Risiko bancario in Italia: che cos’è e dove ci sta portando – 20/6/2025
Ma che cos’è davvero il risiko bancario e che interessi economici, politici e geopolitici ci sono dietro? E i concerti sold out sono veri o è tutto un grande bluff?

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Fonti
#risiko bancario
la Repubblica – L’Antitrust Ue dà il via libera a Unicredit-Banco Bpm. “Sì, con la cessione di 209 sportelli”
#concerti
la Repubblica – Concerti gonfiati, così funziona l’inganno dei live. Venditti: “Il sold out è una conquista”
#Sardegna
Italia che Cambia – Disperdere il dissenso: elicottero e lacrimogeni provocano un rogo a Decimomannu – INMR Sardegna #83
Trascrizione puntata
Ieri l’antitrust europea, l’organismo che vigila sulla concorrenza, ha approvato l’acquisizione di Banco Bpm da parte di Unicredit a patto che Unicredit si impegni a cedere 209 filiali.
Questa notizia potrebbe non dirvi granché ma è in realtà l’ultimo capitolo di una saga finanziaria che sta occupando le grandi banche italiane (e non solo) da diversi mesi a questa parte. E che i giornali chiamano Risiko bancario. Ed è una roba che è interessante comprendere, perché dietro a queste operazioni si muovono interessi economici certamente, ma anche politici e forse geopolitici.
Comunque, partiamo dall’inizio. In questi mesi se aprite un giornale economico o anche quelli più generalisti, vi sarete accorti che spunta spesso questa espressione: risiko bancario. Che cos’è? È un modo abbastanza intuitivo per descrivere quello che sta succedendo nel settore bancario italiano: una sorta di grande partita a scacchi o di gioco del Risiko, appunto, dove le banche si fanno la guerra a colpi di offerte pubbliche di acquisto, fusioni, acquisizioni, alleanze e così via.
Insomma, è un momento in cui le banche italiane si stanno rimescolando le carte e stanno cercando di diventare più grandi mangiando i pesci piccoli, e poi quelli medi. È una roba abbastanza tipica del capitalismo, niente di nuovo. Lo stesso Draghi nel suo piano per salvare la baracca dell’economia Ue aveva sostanzialmente consigliato al settore bancario di fare le cosiddette M&A, merge and acquisition. Insomma, niente di nuovo.
Ma perché proprio adesso? C’entra innanzitutto il fatto che in questi anni le banche hanno fatto un sacco di utili grazie ai tassi alti della Banca Centrale Europea. Con i tassi d’interesse alti le banche guadagnano di più, soprattutto sui prestiti. Il 2024 è stato un anno doi profitti record per le banche in Italia e in Europa e le azioni delle banche di Eurolandia hanno chiuso il 2024 a un livello mai così elevato dal 2010 in avanti.
E visto che hanno dei soldi in più, degli extra-profitti, con questi soldi si sono messe in testa di usare i soldi per crescere ancora. Perché il mercato è in fermento, perché bisogna investire in tecnologia, perché bisogna stare al passo con i grandi gruppi europei. E perché più sei grande, più sei in grado di reggere eventuali tempeste finanziarie. Questo è almeno la storia che il sistema finanziario si racconta. Un altro modo di vedere la cosa è: più sei grande più forte il botto che fai quando cadi e i danni che crei. Ma questo non si può dire, finché le cose vanno bene.
Se guardiamo lo scacchiere al momento, i due colossi bancari italiani, che sono Unicredit e Intesa San Paolo, stanno adottando strategie molto diverse. Intesa al momento si tiene lontana da quello che il suo Ad Carlo Messina ha definito un far west bancario italiano. Mentre Unicredit ha una linea molto più spregiudicata, con il suo Ad Andrea Orcel che tenta acquisizioni su acquisizioni.
La più chiacchierata di queste settimane – ma ormai possiamo dire di questi mesi – è in effetti proprio quella di UniCredit che ha provato a lanciare un’opa su Banco BPM. Banco BPM è il terzo gruppo bancario italiano per dimensioni, solido ma abbastanza “piccolo” da essere un obiettivo appetibile. La sua acquisizione consentirebbe a UniCredit di guadagnare scala, entrare in nuove regioni e rafforzare la propria posizione competitiva nell’insieme del sistema Italia.
Solo che questa cosa non va molto a genio a un po’ di gente, fra cui il governo italiano. Per lcuni esponenti del governo infatti Orcel è visto un po’ come il banchiere “globale”, uno che rappresenta gli interessi del grande capitale internazionale più che quelli del Paese. E Unicredit ha oltre il 60% delle partecipazioni in mano ad investitori extra europei. E in particolare quote importanti sono in mano dei grandi fondi d’investimento, come BlackRock (che con il 7% è il primo azionista), Capital Research, Norges.
E quindi il governo ha deciso di provare a bloccare questo tentativo di acquisto, che in gergo si chiama Opa o Ops (offerta pubblica di acquisto o offerta pubblico di scambio, non sto qui a spiegarvi le differenza ma il succo è che quando vuoi comprare una banca o in generale una società quotata in borsa non è che la compri al negozio o con la valigetta di soldi, ma la legge ti impone di fare un’offerta pubblica trasparente a tutti gli azionisti: che si chiama OPA o OPS). Che poi si “lancia”, non so perché, non so dove, però se sentite dire tizio ha lanciato un’opa è questa roba qua.
Dicevo il governo ha provato a bloccarlo usando una sorta di superpotere dal nome epico, il Golden Power, che è una specie di scudo che blocca le compravendite (solo in alcuni settori strategici, tipo energia, infrastrutture, banche appunto) che lo Stato può usare per vigilare e mettere paletti quando ci sono operazioni che possono avere impatti strategici sulla sicurezza nazionale.
Il governo ha utilizzato il Golden Power non per bloccare del tutto l’operazione ma per imporrre a UniCredit una serie di vincoli piuttosto rigidi. Tipo: uscire dal mercato russo entro il 2026, non ridurre il rapporto tra impieghi e depositi (cioè continuare a sostenere l’economia reale), mantenere il livello attuale degli investimenti di Anima (gruppo legato al risparmio gestito) nei titoli italiani. Insomma, l’idea è: ok ti ingrandisci, ma non lo fai a scapito del sistema Italia.
Il che è una roba anche ragionevole se non fosse che nel frattempo lo stesso governo strizzava l’occhio a un altro gruppo bancario più piccolo ma molto ambizioso. Ora ci arriviamo, fatemi finire però prima la vicenda Unicredit – Banco BPM. Perché la notizia di ieri è che l’antitrust europeo, che è uno dei tanti organismi che vigila sulle fusioni si soggetti così grossi, ha dato il via libera all’operazione, a patto che Banco BPM vendi alcune filiali, circa 200, per evitare problemi di concorrenza. Quindi ecco, l’operazione probabilmente si farà, al momento alle condizioni imposte dal governo italiano. Poi in realtà è ancora più complicata di così perché a un certo punto l’antritrust europeo si esprimerà anche sull’utilizzo del golden power, per dire se è stato usato correttamente o no ma per ora lasciamo perdere e diamo per buono che la fusione si farà.
Dicevo che questa operazione non è però l’unica operazione grossa che bolle in pentola. Perché c’è in ballo un’OPS di MPS su Mediobanca. Quindi MPS, che dopo essere salvata dallo Stato nel 2017 è stata in buona parte rivenduta a privati, vuole unirsi a Mediobanca. E dietro questa operazione ci sarebbero in particolare due gruppi che hanno azioni in entrambe le banche. Sto parlando del gruppo Delfin, della famiglia Del Vecchio, quella del fondatore di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, uno degli imprenditori più ricchi e influenti d’Italia morto 3 anni fa.
E del gruppo Caltagirone, che fa riferimento a Francesco Gaetano Caltagirone imprenditore romano a capo di un gruppo che spazia tra edilizia, cemento ed editoria (Il Messaggero, Il Gazzettino).
Quindi ecco, abbiamo da un lato abbiamo Unicredit che si vuole mangiare Banco BPM, con grandi fondi globali a farla da padrone e il governo italiano che mette un po’ i bastoni fra le ruote. E dall’altra abbiamo Montepaschi che vuole unirsi a Mediobanca, con due imprenditori italiani e il governo che stirzza l’occhio, un po’ perché sono italiani, un po’ perché avere una sponda con le banche fa sempre comodo.
Dietro di queste ci sono poi altre partite. Mediobanca ha fatto un’offerta per prendersi Banca Generali, Banca Ifis ha fatto un’offerta su Illimity. La tendenza è quindi alla formazione di gruppi più grandi, in teoria più solidi, ma anche meno resilienti.
E poi ci sono i problemi di concorrenza, di cui molti giornali stanno parlando. Se le banche si concentrano troppo, c’è meno concorrenza. Se ci sono meno sportelli, certe zone rischiano di rimanere senza copertura bancaria – si parla di desertificazione bancaria.
Quello che però mi sembra che manchi nel dibattito pubblico, come spesso accade, è l’elefante nella stanza. Ok, stiamo costruendo un sistema bancario sempre più elefantico, sempre più pericolosamente grande e sempre più ricco e potente. Ma per fare cosa? Per investire in cosa? Perché è quello il punto principale, il motivo principale che dovrebbe spingere i governi e le autorità a autorizzare o meno queste operazioni. Che ci vuoi fare con tutti questi soldi?
Ci vuoi finanziare le industrie del fossile? Ci vuoi finanziare il riarmo e l’industria bellica? Oppure ci vuoi finanziare le energie rinnovabili, le aziende locali e sostenibili. Il problema di un sistema economico, anzi di una società puramente quantitativa, in cui tutto si misura in numeri, è che non abbiamo strumenti per definire la qualità di quello che si fa. O meglio, gli strumenti ci sarebbero anche, ma non li usiamo.
Per quel poco che ci sembra che possiamo fare però, possiamo certamente scegliere dove mettere i nostri soldi. Se i sistemi burocratici, politici, istituzionali non sono pensati per fare scelte qualitative, be’ noi possiamo farle eccome. Non vi dico altro sennò Orcel mi viene a suonare sitti casa però, ecco, ci siamo capiti.
Negli ultimi giorni si è cominciato a parlare molto di questo fenomeno dei cosiddetti concerti gonfiati o finti sold out. il primo a tirar fuori la cosa è stato Federico Zampaglione dei Tiromancino. Ha pubblicato un post in cui ha raccontato come funziona questo meccanismo. Da lì si è scoperchiato il vaso di Pandora ed p venuto fuori che è un po’ un segreto di Pulcinella, che tutti conoscono almeno in quell’ambiente. Ma che finora nessuno aveva avuto il coraggio di raccontare così apertamente.
In pratica funziona così, e lo racconta fra gli altri Patrizio Ruviglioni su Repubblica: il promoter o la grande agenzia propone all’artista il concertone nello stadio o nel palasport, magari spingendo un po’ sull’acceleratore e promettendo location da sogno, grande pubblico, immagine da star. Poi però, quando si avvicina la data, ci si rende conto che i biglietti non stanno andando come si sperava. Magari il prezzo era troppo alto, magari l’artista non ha ancora un pubblico così grande da riempire quegli spazi, o magari è semplicemente un momento difficile, con il calo del potere d’acquisto che stiamo vivendo.
A quel punto parte il teatrino: si cominciano a regalare biglietti, a offrirli agli sponsor, agli influencer, agli amici degli amici. Si piazzano i biglietti a prezzi stracciati, magari a dieci euro quando il prezzo ufficiale era cinquanta, senza neanche far troppo rumore, con offerte lampo su qualche sito. L’obiettivo è salvare la faccia, evitare l’effetto stadio mezzo vuoto e poter dire comunque: sold out. Ma è un sold out finto, una messa in scena. L’artista magari si trova sì davanti a un colpo d’occhio di pubblico, ma resta intrappolato: perché quei mancati incassi vanno ripagati in qualche modo. E così spesso si finisce a fare altre date a condizioni meno vantaggiose, o concerti gratis in piazza, o comunque a svendere il proprio lavoro pur di rientrare dei costi e mantenere la propria posizione.
A parlarne non è stato solo Zampaglione: anche Alex Britti ha raccontato che più di una volta ha rifiutato tour nei palazzetti, perché sapeva che non avrebbe riempito e non voleva farsi male. E anche artisti come Bresh, Rkomi, The Kolors, Benji & Fede, Tony Effe, CCCP hanno dovuto riprogrammare date, cancellare concerti, scegliere location più piccole. La questione riguarda tutti: non è solo una questione di giovani lanciati dai talent o dai social, come ha detto Zucchero lamentando che manca la gavetta. Vale per generazioni e generi diversi, e fa emergere un problema strutturale del sistema musica in Italia.
Dopo la pandemia, quando c’era un’enorme voglia di tornare ai concerti, il mercato ha spinto al massimo: più eventi, più stadi, cachet più alti. Ma adesso quella bolla sembra essersi sgonfiata, e il rischio è che tutto il sistema si incrini, perché se il sold out diventa solo una strategia d’immagine, alla lunga a perderci sono tutti: artisti, pubblico e lo stesso mondo della musica live.Come dice Venditti nell’intervista a Repubblica: il sold out dovrebbe essere una conquista, non un punto di partenza inventato a tavolino.
Le altre notizie, al volo. Putin ha detto di essere disposto a incontrare Zelensky di persona, ma solo dopo la fine dei negoziati. Israele ha continuato a boimbardare il nuovo Capo di stato maggiore Shadmani. L’Iran ha bombardato un grande ospedale israeliano, Israele ha colpito un reattore iraniano. Trump ha detto che deciderà se attaccar eo meni l’Iran nelle prossime due settimane. Negli ultimi due anni la Giamaica ha dimezzato il tasso di povertà fra la popolazione (di questo magari riparliamo lunedì).
Le notizie dalla Sardegna che Cambia
E a proposito di militari militarizzazione e riarmo. In chiusura vi annuncio che domani esce la nuova puntata di INMR+. In cui torniamo a intervistare Dario Tamburrano, europarlamentare in carica, che a marzo dello scorso anno ci aveva parlato per primo di riarmo europeo.
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