Che Papa sarà Leone XIV. Passato e pensiero del nuovo Pontefice – 9/5/2025
Leone XIV è il nuovo Papa: missionario in Perù, statunitense, moderato. In Europa intanto cala la protezione del lupo, suscitando forti critiche.

Questo episodio é disponibile anche su Youtube
Fonti
#Papa
Cardinalium Collegii – Cardinal Robert Francis Prevost, O.S.A.
Fanpage – Chi è Robert Prevost, il primo Papa statunitense scelto dal Conclave
il Post – Chi è Robert Francis Prevost, il nuovo papa
#lupo
Italia che Cambia – Il Parlamento Ue approva il declassamento della protezione del lupo
Italia che Cambia – L’Europa stabilisce che il lupo diventerà più cacciabile, in barba alle evidenze scientifiche
#Sardegna
Italia che Cambia – “Ogni primavera la Sardegna si trasforma in un teatro di guerra” – INMR Sardegna #77
#incontriamoci online
Italia che Cambia – Un’ora esclusiva con la redazione di Italia che Cambia
Ieri pomeriggio alle 18.07 in punto è arrivata la tanto attesa fumata bianca, simbolo che era stato eletto il nuovo Papa. Era solo la quarta fumata, la terza del secondo giorno di Conclave, il che fa di questa elezione una delle elezioni più rapide di sempre. Circa un’ora dopo il nuovo Pontefice è stato annunciato al mondo dalla terrazza della Basilica di San Pietro, davanti a una folla di circa 100mila fedeli. “Nuntio vobis gaudium magnum Habemu papam” e poi è stato fatto il nome del successore, il Cardinale Robert Francis Prevost, in arte Leone XIV.
Subito la notizia ha rimbalzato per i 4 angoli del globo (che fra l’altro 4 angoli del mondo è un’espressione retaggio di una visione biblica e pre scientifica del Mondo). E sono iniziati ad apparire le prime descrizioni di chi è Prevost. Chi è quindi? E che Papa possiamo aspettarci che sarà?
Prevost ha 69 anni, è dell’ordine agostiniano, è nato a Chicago (è il primo Papa statunitense della Storia, il secondo di fila proveniente dal contiennte americano) ma è stato profondamente plasmato da quasi quarant’anni di vita missionaria in Perù, quindi è un papa americano più che statunitense, che mette assieme .
Appena affacciatosi dalla Loggia delle Benedizioni, davanti a oltre 100.000 fedeli in Piazza San Pietro, Prevost ha annunciato il nome scelto per il suo pontificato: Leone XIV. Io non capisco granché della liturgia e dei significati dei nomi dei Papi ma leggendo un po’ in giro molti sostengono che voglia evocare da un lato San Leone Magno, difensore della fede nel V secolo, e dall’altro Leone XIII, autore della Rerum Novarum, pietra miliare della dottrina sociale della Chiesa, anzi opera con cui la Chiesa inaugura la sua dottrina sociale.
In pratica nel Rerum Novarum Leone XIII, di fronte agli scontri sempre più aperti fra la classe operaia e le industrie, con il diffondersi delle idee marxiste, promuove una posizione della chiesa che rifiuta l’abolizione della proprietà privata proposta dal socialismo, sostenendo che il diritto alla proprietà è naturale e va difeso. Ma che denuncia anche lo sfruttamento dei lavoratori, le condizioni disumane nelle fabbriche, i salari da fame e la mancanza di protezioni. Quindi, se questa interpretazione del nome è corretto, richiama un’idea di un ponte fra tradizione e innovazione e sostanzialmente di una figura che media, modera, sta al centro.
E in effetti è una posizione che sembra in linea con la storia e le idee di Prevost. Che è sempre stato un po’ a metà fra America del Nord e del sud, fra progressisti e conservatori e così via, e potrebbe essere una figura con cui la Chiesa cerca una sorta di unità. Sicuramente meno innovatore di Francesco, meno interessante per il mondo, mi spingo a dire, ma più capace di tenere assieme le varie anime della Chiesa.
Prevost è un laureato in matematica entrato negli Agostiniani nel 1977 e partito per il Perù nel 1985. A Trujillo, in Perù, ha fatto da parroco, rettore di seminario, e punto di riferimento per l’ordine agostiniano, di cui è poi divenuto priore generale mondiale. Nel 2014 è stato nominato vescovo di Chiclayo, e nel 2023 Papa Francesco lo ha richiamato a Roma come prefetto del Dicastero per i Vescovi, ovvero colui che sceglie i futuri pastori della Chiesa globale.
Come vi dicevo è considerato un centrista con alcuni lati più progressisti, ad esempio è da sempre vicino a molte riforme di Papa Francesco, soprattutto per l’approccio pastorale e sinodale, cioè un approccio in cui alla regola astratta si preferisce l’attenzione al caso concreto, alle singole persone e in cui si vuole che la chiesa sia un percorso collettivo. Tuttavia, non mancano gli aspetti più conservatori. Ad esempio è contrario alle donne diacono, ha dichiarato che “clericalizzare le donne” non è la soluzione. E la sua posizione è ambigua riguardo alla benedizione delle coppie omosessuali, su cui ha detto che bisogna adattare le direttive papali ai contesti culturali locali.
Un lato che mi sembra positivo è che Il nuovo Papa, su questo un po’ come Francesco, ha radici ecologiche piuttosto solide e profonde, maturate tra le foreste peruviane e le periferie dell’America Latina. Ad esempio è noto per le sue denunce contro la deforestazione e lo sfruttamento indiscriminato dell’Amazzonia, ha definito la crisi climatica un “peccato contro il creato e le future generazioni”. Ha partecipato attivamente ai lavori sul seguito della Laudato si’, chiedendo alla Chiesa di passare “dalle parole ai fatti”. Secondo le sue dichiarazioni più recenti, “non si può difendere la dignità dell’uomo senza custodire la casa comune”. Così come interessante è stato il fatto che abbia incentrato il suo discorso iniziale sul tema della pace. Pace disarmata, ha detto.
Al contrario, ci sono molte più ombre per quanto riguarda le accuse di aver avuto posizioni diciamo poco nette nel perseguire o fare chiarezza su alcuni casi di presunti abusi sessuali nella chiesa. Durante il suo episcopato in Perù, è stato coinvolto in controversie sulla gestione di due casi di abusi da parte di sacerdoti: secondo le vittime, le misure adottate furono insufficienti. Un episodio simile è emerso anche a Chicago, dove non avrebbe avvisato una scuola della presenza di un prete noto per abusi. In entrambi i casi non si è arrivati a procedimenti formali, ma ecco, una maggiore solerzia sarebbe stata sicuramente .
Ultimo aspetto che alcuni giornali notano e che mi sembra interessante è il fatto che Leone XIV è statunitense. In un articolo di Fanpage precedente alla elezione del Pontefice, c’era questo paragrafo: “Tra i presenti in Vaticano c’è anche monsignor Robert Barron, vescovo del Minnesota e figura pubblica di spicco, noto per essere stato nominato da Trump nella Commissione per la Libertà Religiosa. In un recente intervento, Barron ha ricordato le parole del cardinale Francis George, suo mentore: “Finché l’America non sarà in declino politico, non avremo un Papa americano”. Questo paragrafo è scomparso dal pezzo poco dopo l’elezione del Papa.
Dopo l’elezione di Prevost come primo papa americano, Trump, che pochi giorni fa aveva scherzato (forse) sul fatto che gli piacerebbe fare il papa, ha espresso pubblicamente il suo entusiasmo, definendo l’evento “un grande onore per il nostro Paese” e manifestando il desiderio di incontrare il nuovo pontefice. E durante il conclave, Prevost ha ricevuto il sostegno del cardinale Timothy Dolan, una figura influente nella Chiesa americana e noto per le sue posizioni conservatrici. Il che rafforza l’immagine di Prevost come un candidato capace di unire diverse correnti all’interno della Chiesa. Difficile al momento dire molto di più.
Ieri nella tarda mattinata il parlamento Ue ha votato per il declassamento dello status di protezione del lupo, mettendo di fatto la parola fine almeno per ora a questa triste vicenda, che continua a far discutere.
Con 371 voti a favore su 720, quindi una maggioranza non così ampia, il Parlamento europeo ha approvato il declassamento dello status di protezione del lupo, che passerà da “rigorosamente protetto” a “protetto”.
Ne abbiamo parlato già tante volte, nella pratica vuol dire che gli stati potranno adesso scegliere a loro volta di diminuire questa protezione o di mantenerla tale, e nel caso scegliessero di abbassarla, come è il caso dell’Italia, visto che il nostro governo si è mosso persino in anticipo, significa che può aprire le porte non alla caccia sfrenata, ma comunque a abbattimenti selettivi e i cosiddetti piani di contenimento, pur mantenendo l’obbligo di garantire uno “stato di conservazione favorevole” della specie.
Fra 20 giorni il provvedimento diventerà effettivo e a quel punto probabilmente il nostro governo sarà fra i primi a votare sul declassamento, visto che come vi dicevo l’Italia si è già portata avanti e pochi giorni fa, la commissione Politiche dell’Ue della Camera ha approvato un parere favorevole al declassamento, su proposta della deputata di Fratelli d’Italia Alessia Ambrosi.
Ora, qui, al solito tocca fare qualche riflessione. Perché in Italia, come in altri paesi, si discute molto attorno alla presenza dei lupi. I lupi sembrano uno dei principali problemi per il nostro paese. Nelle zone non urbane. Ma per chi sono un problema? Bè, principalmente per i pastori.
Ma dati alla mano, la situazione sembrerebbe essere un po’ diversa. Come scriveva tempo fa l’etologa Chiara Grasso in un articolo su Italia che Cambia “abbattiamo un superpredatore fondamentale per il benessere dell’ecosistema, l’unico in grado di controllare le popolazioni di cinghiali e quindi di peste suina, che altrettanto ci spaventano e vogliamo decimare”.
E che come è inefficace la caccia ai cinghiali, “La stessa inefficacia della caccia è stata dimostrata per quanto riguarda i lupi. Gli abbattimenti frammentano la struttura sociale del gruppo, peggiorando le predazioni sul bestiame. Questo perché a venire uccisi sono spesso i genitori, la coppia alfa, che dovrebbero essere le guide e fornire insegnamenti di caccia e sopravvivenza. Una volta che mancano i leader del gruppo, la composizione dello stesso si frammenta, alcuni individui vanno in dispersione e non avendo più una guida per la caccia puntano le prede più semplici: quelle domestiche.
Un recentissimo studio inoltre ha osservato i tassi di predazione in Slovacchia dove per cinque anni, dal 2014 al 2019, è stata legale la caccia al lupo per ridurre i tassi di predazione sul bestiame. Anche in questo caso lo studio scientifico, analizzando i dati, ha dimostrato che i lupi si nutrivano per il 98,9% di ungulati selvatici e che “non abbiamo osservato una relazione tra il numero di lupi uccisi e le perdite di bestiame. In alternativa, è stata riscontrata una relazione negativa tra la biomassa delle prede selvatiche e le perdite di bestiame”.
E comunque, per quanto residuale, esistono alternative efficaci e già sperimentate per proteggere il bestiame allevato. Cani da guardiania come i pastori maremmani, recinzioni elettrificate, ricoveri notturni per il bestiame. Soluzioni che funzionano ma richiedono investimenti, formazione e soprattutto volontà politica.
Oggi in Italia vivono circa 3.300 lupi, parte di una popolazione europea stimata in oltre 20.000 esemplari. Il loro ritorno è stato un grande successo ambientale degli ultimi decenni, ma ci mette davanti anche alle nostre contraddizioni e al difficile rapporto fra le due tendenze opposte che convivono in noi: biofobia e biofilia.
Mi sembra che il lupo, anche con il suo timore ancestrale che suscita in noi, sintetizzi bene questo rapporto. Se manca ne sentiamo il bisogno, ma se poi prende piede ci spaventa, vogliamo tornare ad annientarlo. E qui non è una situazione come quella di alcune specie aliene, tipo il famoso granchio blu, in cui la presenza della specie è dannosa per l’ecosistema. Anzi qui il lupo fa bene agli ecosistemi, è solo un piccolo e risolvibile problema per una piccola parte di noi sapiens.
Io capisco che abbiamo la spinta, la leva genetica, ad annientare tutto quello che percepiamo come un potenziale pericolo, e che quindi il lupo smuove davvero qualcosa di ancestrale in noi. Però in questa fase della storia umana credo che dobbiamo fare un salto di consapevolezza se vogliamo sopravvivere come specie. Dobbiamo diventare più tolleranti, accettare che la natura non è solo bella e innocua come nei cartoni della Disney, e che per averne di più, cosa essenziale per sopravvivere, dobbiamo tollerare anche una dose di paura, di rischio, di inconvenienti.
E magari, se invece di reagire la ascoltiamo quella paura ancestrale, magari dico, scopriamo che abbiamo paura più che altro della nostra, di parte selvatica, di quel fascino che continua ad esercitare su di noi, come un richiamo antico.
Segnala una notizia
Segnalaci una notizia interessante per Io non mi rassegno.
Valuteremo il suo inserimento all'interno di un prossimo episodio.
Commenta l'articolo
Per commentare gli articoli registrati a Italia che Cambia oppure accedi
RegistratiSei già registrato?
Accedi