anni di devastante guerra civile che infuria nella regione del Tigré, la più settentrionale del paese. Il suo primo ministro, Abiy Ahmed aveva ricevuto il Nobel per la Pace nel 2019 per aver messo fine al conflitto con l’Eritrea, ma adesso è in prima linea nella guerra contro i l fronte di liberazione del Tigré, che vuole l’indipendenza della regione.

In gioco c’è la stabilità dello Stato e del sistema di federazione tra le maggiori etnie creato nel 1991; l’Etiopia infatti è composta da oltre 80 gruppi etnici e storicamente i vari governi si sono sempre trovati ad affrontare il problema di rafforzare la stabilità del governo centrale cercando al contempo di garantire le autonomie locali. Ahmed sembrava in grado di portare stabilità al paese, ma così non è stato, anzi: una recente inchiesta del NYT, basata su interviste anonime a funzionari etiopi, ha gettato parecchie ombre anche sulla pace con l’Eritrea, che gli è valsa il Nobel. 

Sembra che all’interno dell’accordo di pace ci fosse già un accordo con l’esercito eritreo per schiacciare le frange indipendentiste del Tigré militarmente. Cosa che differisce molto dalla narrazione di Ahmed, che ha sempre buttato sul FLT le responsabilità del conflitto. 

Comunque, di questo conflitto colpisce il numero enorme di civili uccisi, con le comunità che sono continuamente prese nel mezzo – uccise, sfollate e spinte alla fame mentre il conflitto blocca gli aiuti e taglia le comunicazioni. La violenza ha anche devastato le strutture sanitarie e altre infrastrutture, rendendo molto più difficile raggiungere e aiutare le persone. Anche qui, tutto ciò, va a braccetto con la siccità, raccolti falliti e inondazioni improvvise, dovute alla crisi climatica, con la fame estrema che sta aumentando nel nord e i combattimenti stanno bloccando la produzione alimentare.

Un’altra guerra di cui non sappiamo quasi niente, ma che va avanti dal 2015 a suon di migliaia e migliaia di morti all’anno, è quella in Yemen. Anche prima che i combattimenti scoppiassero all’inizio del 2015, lo Yemen era uno dei paesi più poveri del mondo arabo. Ora, quasi un decennio di guerra ha lasciato migliaia di morti e più di 4 milioni di persone sfollate. I combattimenti tra le forze della coalizione governativa e i ribelli Houthi nel paese continuano a danneggiare e sfollare le famiglie yemenite.

Il conflitto si è riacutizzato di recente. Il 20 gennaio il porto di Hudaydah è stato ripetutamente colpito da attacchi aerei che hanno causato numerosi morti, tra cui tre bambini. Uno ha centrato la sede delle telecomunicazioni, provocando il completo black-out dei servizi Internet per quattro giorni. L’attacco più sanguinoso è stato portato a termine tra i due attacchi degli huthi, il 21 gennaio, contro un centro di detenzione a Sa’adah, nello Yemen settentrionale. Ha causato almeno 80 morti e 200 feriti.

L’impatto del conflitto sulle infrastrutture del paese è stato devastante, con importanti rotte terrestri e aeroporti gravemente danneggiati. Un blocco sulla costa dello Yemen ha limitato la quantità di aiuti umanitari che entrano nel porto. 16,2 milioni di yemeniti sono in condizioni di insicurezza alimentare – e i tassi di malnutrizione tra donne e bambini rimangono tra i più alti del mondo.

Infine c’è il conflitto in Myanmar, di cui ci siamo occupati diverse volte qui su INMR. Qui tutto ha avuto inizio, perlomeno con riferimento alla storia recente, con il colpo di stato militare del 1 febbraio 2021, in cui Min Aung Hlaing, il comandante in capo delle forze armate del paese, ha ribaltato il governo democratico birmano e preso il potere. Le proteste che ne sono seguite, conosciute localmente come Rivoluzione di Primavera, hanno causato almeno 1500 morti fra i manifestanti e quasi 10mila persone detenute. 

Da queste proteste è scaturita una vera e propria guerriglia armata, portata avanti da una coalizione chiamata “Forza di difesa del popolo” che sarebbe la frangia armata del Governo di unità nazionale, ovvero una sorta di governo non riconosciuto, in esilio, che è ciò che rimane del vecchio sistema democratico. 

Oltre a questi cinque conflitti principali, ce ne sono tanti altri altrettanto drammatici, più locali, sparpagliati, con meno morti, o magari di cui si conoscono meno i dati, ma altrettanto drammatici. 

Ci sono altri 18 conflitti grossi, sparsi per il mondo: 14 sono in Africa (alcuni dei quali coinvolgono più stati, come quello del Maghreb che ne coinvolge dieci), 2 sono in Asia (Iraq e Siria), uno è in Sud America (le FARC in Colombia), l’altro in Nord America (la guerra della droga in Messico). E degli ulteriori 19 conflitti considerati minori, 11 sono in Asia e 8 in Africa.

L’Africa è il continente più martoriato, in cui a volte è anche difficile definire i confini dei vari conflitti e isolarli gli uni dagli altri. Eppure non destano in noi lo stesso sgomento del conflitto in Ucraina. È normale, ci mancherebbe, ogni cosa che ci tocca più da vicino ci sconvolge di più. La cosa che però è meno normale è quella sensazione/convinzione, diffusa, che sia normale che in Africa e in Asia ci siano le guerre. Come se fosse insito nel dna di quelle persone, di quei popoli.

E non pensiamo che molte di quelle guerre dipendono in buona parte anche da noi. La nostra agiatezza si basa su materie prime sottratte al continente africano, e sul lavoro a basso costo di quello asiatico. E l’instabilità di questi continenti sono sia causa che conseguenza di ciò. Prendiamo l’Africa: un continente in cui le principali risorse vengono destinate all’esportazione, se non sottratte con la forza, è destinato alla povertà, e quindi a combattere per quelle poche risorse che rimangono. Questa instabilità diventa a sua volta funzionale a mantenere inalterato lo status quo, e quindi non abbiamo (i nostri governi, le nostre aziende, noi) nessun interesse a che le cose vadano diversamente. In più, per non farci mancare niente, spesso sono sempre altre aziende dei paesi ricchi a vendere le armi con cui si ammazzano le popolazioni più povere. Una vittoria su tutti i fronti. 

Ora, a complicare le cose, ci sono i problemi ecologici e il cambiamento climatico, causato dagli stili di vita nostri, ma del quale anche qui subiscono le conseguenze soprattutto le popolazioni del Sud del mondo. Ricordiamoci, però, che in una società globalizzata esiste anche un limite massimo di disuguaglianze che il sistema può sopportare, prima di diventare insostenibilmente instabile. E le conseguenze di questa instabilità, che già si vede, le pagheremo anche noi, questa volta. 

Quando parliamo di transizione ecologica, quella vera, parliamo anche di intervenire e curare queste ferite qua. Ricordiamocene.

FONTI E ARTICOLI

#guerre
il Post – L’Etiopia ha usato un accordo di pace per iniziare una guerra?
Il Fatto Quotidiano – Yemen, la guerra non è finita: ancora attacchi e decine di morti. E gli Usa ci guadagnano
BBC – Yemen crisis: Why is there a war?
UN WFP – 6 Current Conflicts in the World Today and Their Effects on Global Hunger

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