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7 Ottobre 2025
Podcast / Io non mi rassegno

Un altro governo caduto: come mai la Francia è diventata ingovernabile? – 7/10/2025

Crisi politica e sociale in Francia, la missione pacifista italiana del MEAN sfiorata da un raid in Ucraina, elezioni in Calabria e le due facce dell’IA.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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Trascrizione episodio

“Messo all’angolo, il primo ministro Sébastien Lecornu ha presentato le sue dimissioni al presidente Emmanuel Macron lunedì 6 ottobre, poco prima delle 10 del mattino. Quasi 15 ore dopo aver annunciato la composizione del suo governo, l’ex ministro della Difesa — e uno dei più fedeli sostenitori del presidente — ha gettato la spugna.

«Non si sono verificate le condizioni necessarie» per restare primo ministro, ha dichiarato Lecornu un’ora dopo le dimissioni, parlando dalle scale dell’Eliseo.

Ha spiegato di aver “provato a costruire una via d’uscita assieme ai partner sociali, alle imprese e ai sindacati che rappresentano i lavoratori, in particolare su questioni bloccate da settimane”, come l’assicurazione contro la disoccupazione, le pensioni e la sicurezza sociale, nel tentativo di “rilanciare la gestione condivisa” e “creare una tabella di marcia” basata su una coalizione di governo funzionante”. Ma senza successo.

Siamo su Le Monde, in un articolo che descrive una vicenda che sta prendendo le caratteristiche del grottesco. In premier francese Lecornu, si è dimesso, il giorno dopo aver annunciato il suo nuovo governo e nemmeno un mese dopo essere entrato in carica. È il terzo premier a dimettersi in meno di un anno.

Questa crisi però, che rischia di far saltare tutta la baracca non nasce adesso. Per capirla dobbiamo fare qualche passo indietro. Siamo nell’estate 2024. Il presidente francese Macron è reduce da una brutta sconfitta alle elezioni Europee, che hanno visto, in Francia, il trionfo dell’estrema destra di Rassemblement National, il partito di Marine Le Pen, guidato però dal giovanissimo Jordan Bardella. Macron decide di non aspettare che il partito di Le Pen cresca ancora nei consensi e di sfidarlo alle urne: scioglie l’Assemblea Nazionale, il parlamento francese, e indice elezioni anticipate.

Le elezioni parlamentari in Francia sono su due turni in collegi uninominali. Il primo turno delle legislative però è uno schiaffo: il RN arriva primo, con un consenso altissimo. Il secondo turno però in Francia non è un ballottaggio fra i primi due, ma vi accedono tutti i candidati che superano la soglia del 12% in ciascun collegio elettorale. 

Significa che al secondo turno spesso ci accedono 3 candidati, nei vari collegi. A quel punto però, in vista del decisivo succede che la sinistra radicale, che anche era andata molto bene, si riorganizza in fretta nel “Nuovo Fronte Popolare” e propone una sorta di patto di salvataggio democratico: dove siamo terzi ci ritiriamo, e appoggiamo chi può battere l’estrema destra.

Funziona. Il secondo turno ribalta il risultato. Il RN perde la possibilità di avere la maggioranza. La sinistra prende molti seggi. Il centro di Macron si salva per il rotto della cuffia. E la Francia si ritrova con tre blocchi fortissimi e nessuno in grado di governare da solo.

A quel punto in molti si aspettavano che Macron facesse la mossa politica di provare a governare con la sinistra, o con parte di essa. Cosa che non avviene. Macron propone prima Barnier, sperando di creare un governo trasversale, poi alla caduta di Barnier propone Bayrou, un politico molto vicino a Macron stesso, e poi Lecornu anche lui un fedelissimo. Ma sono tutti governi di minoranza, che si barcamenano e riescono a stare in piedi cercando alleanze a destra e a manca (letteralmente), chiedendo ai partiti di astenersi, e racimolando ongni singola maggioranza per ogni singola votazione. Un lavoro molto faticoso, che non sempre riesce. 

Tant’è che il governo iniziano ad usare con sempre maggiore frequenza l’articolo 49.3 della Costituzione francese, che è una cosiddetta clausola di forza che consente al governo di far approvare una legge senza il voto dell’Assemblea nazionale, a meno che non venga presentata e approvata una mozione di sfiducia entro 24 ore.

È proprio però sull’utilizzo di questo sistema che cade il primo governo, quello di Barnier, che tenta di far passare la legge di bilancio con questo rito abbreviato, ma destra e sinistra si coalizzano per sfiduciarlo e far cadere il governo. E il suo successore fa una fine molto simile: Bayrou prova a far passare la legge di bilancio usando questa volta l’articolo 49.1, che è una sorta di voto di fiducia nostrano, e anche qui il parlamento lo sfiducia.

Lecornu non ci prova nemmeno. Bastano le scelte dei ministri del suo governo per far dire ai Repubblicani, sul cui appoggio il governo contava molto, che non ci sono le basi per approvare nessuna riforma o legge di bilancio. E arriviamo quindi a ieri, alle dimissioni, al caos politico.

Questa ricostruzione che vi ho fatto, però, è quantomeno parziale. Perché a fianco di questa forzatura istituzionale voluta da Macron, questi continui governi di minoranza fatti a detta sua per mantenere la stabilità politica e fermare le avanzate degli estremismi da destra e da sinistra, e a detta degli altri per restare ancorato al potere come un piccolo Napoleone, c’è un’altra questione che mese dopo mese ha assunto sempre più rilevanza ed è andata a infilarsi in questa crisi politica, acuendola e anzi diventandone il vero motore.

Ed è una crisi sociale. È strano dirlo della Francia, che spesso è portata ad esempio di welfare state che funziona, di società che funziona. Ma è un paese in cui le disuguaglianze sono in aumento, l’inflazione e il costo della vita sono in aumento. In cui il debito è in aumento, così come il deficit commerciale. E in cui si parla di tagli alla spesa pubblica come rimedio all’eccessivo indebitamento.

Da qui nascono i problemi legati alla legge di bilancio su cui stanno inciampando tutti i governi, l’uno dopo l’altro. Perché è una legge che taglia finanziamenti agli enti locali, che vuole ridurre i giorni di ferie, per far lavorare di più le persone (il che è paradossale in un momento in cui si parla sempre più di automazione, settimana corta, ia), che vuole congelare i salari pubblici anche di fronte alla crescita dell’inflazione.

Da qui nascono le gigantesche proteste che hanno animato le ultime settimane, il movimento Bloquons tout, blocchiamo tutto, gli scioperi. 

Da qui nasce la doppia crisi francese, che è sia istituzionale che sociale e che quindi fa sì che dei governi si trovino ad affrontare una serie di scelte difficili, senza che abbiano nemmeno lontanamente il capitale politico per poterle affrontare. 

Ora, cosa succederà adesso? Le pressioni da parte delle opposizione stanno crescendo per un nuovo scioglimento dell’assemblea ed elezioni anticipate o addirittura per la caduta di Macron. Al tempo stesso il bilancio deve essere approvato: è urgente, ma nessuno riesce a farlo. 

Macron ha alcune opzioni: nominare un nuovo primo ministro, soluzione più comoda e conservativa, sciogliere l’Assemblea e indire nuove elezioni, oppure in teoria prendere atto di una crisi più profonda e arrivare a dimettersi. Molti analisti francesi, conoscendo Macron, scommettono sulla prima opzione. Che però ha sempre la solita incognita. Quanto durerà?

Nella giornata di domenica, alcuni giornali parlando di una nuova offensiva russa sulla città ucraina di Leopoli, davano “en passant” la notizia che un treno con 110 italiani impegnati in una missione di pace sarebbero stati “sfiorati” dal bombardamento, citando così una iniziativa che altrimenti stava passando del tutto in sordina. 

Leggo su Ansa: “Stavolta, i raid di Mosca hanno sterminato una famiglia di quattro persone, tra cui un’adolescente, e colpito le infrastrutture energetiche essenziali con l’inverno alle porte. E hanno sfiorato un treno sul quale viaggiano 110 attivisti pacifisti italiani di ritorno dalla decima missione Mean – Movimento europeo di azione non violenta – partiti da Kiev e diretti al confine polacco”. 

Che cos’era quindi questo convoglio di pace? Chi erano questi cittadini/ italiane coinvolti? 

Erano perlopiù cittadini comuni, attivisti, rappresentanti di associazioni, studenti, educatori, pacifisti — in tutto 110 persone, provenienti da varie parti d’Italia, riuniti attorno a questa sigla, MEAN, Movimento europeo di azione non violenta, che nasce con l’idea di portare cittadini europei in territori di guerra per ascoltare, incontrare, sostenere la società civile che resiste.

Obiettivi? Primo: sostenere la società civile ucraina, quindi non il governo, non l’esercito, non inviare armi ma sostenere le persone che ogni giorno provano a tenere insieme scuole, ospedali, famiglie, diritti, in mezzo ai bombardamenti russi. L’idea è non di andare lì per spiegare cosa devono fare, ma per ascoltare, per mettersi a fianco, per supportare.

Secondo: spingere l’Europa ad agire per la pace in modo diverso, attraverso i cittadini. Non con le armi, ma con la diplomazia popolare, la presenza nonviolenta, la cooperazione tra comunità. Per questo il movimento sta lavorando per proporre l’istituzione dei Corpi Civili di Pace Europei: persone formate, preparate, capaci di andare nei territori di conflitto per proteggere, mediare, aiutare a ricostruire.

E poi c’è l’aspetto culturale, forse il più difficile: mostrare che la nonviolenza non è solo un principio etico, ma una strategia concreta, efficace, operativa. E per farlo bisogna esserci, mettersi in gioco, e anche rischiare — come hanno fatto quelli e quelle che erano su quel treno sfiorato dalle bombe.

Quindi, Mean non è un movimento super partes, è un movimento che sta dalla parte dei cittadini ucraini che stanno subendo un’invasione, ma lo fa in maniera nonviolenta. E ricordandoci che la pace non è l’assenza di guerra, ma è qualcosa di vivo, che va costruito ogni giorno. 

Velocemente, altre due notizie prima di chiudere. La prima è che domenica e ieri si è votato in Calabria, e ha vinto con un vantaggio piuttosto ampio l’attuale governatore, ricandidato dal centrodestra Roberto Occhiuto, di Forza Italia, che ha sconfitto lo sfidante del centrosinistra, Pasquale Tridico, come ampiamente previsto. 

Occhiuto che nel giugno scorso era stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Catanzaro per concorso in corruzione, insieme ad altri quattro soggetti, nell’ambito di un’indagine legata a presunte movimentazioni bancarie sospette e rapporti con collaboratori. Si era allora dimesso, dichiarando però subito che si sarebbe ricandidato.

Nel frattempo, emergono nuovi elementi durante la campagna elettorale: c’è una dipendente che denuncia e viene poi licenziata, accuse relative a “clientele” e pressioni interne agli enti, che restano sotto il faro dei pm. Non c’è ancora una sentenza sulla questione, ma nel frattempo Occhiuto è di nuovo governatore.

Ultima notizia, che poi sono due, e poi chiudiamo. Ieri abbiamo pubblicato fra le nostre news due notizie che danno idea della complessità di sfide che ci pone l’IA. La prima dice che il Centro Euro‑Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici ha messo a punto un modello basato sull’AI che consente di affinare il monitoraggio degli sversamenti di petrolio e renderlo più efficiente del 25%, aiutandoci a fare interventi più mirati e tempestivi e quindi a gestire meglio future emergenze.

La seconda invece è che il Guardian ha pubblicato un’inchiesta sull’inquinamento da PFAS, gli inquinanti eterni, legati all’aumento dei data center, a sua volta legate alla crescita dell’IA. 

Leggetevi le due news se vi va e scrivetemi cosa ne pensate. Credo che se vogliamo fare un dibattito serio e non fazioso sull’IA non possiamo prescindere da osservare entrambe le facce della medaglia.

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