Global March to Gaza bloccata: scontri a Ismailia. La portavoce italiana: “Non abbiamo partecipato, italiani al sicuro”
La Global March to Gaza è ferma dopo arresti, deportazioni e scontri con le autorità egiziane a Ismailia; la delegazione italiana resta al Cairo per motivi di sicurezza mentre il futuro della marcia appare ormai compromesso.

La Global March to Gaza è al momento bloccata, dopo la netta opposizione delle autorità egiziane, con fermi, deportazioni e scontri. La giornata di ieri ha segnato il brusco arresto della marcia, con posti di blocco e scontri fra alcune delegazioni della Marcia e le autorità egiziane a Ismailia, città egiziana a Nord-Est del Cairo.
Dopo i fermi in aeroporto, i circa 200 arresti, le deportazioni e i prelievi in albergo da parte delle autorità egiziane che hanno caratterizzato l’arrivo al Cairo di molti partecipanti nei giorni scorsi, ieri il livello dello scontro si è alzato. Alcune delegazioni della Marcia globale, che in tutto ne conta ben 54 da oltre cinquanta paesi da tutto il mondo, hanno deciso di partire per Ismailia, senza autorizzazione.
Antonietta Chiodo, portavoce della delegazione italiana, racconta così quelle ore concitate: “Ieri 4-5 nazioni del team globale hanno deciso all’improvviso e senza avere trattato l’autorizzazione con le autorità egiziane come avevamo concordato, di prendere a partire per Ismailia, e hanno detto al resto dei partecipanti di seguirli”.
Nel caos che si è generato nelle ore successive, la delegazione italiana si è opposta a questa decisione: “Ho pensato da subito che fosse un suicidio e così è stato: molte persone sono state picchiate, deportate e addirittura alcune nazioni hanno delle persone scomparse. Questa è stata la mia posizione da subito nonostante lo scontro con il Global Team perché non hanno accettato questo distaccamento dell’Italia”.
La scelta della delegazione italiana è stata quella di tutelare la sicurezza dei partecipanti: “Tutti gli italiani sono negli alberghi, sani e salvi. Tre persone della nostra delegazione sono partite autonomamente ma sono state fermate a 50 km da Ismailia e adesso sono rientrate anche loro in albergo”, ha detto Antonietta.
La marcia sarebbe dovuta partire giovedì 12 con il viaggio in pullman dal Cairo ad Al-Arish. Da qui sarebbe partita la marcia vera e propria, a piedi, per raggiungere il valico di Rafah e sbloccare l’ingresso degli aiuti dentro Gaza, che sono fermi ormai da mesi, causando una crisi umanitaria devastante.
Ismailia si trova circa a metà strada fra il Cairo e Al-Arish. Recarsi lì era ritenuto dalle delegazioni che hanno intrapreso l’azione un modo per avvicinarsi alla meta, fare pressione sulle autorità egiziane e sbloccare l’avvio della marcia. Ma la situazione si è fatta da subito complicata. I militari hanno creato tre posti di blocco e fermato centinaia di attivisti lungo la strada. Anche il nipote di Nelson Mandela, fra i partecipanti, è stato fermato.
Secondo fonti che non siamo riusciti a verificare l’intelligence egiziana avrebbe infiltrato molte persone e anche pagato gruppi di beduini, popolazioni nomadi che vivono nelle regioni desertiche dell’Egitto e di altri paesi vicini, per attaccare i manifestanti. Alcuni video sembrano confermare questa ipotesi, come quello qua sotto.
Anche la giornata della delegazione italiana, rimasta al Cairo, è stata comunque tormentata. “Ieri con il mio gruppo, circa una trentina di persone provenienti da Lombardia, Toscana e Marche abbiamo trascorso quasi tutta la giornata in un appartamento, uscendo solo a piccoli gruppi per non dare nell’occhio – ci racconta Roberto Solazzi, un partecipante alla Marcia e abbonato a Italia che Cambia con cui siamo in contatto – ma eravamo sempre controllati dalla polizia o da evidenti agenti in borghese. La polizia è stata per diverso tempo anche sotto il nostro albergo e ha mandato la receptionist a fotografare i nostri passaporti”.
“Abbiamo discusso tutto il giorno sulla situazione dai minimi ai massimi sistemi. Alcuni temi sono stati divisivi, come la scelta di andare a Ismailia a manifestare, in palese contrasto con il divieto del governo egiziano. Le informazioni nella mattinata erano scarse e contraddittorie, poi in serata siamo riusciti a sentire le referenti di tutte le regioni e la portavoce nazione Antonietta Chiodo e si è un po’ chiarita la situazione”.
A turbare ulteriormente gli animi, ieri notte è arrivato l’attacco missilistico israeliano su Teheran. “Da qui l’attacco di Israele all’Iran proprio ora – continua Roberto – sembra pianificato per distogliere l’attenzione mediatica dalla Marcia“. Anche Patrizia, un’altra partecipante, ci racconta che ha deciso di rientrare questa sera in Italia: “Sono sveglia da diverse ore col pensiero di quanto sta accadendo qui ed in Iran. Ho anticipato il volo. Ritorno oggi stesso.”
Adesso il futuro della Marcia è molto incerto. La giornata di ieri, secondo i partecipanti italiani che abbiamo sentito, sembra aver compromesso definitivamente ogni relazione con le autorità egiziane ed ogni speranza – già minima – di vedere la Global March autorizzata.
Per chi resta al Cairo sono state organizzate alcune visite a famiglie palestinesi. “Con il resto del Global Team – ci ha spiegato Antonietta Chiodo – siamo in accordo per far visitare delle famiglie palestinesi che sono uscite da Rafah, bambini malati che sono fuggiti, farli parlare con queste persone per venire a contatto con la situazione palestinese”
Al rientro, comunque, si aprono nuove possibilità di protesta. “Stiamo pensando di organizzare una protesta a Bruxelles – ci racconta ancora Patrizia. Forse era quello che bisognava fare fin dall’inizio in mancanza di autorizzazione dell’Egitto. Noi dobbiamo protestare in Europa, perché è la responsabilità di aiutare Gaza è soprattutto dei nostri decisori politici e noi dobbiamo andare lì a metterli in difficoltà, non qui. L’Egitto si trova sotto il tallone di ferro di Israele e avrà avuto ordini precisi da Israele di bloccare queste manifestazioni pacifiche: E’ una vergogna, la situazione è veramente molto grave, però non ha senso rimanere qua, bisogna tornare in Europa alle nostre rispettive case e da lì organizzare proteste internazionali che abbiano un senso maggiore e che si possano svolgere in sicurezza per tutti i manifestanti”.
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