USA-Iran: è solo l’inizio? Il bombardamento, le reazioni, i rischi di guerra – 23/6/2025
Dall’attacco USA alle basi nucleari iraniane alle ambigue reazioni internazionali, dal fragile accordo tra Congo e Ruanda al mistero del Bayesian riportato a galla.

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Fonti
#Usa-Iran
Limes – Le tre scommesse di Trump sull’Iran
il Post – Come è avvenuto il bombardamento statunitense in Iran
il Post – Oggi il ministro degli Esteri dell’Iran incontrerà Putin
il Post – Cosa potrebbe succedere ora
#riarmo europeo
Italia che Cambia – Europa e riarmo: stiamo davvero andando in guerra? – Io non mi rassegno + #30
#Ruanda-RDC
L’Indipendente – Ruanda e Repubblica Democratica del Congo a un passo da uno storico accordo di pace
#Bayesian
il Post – Le immagini notevoli del recupero della Bayesian
Trascrizione episodio
Gli Stati Uniti hanno davvero distrutto il programma nucleare iraniano o si stanno preparando a qualcosa di più grosso? E come sta reagendo un’Europa che sembra sempre più spettatrice di questa crisi? Dall’altra parte del mondo, la pace tra Congo e Ruanda è possibile o è solo una mossa per spartirsi le ricchezze del sottosuolo? E infine, cosa scopriremo ora che il Bayesian, quel misterioso yacht affondato a Palermo, è stato riportato a galla?
Dopo aver detto che avrebbe attaccato l’Iran, dopo aver fatto pensare che forse non lo avrebbe fatto, e che avrebbe deciso nelle prossime due settimane, alla fine, nella notte fra sabato e domenica (attorno poco dopo la mezzanotte italiana di sabato), il tanto ventilato e in parte atteso attacco statunitense alle basi nucleari iraniane è arrivato.
Si è trattato di un attacco massiccio e molto complesso, chiamato martello di mezzanotte, su tre siti in particolare, che sarebbero funzionali all’arricchimento dell’Uranio da parte dell’Iran e quindi alla possibile realizzazione di ordigni nucleari da parte del Paese. Anche se, come abbiamo visto abbastanza approfonditamente nella puntata di giovedì scorso, questa storia del nucleare iraniano fa abbastanza acqua e a quanto ne sappiamo l’Iran è ancora molto lontano da avere la capacità di fabbricare armi atomiche. Ma su questo ci torniamo dopo.
Comunque, tornando al punto, i tre siti sono Fordow, che è una centrale per l’arricchimento dell’uranio, costruita nell’entroterra, a circa 90 metri di profondità sotto una collina vicino a Qom.
Natanz è il sito principale di centrifughe avanzate, con strutture sotterranee fino a 40-50 metri di profondità e impianti di supporto sopraelevati.
E Isfahan ospita impianti per la produzione di metalli di uranio e la riconversione di uranio arricchito e che però non è un impianto sotterraneo.
Ora, non mi soffermo qui troppo sulla dinamica dell’attacco, la trovate su tutti i giornali, il depistaggio, il tipo di aerei e di missili usati, ma non mi sembra l’aspetto più importante della vicenda. L’unico dettaglio rilevante, e poi ci torniamo anche dopo, è che per colpire in particolare le due basi di Fordow e Natanz, quelle in profondità, gli Usa sono considerati l’unico paese al mondo ad avere l’attrezzatura necessaria. Ovvero le Bunker Buster, delle bombe capaci di andare molto in profondità, e i bombardieri B-2 Spirit, che sono quegli aerei a forma di pipistrello, gli unici in grado di trasportare quel tipo di bomba.
L’attacco è avvenuto tutto in una notte, intorno alle due e mezza ora locale (appunto la mezzanotte italiana). E non si sa granché degli effetti reali che ha ottenuto. Come racconta il Post, poco dopo l’attacco Trump ha scritto sul suo social Truth che gli impianti sono stati “completamente annientati”, ma senza spiegare molto.
Poi piano piano l’amministrazione Usa ha iniziato a fare marcia indietro. Il capo di Stato maggiore americano ha parlato di danni gravi a tutti e tre i siti, ma ha anche detto che ci vorrà tempo per capire se l’Iran può ancora arricchire uranio. Il vicepresidente Vance ha un po’ mischiato le parole: prima ha detto che il programma nucleare iraniano è stato distrutto, poi che è stato “solo” indebolito molto.
E un funzionario americano e due israeliani hanno detto che Fordow non è stato distrutto del tutto, ma comunque danneggiato pesantemente. L’Iran dal canto suo parla di danni limitati, ma potrebbe essere una mossa per non mostrare debolezza. Nella serata di ieri si è tenuta una riunione di emergenza del consiglio di sicurezza Onu e il capo della IAEA, l’agenzia internazionale dell’energia atomica, Rafael Grossi, ha detto di non essere in grado di stimare i danni.
E fin qui sono i fatti. Ora direi di vedere, in sequenza, le reazioni, cosa può succede adesso, e un commento.
Allora: reazioni. Devo dire che anche la reazione internazionale a questa aggressione è stata piuttosto debole. Non è arrivata nessuna particolare condanna. Anzi. La capa della diplomazia UE, Kaja Kallas, ha detto che domani i ministri degli Esteri europei si riuniranno per decidere come reagire all’attacco USA in Iran. Ha invitato tutti a fermarsi e a tornare ai negoziati, senza però appoggiare apertamente il bombardamento.
Intanto Regno Unito, Francia e Germania hanno chiesto all’Iran di non reagire militarmente e di tornare al tavolo. Non hanno criticato l’attacco americano, anzi hanno ribadito che l’Iran non deve avere la bomba nucleare. Il premier britannico Starmer invece ha già detto chiaramente che sostiene l’azione degli Stati Uniti.
Un atteggiamento molto ambiguo, che ancora una volta mostra un’Europa debole e in balia degli eventi. Tant’è che il ministro degli Esteri iraniano ha risposto con un post su X, in cui dice, leggo:
“La settimana scorsa stavamo trattando con gli Stati Uniti, quando Israele ha deciso di far saltare per aria la via diplomatica. Questa settimana abbiamo parlato con l’Unione Europa e i paesi del gruppo E3 (Regno Unito, Francia, Germania) e gli Stati Uniti hanno scelto di far saltare in aria anche questo percorso. Che conclusione dobbiamo trarne? Secondo il Regno Unito e l’Alta rappresentante per gli Affari esteri dell’UE, è l’Iran che deve «tornare» al tavolo dei negoziati. Ma come possiamo tornare a un posto che non abbiamo mai lasciato, né tantomeno fatto saltare in aria?”
E devo dire che, con tutta la scarsa simpatia che posso nutrire per il regime iraniano, è una posizione abbastanza inattaccabile.
Le uniche critiche all’attacco sono arrivate da Russia e Cina. Oltre che dalle persone. In Iran sono subito scoppiate le proteste. Nel centro della capitale Teheran molte persone si sono riunite per manifestare contro gli Stati Uniti. E anche negli Stati uniti ci sono state proteste e per la prima volta anche il partito Repubblicano si è, non possiamo dire spaccato, però ha presentato delle crepe e dei malumori.
Che succede adesso? Difficile a dirsi. Ci sono due variabili principali, ovvero cosa sceglieranno di fare gli Usa e come risponderà l’Iran. Trump e i suoi hanno fatto intendere, anche se in maniera piuttosto minacciosa, di essere a posto così. Nell’annuncio alla nazione, il Presidente ha ammonito: «O ci sarà la pace o ci sarà una tragedia per l’Iran assai maggiore di quella che abbiamo visto negli ultimi otto giorni». In pratica ha detto che o l’Iran se la fa andar bene e non reagisce, oppure sarà guerra.
Il che vuol dire che, almeno a parole, Trump non sposa la visione di Netanyahu di voler ribaltare il regime iraniano, ma si accontenterebbe di annullare il suo programma nucleare. Ma sarà vero?
Dall’altro lato il regime degli ayatollah ha tre-4 opzioni. Questo lo dice sia Repubblica, che il Post, che il Guardian. La prima è reagire intensificando i bombardamenti su Israele. Che vorrebbe dire sposare la linea di Trump. La seconda è invece reagire contro gli Usa, e in particolare contro le basi Usa in medioriente o contro le navi commerciali Usa, la terza è reagire rilanciando il programma militare e la quarta, che però potrebbe essere abbinata a qualunque delle altre, è chiudere lo stretto di Hormuz, uno stretto che blocca il golfo persico e attraverso cui passa circa un quarto del petrolio mondiale.
Facciamo qualche considerazione. La prima la prendo dalla newsletter speciale di Da Costa a Costa, newsletter di Francesco Costa, direttore del Post, in cui scrive, a caldo:
“Avremo tempo anche per commenti, riflessioni, analisi. Ne appoggio qui una soltanto, perché l’idea che Trump fosse “il presidente della pace”, quello con cui “non c’erano state guerre”, era una sciocchezza disinformata già prima di oggi”.
La seconda riflessione è che c’è qualcosa che non torna nella versione di Trump. Mi spiego: se è vero, come sembra, che l’Iran è molto lontano dall’avere l’atomica e che l’atomica è un pretesto usato da Israele per cercare un cambio di regime, allora che senso ha trascinare in guerra gli Usa perché sono gli unici a avere la bomba in grado di sventrare quei siti nucleari?
Cioè, delle due una: o il nucleare iraniano preoccupa davvero Israele e gli Usa, oppure mi sembra chiaro che anche la storia di bombardare i tre siti è una scusa per permettere anche agli Usa di entrare in guerra. Se è così, significa che poco importa la risposta di Teheran, Trump troverà comunque la scusa per restare nel conflitto e cercare anche lui, come Netanyahu, il cambio di regime.
E un piccolo indizio su questo ce lo dà il fatto che proprio nella notte appena trascorsa, nella tarda serata negli Usa, Trump abbia coniato l’acronimo MIGA, Make Iran Great Again. Insomma, sospetto che la cosa non sia finita qua.
Sabato è uscita la nuova puntata di INMR+, che manco a dirlo parla di guerra e riarmo. In Europa in questo caso. Mesi fa, anzi oltre un anno e mezzo fa, nel marzo 2024, avevo intervistato sempre per INMR+ l’allora ex europarlamentare Dario Tamburrano che ci aveva spiegato come diversi indizi portassero a pensare che l’Europa stesse puntando più che su una conversione verde dell’economia, su una conversione bellica.
Ai tempi sembrava fantascienza, nessuno sembrava immaginare nemmeno lontanamente uno scenario del genere, e invece… pezzo pezzo l’Ue ha iniziato a cambiare fino ad arrivare, un anno dopo, marzo di quest’anno, al piano Rearm Eu. Quindi ho reintervistato Dario per farmi spiegare cosa bolle in pentola in Europa da quel punti di vista. Vi faccio sentire un breve estratto dell’intervista.
Poi nell’intervista integrale, per abbonati, c’è anche una parte in cui Dario spiega cosa ha senso fare dal suo punto di vista, il senso della protesta e il ruolo dell’informazione.
Forse per compensare un po’ le azioni a livello di karma, ma negli ultimi giorni gli Stati Uniti stanno cercando di spingere per un accordo di pace nell’est della Repubblica Democratica del Congo. A Washington si è firmata una specie di bozza di intesa tra RDC e Ruanda, per provare a mettere fine alla guerra che da anni insanguina quella parte del Paese. L’idea è di fermare le ostilità, disarmare i gruppi armati, avviare un percorso di reintegrazione e creare un meccanismo di sicurezza congiunto, così da permettere a rifugiati e sfollati di tornare a casa e dare un po’ di stabilità alla regione.
La firma ufficiale dovrebbe arrivare la settimana prossima, il 27 giugno, con tanto di presenza del segretario di Stato americano Marco Rubio. Ma, diciamolo, c’è un certo scetticismo: perché di accordi così negli ultimi anni se ne sono firmati tanti, e nessuno ha portato a una vera pace. Anche stavolta, per esempio, manca un pezzo grosso al tavolo: la milizia M23, che è uno degli attori principali del conflitto e che non è stata coinvolta nei colloqui.
In tutto questo, ovviamente, dietro le quinte si gioca una partita che riguarda molto più dei destini dei congolesi. E del karma. Gli Stati Uniti puntano in realtà a garantirsi l’accesso ai minerali preziosi che si trovano in quelle regioni — coltan, cobalto, litio — fondamentali per le batterie e le tecnologie del futuro. E allo stesso tempo vogliono mettere un freno all’influenza della Cina, che oggi controlla gran parte delle miniere del Paese. Quindi la pace sarebbe un po’ il lasciapassare per ottenere accordi economici e commerciali più vantaggiosi.
La speranza è che comunque si riesca a mettere fine a una delle situazioni più critiche al mondo. L’ONU denuncia crimini di guerra, stupri, arresti arbitrari, massacri. Ci sono 25 milioni di persone a rischio fame e 8 milioni di sfollati interni che vivono in condizioni disperate.
Ricordate la storia del Bayesian? Quella strana vicenda dell’affondamento di una barca a vela di super lusso, nella rada del porto di Porticello, vicino a Palermo, per via di un temporale improvviso, che aveva visto la morte di 7 persone, fra cui un controverso imprenditore britannico e il presidente di Morgan Stanley. Sulla vicenda si era discusso e anche speculato molto, perché una mega imbarcazione come quella, di super lusso, è difficile che affondi per una tempesta. E quindi in molti avevano ventilato l’ipotesi sabotaggio. Ipotesi che però non ha trovato prove a sostegno.
Comunque, a inizio maggio sono iniziati i lavori per portar fuori l’imbarcazione affondata. Lavori che sono stati sospesi per la morte di un sommozzatore, poi sono ripresi e infine la nave è stata riportata a galla. Quindi nelle prossime settimane, probabilmente, sapremo qualcosa in più su questa vicenda.
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