13 Mar 2023

Un’altra strage in mare – #687

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Mentre ancora non si spengono le polemiche per il naufragio di Cutro, una nuova tragedia in mare scuote la cronaca di queste ore. Parliamo anche dello strano legame fra l’acciaieria Azovstal di mariupol passata in mani russe e l’Ilva di Taranto, della miracolosa storia di una terra desertica trasformata in un’oasi di agricoltura naturale in Egitto, del fosfogeddon e di un po’ di altre cosette.

Ne abbiamo parlato anche venerdì, ma in maniera molto tangenziale, quindi penso sia il caso di tornarci, anche perché nel fine settimana e ancora oggi la notizia sui principali quotidiani nazionali continua a tenere banco. Sto parlando della strage di Cutro, ma soprattutto di quello che è successo dopo: dal successivo consiglio dei ministri che si è tenuto proprio nella cittadina calabrese, al nuovo dl migranti che ne scaturito, alle polemiche per il trattamento inumano riservato ai sopravvissuti o al poco rispetto mostrato ai parenti delle vittime, infine alla festa di compleanno di Salvini (anche qui con polemiche annesse) svoltasi sempre a Cutro. E infine una nuova tragedia in mare, anche qui con, pare, un colpevole ritardo da parte delle autorità italiane.

Partiamo dall’inizio. Della tragedia di Cutro in sé abbiamo già parlato diverse volte. Giorno dopo giorno si sono accumulati altri corpi senza vita che il mare ha restituito alla spiaggia, altri racconti e testimonianze strazianti, di genitori che hanno perso i propri figli, figli che hanno perso i propri genitori, persone in stato di shock che non parlano nessun’altra lingua a parte la propria di origine ma cercano di capire, in mezzo a quella che doveva apparire come una bolgia dantesca, se i propri cari sono sopravvissuti, sono stati recuperati oppure non ce l’hanno fatta.

Come accennavo, la tragedia non si è esaurita lì e diversi giornali e organizzazioni hanno fatto dei reportage sui sopravvissuti che sono stati lasciati per diversi giorni in condizioni terribili, sommando alla tragedia vissuta quella dell’impatto con l’accoglienza burocratico-istituzionale del nostro paese. Scrive Antonio Maria Mira su Avvenire: “Gli immigrati erano stati messi in due capannoni del Cara di Isola di Capo Rizzuto, con letti insufficienti, in parte costretti a dormire sulle panche o per terra, senza lenzuola, donne e minori in mezzo agli uomini adulti, con il bagno in comune, un’unica doccia senza alcuna tenda e nessun riscaldamento”.

Per fortuna, anche grazie alla denuncia di diversi giornali, fra cui lo stesso Avvenire, Repubblica, La Stampa, la situazione è stata parzialmente migliorata e oggi, leggo ancora sull’articolo di Avvenire, “Dodici di loro ora sono stati trasferiti in alcuni Sprar, gli altri in strutture altrettanto adeguate” e “tutti hanno un letto”.

Poi, come accennavo, c’è stata la questione dei parenti delle vittime. Considerate che molte di queste persone che si erano imbarcate avevano parenti in Europa o in altri continenti, che come potete immaginare, appena raggiunti dalla notizia sono arrivati a Cutro. Alcuni persino dall’Australia. Solo che nel frattempo, non si capisce bene secondo quale logica, le bare delle vittime erano in partenza per Bologna dove dovevano essere seppellite. Questa cosa ha sollevato grosse proteste e un sit in, che alla fine ha ottenuto il risultato di fermare il convoglio e annullare la partenza dei feretri. 

Un breve articolo sul Sole 24 Ore descrive così la situazione: “”Abbandono”, “disagio”, “mancanza di una regia”. Sono le accuse che arrivano da Crotone da associazioni e parenti della vittime del naufragio di Cutro per la gestione dopo la strage di sopravvissuti e familiari, lanciate in un incontro con la stampa davanti al Palamilone.

A parlare, i parenti delle vittime che nelle scorse ore hanno organizzato anche un sit-in per evitare lo spostamento a Bologna delle bare, poi annullato. Zara viene dalla Germania e ha un fratello disperso: chiede di continuare la ricerca per trovare tutti i corpi. Parla anche la sorella della giornalista afgana Torpekai Amarkhel, morta a 42 anni nel naufragio.

Vorrebbe rimpatriare il prima possibile la salma, non può fermarsi ancora molto in Italia, ci sono tante difficoltà “Era una giornalista – dice – nessuno l’ha aiutata quando era viva, almeno aiutatela da morta. Era in pericolo in Afghanistan lavorava anche con gli italiani, aveva chiesto aiuto”.

E così, tante altre storie, che si intrecciano dietro  a questa tragedia. Al momento lo Stato italiano si è impegnato a rimpatriare tutte le salme, cosa che però non appare semplicissima visto che molti provenivano dall’Afghanistan. 

Veniamo al dl immigrazione, approvato durante un consiglio dei ministri speciale che si è svolto proprio a Cutro. Molti giornali hanno posto l’accento sul presunto braccio di ferro fra Salvini e Meloni, perché l’obiettivo dichiarato del governo era quello di avere una legge a due gambe, che da un lato facilitasse la vita a gli immigrati regolari, quelli che arrivano in Italia seguendo le procedure internazionali, dall’altro che invece applicasse il pugno diro (o chiamatelo come vi pare) contro l’immigrazione irregolare, in particolare nei confronti degli scafisti. 

Che ne è venuto fuori? Niente di particolarmente nuovo. Scrive Annalisa Camilli su L’Essenziale: “Il decreto prevede pene più severe per i cosiddetti scafisti (cioè chi è identificato come conducente dell’imbarcazione) e introduce il nuovo reato di “morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina”, con pene da dieci a vent’anni per lesioni gravi o gravissime a una o più persone; da 15 a 24 anni per morte di una persona; da venti a trent’anni per la morte di più persone.

Si velocizza l’esecuzione dei decreti di espulsione. Si va verso l’abolizione della protezione speciale, introdotta nel 2020 dal decreto della ministra Luciana Lamorgese che modificava i decreti sicurezza di Salvini del 2018. Si tratta di un permesso di soggiorno per motivi umanitari in cui viene valutato il grado di integrazione della persona.

Infine si introducono norme per gestire i centri di accoglienza e gli hotspot secondo princìpi di emergenza. In particolare, è previsto di “derogare al codice dei contratti pubblici, consentendo una maggiore speditezza nello svolgimento delle procedure” quando si tratta di aprire o ampliare i centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr).

Il pacchetto prevede inoltre che il decreto flussi – la concessione di permessi di soggiorno per motivi di lavoro – sia pianificato su un arco di tempo di tre anni e non sia stabilito invece ogni anno. Infine “i rinnovi del permesso di soggiorno rilasciato per lavoro a tempo indeterminato, per lavoro autonomo o per ricongiungimento familiare avranno durata massima di tre anni, anziché due come oggi”.

Come commenta il post: “L’approccio adottato dal governo non è stato insomma nulla di nuovo rispetto a quello seguito negli ultimi anni da tutti i governi, pur con qualche sfumatura. Nel decreto è stato inserito poco o nulla sull’apertura di canali regolari, giudicati da molti esperti di immigrazione come l’unico modo per ridurre gli arrivi irregolari via mare. Sono state incluse invece diverse misure che sulla carta appaiono assai severe, ma che concretamente sembrano servire a poco; e nuove restrizioni delle garanzie per i migranti e i richiedenti asilo che riescono ad arrivare in Italia, nella speranza che si diffonda la notizia nei paesi di partenza che le condizioni offerte dall’Italia non valgano i rischi del viaggio (una dinamica che finora non sembra essere mai esistita)”. Anche perché – aggiungo io – è risaputo dati alla mano che la maggior parte delle persone che arrivano in Italia lo fanno solo come ponte verso altri paesi europei.

Al di là del decreto, la maggior parte delle polemiche sono state dovute a due fatti abbastanza laterali. Una è stata la mancata visita degli esponenti del governo, e in particolare di Meloni in quanto prima ministra, ai parenti delle vittime e ai sopravvissuti. Gesto strano, che ha portato molti a chiedersi: ma allora che senso aveva andare fino a Cutro?

Il secondo è stato un fatto privato, che però in molti hanno trovato, diciamo di cattivo gusto. Ovvero le immagini dei festeggiamenti del compleanno di Salvini, sempre a Cutro, Salvini che proprio in quei giorni ha compiuto 50 anni e ha festeggiato assieme ai colleghi di governo, con una festa, con un karaoke e così via. 

Non mi voglio soffermare troppo su quest’ultimo fatto, non ho un’opinione chiara e se da un lato posso essere d’accordo che sia stato un gesto di cattivo gusto, farlo lì, festeggiare proprio lì, dall’altro mi infastidisce abbastanza anche come i giornali – in particolare i giornali di sinistra, si fa per dire, tipo Repubblica – abbiano trattato l’argomento, gonfiandolo a dismisura e con una retorica molto strumentale, che non è poi così tanto meglio.

L’unico lato che mi sembra bello e positivo di tutta questa terribile storia, è che a Cutro, lontano dalla passerella politica del governo, c’è stata una grande solidarietà da parte della popolazione. Sulla spiaggia del disastro 5000 persone hanno sfilato in solidarietà con le vittime e per chiedere al governo che tutto ciò non accada più. Gli stessi sopravvissuti così come i parenti delle vittime hanno ringraziato la popolazione locale per l’accoglienza. 

Intanto, con il mare che ancora continua a restituire i corpi senza vita delle vittime a Cutro, una nuova tragedia si è consumata ieri. Provo a ricostruire quello che ho capito, anche se le versioni sono ancora in parte confuse. Sabato sera due Ong, Sea Watch e Alarm phone hanno iniziato a segnalare la presenza di un gommone in difficoltà, in mezzo al mare in tempesta, a largo della Libia. 

Le autorità italiane, a cui è stato richiesto soccorso, hanno inizialmente contattato delle navi mercantili che si trovavano nelle vicinanze, che però non era attrezzato per il soccorso e quindi si sono limitate a monitorare la situazione, chiedendo l’intervento della guardia costiera. 

Le autorità italiane a quel punto avrebbero contattato la guardia costiera libica, che però avrebbe fin da subito messo in chiaro che non sarebbe intervenuta. A quel punto, invece di intervenire immediatamente inviando la propria guardia costiera, anche le autorità italiane hanno atteso senza prestare soccorso. Alla fine, a quanto pare, uno di questi mercantili ha tentato il salvataggio, ma durante le operazioni il gommone si è rovesciato e solo 17 persone sono state trasferite a bordo, mentre 30 risultano disperse, con speranze minime che vengano ritrovate.

La strategia del governo sembra abbastanza chiara. Deterrenza. Convincere le persone che il viaggio è troppo rischioso. Ma è fatta sulla pelle delle persone. Letteralmente. 

Su Repubblica di ieri c’era un’intervista all’amministratore delegato dell’acciaieria Azovstal di mariupol, caduta sotto il controllo dei russi. L’articolo s’intitola “Yury Ryzhenkov, l’intervista: “L’Azovstal è persa, ripartiamo dall’Italia”. 

Vi leggo un pezzetto, dal quale capirete dove voglio andare a parare. Giovanni Pons, giornalista di Repubblica chiede: “Con i vostri stabilimenti in Italia a  San Giorgio di Nogaro e Verona avete continuato a lavorare? 

«Prima della guerra i semilavorati bramme arrivavano dal nostro grande stabilimento di Azovstal. E le materie prime soprattutto confluivano sui due stabilimenti di San Giorgio di Nogaro e Oppeano vicino a Verona. Ora ci siamo riorganizzati inviando le materie prime dagli Stati Uniti e dall’Ucraina agli impianti di Acciaierie d’Italia a Taranto e loro poi mandano i  

semilavorati alle nostre fabbriche nel Nord Italia. In questo modo la produzione italiana ha potuto continuare a pieno regime»

Nella puntata di venerdì, Alessandro Marescotti accennava al motivo per cui ci sono così tante resistenze a chiudere l’Ilva di taranto. Non sono resistenze economiche, né legate al lavoro. No: sono resistenze geopolitiche. Lui faceva riferimento alla guerra fredda con la Cina, ma oggi arriva un altro tassello importante di ragionamento. Insomma, le motivazioni per cui non si vuole chiudere l’Ilva di Taranto mi sembrano sempre più chiare. Anche se non sono dichiarate, immagino per questioni di consenso politico.

Sul manifesto Lucy Milenkovic e Alfredo Fasola raccontano una storia che ha del miraocloso. Tant’è che il titolo dell’articolo, che è un reportage, è “A Sekem un miracolo nel deserto”. Ve ne leggo qualche estratto.

“La storia di un’iniziativa straordinaria che dal 1977 lavora per rendere coltivabile il deserto egiziano ha ispirato il viaggio di quindici persone, soprattutto agricoltori e agronomi biologici dell’Umbria, del Piemonte e del Veneto, alla ricerca di soluzioni che garantiscano il proseguimento dell’attività agroalimentare nelle condizioni di crescente emergenza idrica che caratterizzano tante aree della stessa Italia. 

Sekem (il nome significa «energia vitale»), la meta della trasferta egiziana, ha raggiunto l’obiettivo con una combinazione di interventi: gestione dell’acqua, piantagione di migliaia di alberi, tecniche biodinamiche. In un secondo tempo, dall’agricoltura si sono sviluppati i settori della trasformazione dei prodotti e del commercio, e attività sociali e culturali centrate sui lavoratori, che ormai sono migliaia nel circuito. Sekem è una comunità solidale.

IL LIBRO «LA SFIDA DI SEKEM» (editrice Antroposofica) ci ha fatto conoscere lo sviluppo armonioso di un’azienda biodinamica frutto del sogno verde di Ibrahim Abouleish, il fondatore, morto nel 2017. Dopo un periodo in Austria dove aveva studiato con successo chimica tecnica e medicina, lasciò la carriera nell’industria farmaceutica per tornare in un luogo dove non c’era che deserto, e terra arida che il visionario riteneva possibile fertilizzare, e acqua ma solo in profondità, e manodopera. Là nel nulla e dal nulla applicò il metodo biodinamico studiato in Austria e Germania. Nel corso di 40 anni sono stati resi produttivi 2.000 ettari. E’ quasi uno shock entrare a Sekem dopo il percorso dal Cairo – una larga strada con poche palmette spelacchiate, tutto intorno lavorazioni continue con grandi macchinari e cumuli enormi di terra o sabbia; e tante installazioni militari.

A SEKEM GLI ALBERI CIRCONDANO il corpo originario dell’azienda, ma li troviamo anche intorno e in mezzo ai campi cereali e ortaggi e alle colture fiorite di camomilla, calendula, menta e altre piante officinali. Molte arnie: con appezzamenti di diverse specie e varietà vegetali le api hanno sempre qualcosa da mangiare. Ci sono alberi (per esempio la moringa e l’acacia) che possono crescere senza acqua, traggono dall’aria l’umidità necessaria e attualmente vengono testati nell’ambito del progetto Greening the desert. E’ stato calcolato che l’intensa opera di agro-forestazione abbia fissato in 40 anni almeno 500.000 tonnellate di CO2, sottratte all’effetto serra. E poi le colture arboree e le siepi spezzano la furia del vento che inaridisce. Portano fertilità, aiutano l’umidità e la gestione idrica.

L’articolo poi descrive minuziosamente le tecniche usate per non disperdere e ottimizzare l’acqua (che è il problema principale), l’utilizzo certosino del compost, per poi spiegare come questa esperienza abbia fatto scuola:

“Persino gli agricoltori convenzionali si sono convinti dei molti vantaggi portati dal compost e hanno iniziato a produrlo da sé, anche a venderlo. Al giorno d’oggi circa 500 agricoltori in tutto il paese applicano l’agricoltura biodinamica. Riescono a stipulare contratti a lungo termine che garantiscono un prezzo stabile e possono usufruire regolarmente di corsi di approfondimento.

NEGLI ANNI 2000, SEKEM HA ACQUISITO altre proprietà nel deserto occidentale dell’Egitto, a Wahat (nel deserto occidentale). Inoltre si lavora all’obiettivo di affiancare alle attività agricole anche la fondazione di comunità rurali. Importante il lavoro sulla certificazione, con il progetto Economy of love: prodotti sostenibili, etici e trasparenti in tutta la catena di produzione, trasformazione e distribuzione. Il progetto include anche un insieme di imprese, aziende agricole e consumatori che lavorano per creare un’economia basata sul rispetto nei confronti delle persone e della natura. Il marchio è stato sviluppato dall’associazione egiziana The Egyptian Biodynamic Association (Ebda) per sostenere agricoltori, imprese e consumatori.

L’obiettivo per la metà del secolo è contaminare sette milioni di agricoltori egiziani. Insomma Sekem non vuole essere una luce nel deserto, ma contribuire a un modello di totale cambiamento del sistema, agricolo e culturale. NELL’UNIVERSITA’ DI HELIOPOLIS, fondata da Sekem al Cairo, è al presente e al domani che lavorano le facoltà di ingegneria, economia, farmacia, fisioterapia, agricoltura organica. Centrali gli studi comparati fra agricoltura biodinamica, biologica, convenzionale”.

L’articolo è più lungo e dettagliato e vi consiglio di leggerlo, se avete tempo e interesse per la questione. Mi sembra interessante per tre motivi in particolare. Il primo è che conferma e rinforza la sterilità di alcuni dibattiti, tipo quello sull’agricoltura biodinamica, che incendiò gli animi qua da noi qualche mese fa. Come dicevamo ai tempi, nessuno sa bene perché funzioni, e alcune tecniche possono sembrare ai più scettici roba da stregoni. Ma funziona, e funziona bene. 

Il dibattito ai tempi era se fosse corretto o meno destinare finanziamenti pubblici all’agricoltura biodinamica visto che usava metodi antiscientifici. Ecco, credo che chi sia mosso da uno spirito scientifico genuino, invece di attaccare, debba chiedersi: perché funziona?

Il secondo motivo per cui questa esperienza è interessante, come dice lo stesso articolo, è che avremo un sacco bisogno di un’agricoltura a basso utilizzo di acqua anche da noi, già da ora. 

Il terzo motivo… è rappresentato dalla prossima notizia.

Il Guardian ha pubblicato un articolo sul cosiddetto “Fosfogeddon” ovvero armageddon del fosforo. L’articolo descrive i risultato di uno studio dell’Università di Lancaster secondo cui nostro abuso di fosforo sta portando a una carenza terribile di fertilizzanti che potrebbe interrompere la produzione alimentare globale.

I problemi legati al fosforo non sono di certo una cosa nuova, da anni ad esempio si parla di picco del fosforo. Perché il fosforo, che è alla base dei principali fertilizzanti usati nell’agricoltura industriale, sta finendo. Si estrae soprattutto dalle rocce fosfatiche, ma non sembra essercene rimasto molto. “Allo stesso tempo, i fertilizzanti fosfatici lavati dai campi – insieme alle acque reflue immesse in fiumi, laghi e mari – stanno dando origine a diffuse fioriture algali e creando zone morte acquatiche che minacciano gli stock ittici”.

“Inoltre, l’uso eccessivo di questo elemento sta aumentando il rilascio di metano in tutto il pianeta, contribuendo al riscaldamento globale e alla crisi climatica causata dalle emissioni di carbonio, hanno avvertito i ricercatori”.

“Abbiamo raggiunto un punto di svolta critico”, ha dichiarato il professor Phil Haygarth dell’Università di Lancaster. “Potremmo essere in grado di tornare indietro, ma dobbiamo davvero riprenderci ed essere molto più intelligenti nel modo in cui utilizziamo il fosforo. Se non lo facciamo, andremo incontro a una calamità che abbiamo definito ‘fosfogeddon'”.

Anche qui, per ragioni di spazio, non vi riporto tutte le altre cose importanti citate dall’articolo, ma insomma il succo è questo. Le conseguenze di un utilizzo eccessivo del fosforo ci stanno tornando indietro con gli interessi. L’aspetto interessante, se volgiamo vedere il lato positivo, è che gli ecosistemi ci stanno gentilmente obbligando a smettere di fare attività dannose per il loro equilibrio. Ovviamente ci dobbiamo mettere molto del nostro, eh.

Va bene, mi sa che dobbiamo chiudere, vi nomino solo alcuni fatti successi che magari approfondiremo nei prossimi giorni. In Cina Xi Jinping è stato rieletto per il suo terzo mandato, mentre Li Qiang, uomo di fiducia di Xi, è stato eletto primo ministro dall’Assemblea nazionale del popolo della Repubblica Popolare Cinese.

In Amazzonia il mese di febbraio ha fatto segnare un triste record per la deforestazione, a dimostrazione che la sfida di Lula è ancora tutta da vincere. Sabato ci sono state le manifestazioni più oceaniche degli ultimi anni, con centinaia di migliaia di persone in piazza in Israele, contro la riforma della giustizia voluta dal governo.

Segnalo anche due fatti che potrebbero segnale l’inizio di una nuova slavina finanziaria (anche se forse è presto per dirlo). Venerdì ha dichiarato fallimento la Sylicon Valley bank, una banca americana di medie dimensioni specializzata in investimenti tecnologici. Ieri sera è arrivata la notizia anche del fallimento di una seconda banca, Signature Bank. Che sia partito un nuovo effetto domino? Certo Silicon Valley Bank non è Lehman Brothers, però, antenne dritte.

Infine vi segnalo due articoli, uno sempre del Guardian su come le società umane sono riuscite ad emanciparsi (chi più chi meno) dalla caccia alle balene e uno sul Post intitolato Fukushima 12 anni dopo.

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