Allarme PFAS nei data center: l’ascesa dell’IA accentua i rischi ambientali
Un’inchiesta del Guardian svela che con la crescita dell’intelligenza artificale i data center usano sempre più i cosiddetti inquinanti eterni, che possono contaminare aria, acqua e suolo.
L’esplosione dell’intelligenza artificiale porta con sé non solo enormi consumi energetici, ma anche una nuova frontiera dell’inquinamento chimico. Secondo un’indagine del Guardian, i data center, ovvero le strutture fisiche che ospitano server, sono sempre più sotto accusa per l’uso di PFAS, sostanza chimiche inquinanti e nocive per la salute, comunemente note come “forever chemicals” (o inquinanti eterni), per la loro capacità di persistere nell’ambiente per anni e generazioni.
I PFAS vengono impiegati nei sistemi di raffreddamento, nei componenti elettronici e nelle strutture dei data center, ma perdite, guasti o smaltimento improprio possono liberare queste sostanze nell’aria, nelle acque e nei terreni. In particolare, alcuni gas usati come refrigeranti (f‑gas) possono trasformarsi in composti come il TFA, considerato un PFAS non ancora pienamente regolamentato negli Stati Uniti, ma che dimostra potenziali effetti tossici maggiori delle versioni conosciute.
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Leggi l’inchiesta del Guardian.
Anche se il TFA è stato finora poco regolamentato, recenti studi indicano che potrebbe essere più tossico di quanto si pensasse, con effetti potenziali su ecosistemi acquatici e sulla salute umana. Alcuni ricercatori e istituzioni stanno spingendo perché venga incluso nelle normative europee più restrittive sui PFAS.
Con la crescita del numero di data center e l’uso crescente di refrigeranti per il raffreddamento dei sistemi IA, il rilascio indiretto di TFA – che già oggi si stima sia il PFAS più abbondante in natura – potrebbe aumentare in modo significativo. E questo avviene senza che esistano ancora limiti chiari o controlli sistematici sul TFA stesso.
La questione diventa urgente se si considera che la corsa tra Stati Uniti e Cina sulla supremazia dell’IA sta alimentando un’espansione incontrollata dei data center, in assenza di obblighi stringenti sulla dichiarazione dei volumi di PFAS utilizzati o rilasciati.
I rischi sanitari associati ai PFAS sono ben documentati: cancro, malattie renali, problemi riproduttivi e alterazioni immunitarie. Essendo “eterni”, i PFAS non si degradano facilmente con la combustione o il semplice conferimento in discarica.
Il tema si inserisce in un quadro più ampio: già oggi i data center consumano enormi quantità di energia elettrica. Il totale nel mondo è stimato intorno ai 415 TWh, più del doppio del consumo di energia elettrica di un paese come la Svezia, senza contare il mining di criptovalute, e l’IA potrebbe arrivare a pesare per quasi metà di questo fabbisogno.
Alcuni gruppi ambientalisti chiedono che le autorità statali impongano obblighi di trasparenza nell’uso dei PFAS nei data center e nei processi produttivi associati, con report obbligatori e limiti d’uso, affinché l’espansione tecnologica avvenga con consapevolezza e precauzione.
L’intelligenza artificiale sta mostrando sempre più due volti contrastanti. Da un lato offre strumenti innovativi per proteggere l’ambiente, migliorare le previsioni, agire in modo più tempestivo e mirato, come nel caso del sistema sviluppato dal CMCC per tracciare gli sversamenti in mare. Dall’altro, l’espansione delle infrastrutture digitali necessarie per sostenerla — data center, materiali ad alte prestazioni, sistemi di raffreddamento — genera nuovi impatti ambientali, meno visibili ma non meno rilevanti, come l’inquinamento da PFAS.
Queste due facce non si escludono, ma pongono una sfida cruciale: orientare l’innovazione tecnologica verso obiettivi di sostenibilità, evitando che le soluzioni generino nuovi problemi. Un equilibrio delicato, che impone alla politica, all’industria e alla ricerca di uscire dalla logica dell’accelerazione, per abbracciare una visione più integrata e lungimirante.






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