19 Nov 2024

Elezioni regionali: chi ha vinto in Umbria ed Emilia-Romagna e come governeranno – #1022

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Si è votato per le elezioni regionali sia in Emilia Romagna che in Umbria, e in entrambi i casi ha vinto il / la candidata del campo largo Pd-M5S-Avs, ma ancor più, come sempre più di frequente accade, ha vinto l’astensione che ha toccato vette da record. Parliamo anche di Cop29 con la nostra rubrica linea a Baku e del fondatore di Sea Shepherd Paul Watson che continua ad essere rinchiuso in carcere in Groenlandia in attesa di sapere se sarà estradato in Giappone. 

Ieri alle 15 si sono chiuse le urne in Umbria e in Emilia Romagna, dove si votava per eleggere il/la nuovo/a presidente della regione. Partiamo dalle elezioni più scontate nell’esito ma che comunque hanno tanto da dirci. Quelle in Emilia Romagna, regione amministrata dal centrosinistra praticamente da sempre, ma che oggi fa i conti con un tasso di cementificazione molto alto ed è reduce da una serie impressionante di alluvioni ed eventi climatici estremi, imputabili certamente alla crisi climatica ma resi più gravi proprio dalla cementificazione.

Qui la vittoria del candidato di centrosinistra era stata abbastanza per scontata e in effetti è arrivata, è stata anche molto ampia, in percentuale. Ricordatevi “in percentuale”, non è una precisazione a caso, dopo ne parliamo.

Michele de Pascale, candidato del centrosinistra, con la soluzione campo largo che unisce Pd, M5S e Avs, ha vinto con il 56,8 %dei voti, contro la candidata di centrodestra, Elena Ugolini che ha ottenuto il 40%.

Comunque, in queste elezioni più che mai dove il risultato non è mai stato in bilico, contava moltissimo l’affluenza. Era da lì che ci si aspettava un’indicazione sulla fiducia dei cittadini nella politica dopo gli ultimi fatti di cronaca (le alluvioni, ecc). Qualche giorno fa un articolo del Post titolava “Solo l’affluenza preoccupa Michele de Pascale.

E l’affluenza è stata bassissima. Per darvi un’idea, è stata del 46,42%, mentre nelle precedenti elezioni regionali in ER del 2020 era stata del 67,27%. E nel 2020, pensate un po’, si votò in un solo giorno, mentre stavolta c’è stato un giorno e mezzo. Quindi un crollo vertiginoso, che non è imputabile a un calo fisiologico dell’affluenza come avviene in diverse parti nel mondo nelle cosiddette democrazie mature, ma è un chiaro, netto segnale politico.

Che però è trasversale a tutti gli schieramenti. Non sono gli elettori di centrosinistra che delusi dalla precedente amministrazione hanno disertato le urne, perché de Pascale ha vinto con una percentuale maggiore rispetto a quella con cui vinse Bonaccini nel 2020. Quindi è un fenomeno trasversale, anzi forse persino più accentuato a destra. Però ecco, l’astensione è IL dato di queste elezioni. Di nuovo, ancora una volta.

Visto che però l’astensione non ha un valore politico per come funziona il sistema, de Pascale potrà governare ampiamente, forte di una maggioranza di circa ¼ dell’elettorato che l’ha votato. Scopriamo quindi chi è De Pascale.

Il primo dato che colpisce è l’età, de Pascale è piuttosto giovane, rispetto alla media dei politici italiani. Ha 39 anni, è il sindaco uscente di Ravenna, e in campagna elettorale ha cercato di differenziarsi dalla giunta Bonaccini che lo ha preceduto e di smarcarsi soprattutto sulla gestione dell’emergenza alluvione e della sua prevenzione. 

Se da un lato ha attaccato la destra di governo – e quindi indirettamente la sua avversaria – sulla gestione dei rimborsi dopo l’alluvione e ha sollecitato il governo a mettere più soldi per realizzare opere di prevenzione, dall’altro ha spesso criticato la Regione per quanto riguarda, ad esempio, la manutenzione degli argini dei fiumi.

Questa sua voglia di discontinuità si può osservare soprattutto nelle sue proposte legate alla riforma della sanità proposta in campagna elettorale è il segnale di discontinuità più chiaro rispetto agli anni del governo di Bonaccini. L’idea è di organizzare meglio il servizio sanitario sul territorio con una maggiore collaborazione tra medici di famiglia e ospedali: l’obiettivo è rendere l’assistenza sanitaria più omogenea, meno concentrata nei comuni più grandi. Tra le altre cose, il programma propone di migliorare le condizioni di lavoro degli infermieri e di puntare sulla prevenzione, cioè il contrasto al tabagismo, all’obesità, all’alcolismo, alla sedentarietà.

Al tempo stesso, de Pascale appare come una persona molto moderata su parecchi temi. Uno in grado da un lato di mettere insieme le persone, di collaborare, di mediare. Ma anche poco incisivo nei settori dove invece ci sarebbe bisogno di cambiamenti più decisi. 

Racconta il Post che “Sulle politiche energetiche ha una posizione lontana dalle rivendicazioni di comitati e associazioni ambientaliste, che infatti negli ultimi anni lo hanno criticato per l’installazione del rigassificatore nel porto di Ravenna e per il sostegno al Passante di Bologna e all’estrazione di gas naturale nel mar Adriatico. Perfino il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha fatto i complimenti a de Pascale per gli investimenti fatti nello sviluppo del porto”. E un sostegno di Salvini non si augura a nessuno.

Comunque, almeno dalla nostra prospettiva ambientale, la faccenda più interessante adesso sarà capire come si muoverà il nuovo presidente della regione in ambito di prevenzione dei disastri e adattamento climatico in una delle regioni più martoriate dalla crisi climatica stessa. Nel suo programma elettorale così come nei suoi discorsi al tema è stato dato ampio spazio, come potrete immaginare, perché ovviamente è molto sentito.

de Pascale, racconta il Resto del Carlino, ha delineato un piano di opere infrastrutturali mirato a prevenire disastri meteorologici, con particolare attenzione alla messa in sicurezza del territorio e alla gestione delle risorse idriche. 

Una sua proposta è anchela creazione di un’unica Agenzia dedicata alle opere di prevenzione e contrasto del dissesto idrogeologico, quindi un ente centralizzato che avrebbe il compito di coordinare le diverse competenze attualmente distribuite tra Regione, agenzie nazionali, consorzi e gestori del ciclo idrico, per garantire una risposta più efficace e tempestiva alle emergenze climatiche. 

Inoltre, il suo programma prevede la promozione delle energie rinnovabili, la tutela della biodiversità e la rigenerazione urbana. C’è un video che vi lascio sotto Fonti e articoli in cui de Pascale esprime nel dettaglio la sua visione sulla sostenibilità e il futuro dell’Emilia-Romagna, se vi interessa.

Al tempo stesso sappiamo anche che in politica, quello che viene detto in campagna elettorale per raccogliere voti spesso non è quello che poi si va a realizzare, a volte per cattiva fede, a volte per incapacità, a volte per impossibilità. 

Cosa possiamo aspettarci, quindi, realisticamente? Su questo ovviamente non abbiamo la sfera magica, ma molti giornali fanno notare una grossa incongruenza risalente al suo mandato come sindaco di Ravenna. Secondo un articolo de “La Fionda”, che cita dati ISPRA, nel 2020 Ravenna, con de Pascale sindaco, ha registrato un consumo di suolo di 68 ettari, posizionandosi al secondo posto in Italia dopo Roma. Quindi ecco, la situazione è certamente da monitorare con attenzione. 

Molto più serrata è stata invece la corsa elettorale in Umbria dove per diverse ore durante lo spoglio le proiezioni davano le due candidate praticamente appaiate. Poi con il trascorrere delle ore la candidata del campo largo di centrosinistra Stefania Proietti ha iniziato a accumulare un piccolo ma via via più consistente vantaggio sulla presidente uscente Donatella Tesei, di destra. Alla fine il risultato si è attestato su un 51% per Proietti e 46% per Tesei.

Ma anche qui il dato più impressionante è quello sull’affluenza. È meno importante di quello emiliano romagnolo, indice del fatto che comunque – probabilmente – le alluvioni un ruolo lo hanno giocato, ma è comunque impressionante. L’affluenza è stata di poco superiore al 52,3 per cento. Nel 2019 l’affluenza fu del 64,74.

Anche qui, quindi, parliamo di fatto di un consenso che non c’è, di una Presidente della regione eletta con ¼ dei voti degli aventi diritto. Il che di nuovo dovrebbe far porre alla politica tutta delle domande più sistemiche, sul funzionamento di questo modello.

Però, in compenso, devo dire che in questo caso il profilo della nuova Presidente della regione mi sembra interessante. È una classe 1975, quindi comunque piuttosto giovane per la politica italiana, è una di formazione tecnica, laureata in ingegneria industriale e con un master di II livello in Gestione dei Sistemi Energetici, quindi una molto preparata. Ha oltre vent’anni di esperienza nella ricerca e nell’insegnamento universitario, ha contribuito a più di 50 pubblicazioni scientifiche.

È stata la prima donna ad essere eletta sindaca di Assisi, nel 2016, e soprattutto ha un programma elettorale interessante, basato sul potenziamento della sanità pubblica, dove ha detto di voler invertire la tendenza della privatizzazione. Vuole potenziare la rete ferroviaria e il trasporto pubblico, dove ha promesso di riattivare i servizi notturni e di sperimentare l’abbonamento unico ai mezzi pubblici.

E in ambito ambientale ha promesso una revisione del Piano regionale dei rifiuti per fermare la realizzazione di un inceneritore sovradimensionato e costoso, la cui localizzazione è stata addirittura rimessa alle scelte del privato.

Vuole rilanciare il Piano bonifiche delle aree inquinate, sia pubbliche che private e punta su una manutenzione programmata e non emergenziale di fiumi, torrenti e reticolo minore con piani pluriennali che prevedano, dove possibile, vasche di laminazione contro il rischio idrogeologico in caso di piena.

E in questo caso anche il suo operato come sindaca di Assisi sembra piuttosto coerente con le promesse, ha fatto azioni per ridurre il consumo di acqua in bottiglia, ha investito in prevenzione dal dissesto idrogeologico e così via. Quindi, ecco, non male.

Intanto siamo entrati nella seconda settimana, quella decisiva – forse, sempre che qualcosa si decida – di COP29, la conferenza Onu sul clima che quest’anno si tiene a Baku, in Azerbaijan. 

Quest’anno abbiamo degli inviati e inviate speciali, che sono andate fisicamente a Baku per seguire in diretta la conferenza e cercare di capire cosa ne emerge ma anche che clima si respira. Sono i reporter di Agenzia di stampa giovanile che curano per INMR la rubrica Linea a Baku. Quindi passo la parola a Viola Ducato da Baku, che ci racconta cosa succede alla COP.

Linea a Baku!

Audio disponibile nel video / podcast

Grazie davvero a Viola, Federico e Maddalena, ricapitolando, non si è deciso granché finora, la principale decisione è l’accordo raggiunto sul mercato globale dei crediti di carbonio. In pratica i paesi si sono accordati sul framework, il set di regole che lo regolerà.

E poi si è discusso molto di soldi, con i paesi più poveri che hanno richiesto un aumento significativo dei fondi per affrontare la crisi climatica e le nazioni più ricche che non sembrano intenzionate a concederle. Vediamo cosa succede nei prossimi giorni, in questa COP che si distingue anche per la poca accoglienza verso la società civile e le proteste.

Di questa impasse potrebbe approfittare – e da un lato speriamo che lo faccia – la Cina, come fa notare Luisiana Gaita sul FQ. 

Alla COP29 infatti, scrive la giornalista, la Cina sta emergendo come protagonista, approfittando del vuoto di leadership lasciato da Stati Uniti ed Europa. L’assenza di figure chiave come Biden, Ursula von der Leyen, Macron e Scholz ha permesso a Pechino di inserirsi nei negoziati con un approccio più incisivo, nonostante il presidente Xi Jinping non sia presente di persona (rappresentato dal vice Ding Xuexiang). 

Ci sono alcuni elementi che scandiscono questo cambio di passo della Cina: 

  • Per la prima volta, la Cina partecipa ai negoziati sui finanziamenti climatici con un approccio da “Paese sviluppato”. Cioè, fin qui si era sempre sfilata dall’onere di finanziare la crisi climatica sostenendo di avere meno responsabilità storiche rispetto ad esempio agli Usa, ora invece il governo cinese ha dichiarato di aver mobilitato 24,5 miliardi di dollari dal 2016 per sostenere i Paesi in via di sviluppo.
  • Il vice Ding Xuexiang ha annunciato che Pechino sostiene l’obiettivo di raccogliere 1,3 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, proposto dal gruppo africano di negoziatori e dal G77+Cina.  
  • Inoltre, questo ormai da tempo, la Cina domina nel settore delle energie rinnovabili: produce il 60% delle auto elettriche globali, il 50% degli impianti eolici e il 45% di quelli solari. E nel 2024, l’energia prodotta da eolico e solare ha superato quella derivante dal carbone, segnando una svolta storica.

Il 2 dicembre Paul Watson, fondatore di Sea Shepherd e co-fondatore di Greenpeace, figura iconica dell’attivismo ambientale, compirà 74 anni. E li festeggerà in carcere, dove si trova da 4 mesi. Nello specifico in una cella del penitenziario di Nuuk, in Groenlandia. 

Pochi giorni fa infatti, racconta Riccardo Liguori su GreenMe, un tribunale del territorio autonomo danese ha prorogato, per la quinta volta, la sua detenzione, in attesa di una decisione sulla sua possibile estradizione in Giappone. Una decisione che sembra non arrivare mai, mentre i suoi avvocati continuano a battersi per la sua liberazione.

Watson è stato arrestato lo scorso luglio, nella capitale della Groenlandia, in base a un mandato di arresto giapponese del 2012. L’accusa è di aver danneggiato una baleniera e ferito un baleniere durante una protesta contro la caccia alle balene in Antartide nel 2010. Che detto così suona una roba grave, ma avrebbe ferito questa persona con il lancio di una miccetta. Uno di quei petardi con cui giocano i bambini.

Da allora, Watson è intrappolato in un limbo giudiziario. Il ministero della Giustizia danese non ha ancora preso una decisione sulla richiesta di estradizione, mentre il procuratore Mariam Khalil ha dichiarato che se l’estradizione non fosse stata approvata, il signor Watson sarebbe stato rilasciato “il prima possibile”. Parole che suonano ormai come una beffa per l’attivista, considerando i continui rinvii.

Se invece la Danimarca dovesse accogliere la richiesta di estradizione, Watson rischierebbe un processo iniquo in Giappone. I sostenitori di Watson temono che il Giappone voglia vendicarsi per le sue azioni contro la caccia alle balene e che un’estradizione nel Paese significherebbe trascorrere il resto della sua vita dietro le sbarre.

Intanto, la salute di Watson peggiora. Come ha raccontato Haans Siver, direttore della Fondazione Capitano Paul Watson “Gli ultimi mesi sono stati sicuramente molto strazianti. Ha 72 anni e si sta perdendo la crescita dei suoi figli, i loro compleanni e il tempo trascorso con sua moglie. Hanno ridotto i suoi diritti di visita e i suoi diritti telefonici, quindi è stato davvero duro per la sua salute mentale, di sicuro”.

Mentre Watson attende il suo destino in una cella in Groenlandia, cresce l’appello internazionale per la sua liberazione. Numerose personalità, tra cui la nota ambientalista britannica Jane Goodall, hanno chiesto al presidente francese Emmanuel Macron di concedergli asilo politico. Watson infatti vive in Francia dal 2023 e ha richiesto la cittadinanza francese il mese scorso. Se gli venisse concessa, avrebbe qualche probabilità in più di cavarsela.

A proposito di attivismo, diritto a protestare e potere che in qualche modo cerca di limitarlo, segnalo anche l’articolo che pubblichiamo oggi su ICC a firma di Tiziana Barillà che descrive le mobilitazioni contro il DL 1660 approvato il 18 settembre dalla Camera dei deputati e ora in esame al Senato, rischia di sancire la fine della protesta nonviolenta nel nostro Paese.

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