20 Nov 2024

Che significa che Putin ha cambiato la dottrina nucleare russa? – #1023

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Ieri Putin ha detto di aver cambiato la dottrina nucleare russa, in risposta alla decisione americana di permettere l’uso dei missili forniti all’Ucraina su suolo russo. Che significa questa cosa? E che conseguenze può avere? Cerchiamo di parlarne onestamente, liberi da paure ma anche da catastrofismi. Parliamo anche della situazione a Cop29 che si avvia verso la fine, della lotta contro la devastazione ambientale di un comitato dei Castelli romani e infine di notizie dalla Sicilia che cambia.

Ieri Putin ha pubblicamente annunciato di aver modificato la dottrina nucleare russa. Spesso quando sentiamo la parola nucleare, sentiamo quell’irrigidimento, quel brividino lungo la schiena e una vocina ci dice, cambia argomento, pensa ad altro. 

A volte però la realtà, quando la esploriamo, fa meno paura di quanto pensassimo. Se osserviamo le nostre paure attentamente, scopriamo che sono meno spaventose. Quindi guardiamoci. Putin ha detto che se prima la Russia, in base alla sua dottrina nucleare, poteva far ricorso ad armi nucleari solo in caso di minaccia esistenziale, adesso può farlo in maniera più semplice, se c’è una grave minaccia alla sovranità o all’integrità territoriale della Russia o una situazione critica che metta in pericolo la sicurezza di alleati strategici.

Che significa questa cosa? E come ci si è arrivati? Partiamo innanzitutto dal ciarire che quando si parla di armi nucleari non si parla per forza di bombe atomiche come quelle che hanno distrutto Hiroshima e Nagasaki, o quelle ancora più potenti disponibili oggi, qyuello è il cosiddetto nucleare strategico, ma parliamo anche del nucleare tattico, ovvero armi di portata minore, usate sul campo di battaglia per colpire l’esercito nemico e non per colpire intere città o nazioni. 

Chiarito questo, va detto che ogni nazione che dispone di armi nucleari ha anche una dottrina nucleare, ovvero una sorta di “manuale” che spiega quando e come un paese decide di usare le sue armi nucleari. È come una lista di regole che dice: “Ok, possiamo usare un’arma nucleare solo se succedono queste cose…”.

Ad esempio: “Se qualcuno ci attacca con armi nucleari, possiamo rispondere”, oppure “Se siamo sul punto di essere distrutti in una guerra convenzionale, possiamo usarle per difenderci”.

Ogni paese con armi nucleari ha la sua dottrina, e serve a chiarire agli altri paesi in quali circostanze potrebbe tirare fuori il suo arsenale nucleare. In pratica, è una sorta di avvertimento per dire: “Non superare questa linea, altrimenti si arriva al nucleare.”

La Russia aveva posto questa linea sulle minacce cosiddette esistenziali. Fino a ieri la dottrina nucleare russa diceva che si poteva far ricorso ad armi nucleari in caso di

  • Un attacco nucleare diretto contro la Russia o i suoi alleati.
  • Una minaccia esistenziale alla sopravvivenza del paese, come un’invasione su larga scala che mettesse in pericolo l’integrità dello Stato.

Da ieri i termini e condizioni – diciamo così – per l’utilizzo dell’arma nucleare sono più blandi e la Russia si riserva il diritto di utilizzare armi nucleari anche in risposta ad attacchi convenzionali (non nucleari) che rappresentino:

  • Una grave minaccia alla sovranità o all’integrità territoriale della Russia.
  • Una situazione critica che metta in pericolo la sicurezza di alleati strategici, come la Bielorussia.

Quindi, ecco, la Russia mette condizioni meno stringenti. Ora, anche un attacco convenzionale significativo che colpisca obiettivi strategici, come infrastrutture militari vitali o aree chiave, potrebbe giustificare l’uso del nucleare.

Ora, lo farà? Non è detto, forse non è nemmeno probabile al momento. Ma è un messaggio chiaro che all’occidente, agli Usa in particolare. Perché 2 giorni prima l’amministrazione Biden che ha dato l’Ok alle truppe ucraine ad usare i loro missili a lungo raggio, i famosi ATACMS, per colpire in profondità in territorio russo. 

Non solo: ieri Biden ha anche detto che vuole accelerare l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Nel giro di due giorni l’amministrazione Usa ha fatto due mosse molto aggressive. E mi sono chiesto: perché? Va bene non far perdere terreno all’Ucraina in vista dell’insediamento di Trump e di possibili trattati di pace, ma questa è pura escalation. 

Non ho trovato risposte chiarissime. L’unico articolo che prova a spiegare la cosa al di là dei vari proclami è un pezzo dell’analista militare Fabio Mini sul Fatto Quotidiano, che dopo aver spiegato un po’ i fatti passa a sostenere che le azioni militari hanno una lettura principalmente politica, e scrive:

“La lettura politica va fatta perciò nei luoghi, tempi e fatti della politica e non della battaglia. E qui Washington e Mosca si equivalgono per l’approccio pessimista e quasi nichilistico. L’Amministrazione Biden non concederà nulla a Trump perché ponga fine al conflitto. Anzi sta facendo di tutto perché il conflitto sia irrimediabile, perché ci sia un’escalation drammatica e che Trump ne diventi il responsabile. Nella migliore tradizione dei Democratici americani l’eredità per il successivo presidente è soltanto la guerra e in particolare il ritorno dello scenario “F*ck Europe” delle “democratiche” amministrazioni. 

In particolare, Biden deve lasciare a Trump una situazione compromessa in modo che alle elezioni di mezzo termine del 2026 il Partito Democratico possa riconquistare al Congresso quanto finora perduto. Nei rimanenti due anni Trump non riuscirebbe a fare nulla e, in vista della definitiva uscita dalla scena politica, si ripresenterebbe su quella giudiziaria. 

Mosca è altrettanto pessimista. Si aspettava il peggio da Biden e l’ha avuto. Ora si aspetta il peggio da Trump: che non riesca a convincere gli stessi Repubblicani che controllano il Congresso a cessare gli aiuti all’Ucraina, che non riesca a costringere l’Ucraina a cedere territori, l’Europa a riarmarsi e la Nato a combattere da sola contro la Russia. In quest’ottica, gli Usa dovranno accollarsi la direzione del conflitto e la fornitura di armamenti e soldati, l’Europa i costi umani e finanziari e la Nato i morti. I falchi del Cremlino da tempo hanno espresso sfiducia completa nei riguardi della diplomazia, sfiducia nelle promesse o nei patti sottoscritti dal cosiddetto Occidente e ora non hanno fiducia nei confronti di Trump, troppo provocatorio e inaffidabile anche per il poco tempo che ha davanti. 

Nella logica di Mosca, quattro anni di presidenza Trump per quanto rivoluzionaria sono troppo pochi per un cambio di concezione politica come quella radicata del Deep State. Lo stesso Trump che lo etichetta come “burocrazia da scardinare”, il 20 gennaio se la dovrà vedere con i loro briefing e le loro “raccomandazioni”. Ci è già passato e ne ha constatato la resilienza. Per questo i falchi moscoviti hanno più volte proposto la loro soluzione: interventi nucleari in Ucraina e su chiunque altro in Europa, Nato e non-Nato voglia interferire. Sarebbe un disastro, ma programmato e con l’aggiunta di altre significative conseguenze: l’impegno diretto Usa in Europa contro la Russia li distoglierebbe dall’impegno in Medio ed Estremo Oriente”.

Devo dire che l’aspetto che mi ha colpito di più di questa analisi, che va presa in quanto tale e non come oro colato, non come la verità, ma comunque come un punto di vista interessante di cui tener conto, è l’idea che l’amministrazione Biden stia facendo tutto questo soprattutto per vincere le elezioni di mid term e riprendersi il congresso.

Ripeto: non so se e quanto ciò sia vero, ma credo che ci sia un pezzetto di verità in questo ragionamento. Che ci racconta tante cose. Un po’ il delirio di onnipotenza di un paese, o meglio della sua classe dirigente, convinta che le sorti politiche degli Usa siano più importanti di quelle del mondo intero. Un po’ dell’irrazionalità che guida l’azione politica. 

Discorso speculare si può fare ovviamente su Putin e il Cremlino. 

Mentre soffiano i venti di guerra, prosegue la Cop29, che si avvicina verso la conslusione con un percorso che ancora non sembra particolarmente chiaro. Come ogni giorno passo la parola a Viola Ducati per la rubrica linea a Baku curata per noi dall’Agenzia di stampa giovanile. Linea a BakU!

Audio disponibile nel video / podcast

Una nostra abbonata, Diana, ci ha segnalato una questione molto spinosa e importante che ha a che fare con i Castelli Romani, ovvero una zona, un insieme di comuni ma anche un parco naturale, che si trova a sud di Roma che da tempo è oggetto di cementificazione, disboscamento e altri gravi danni ambientali.

Circa un anno fa per mettere fine a questi scempi è nato il comitato protezione boschi, dic ui Diana fa parte. Mi scrive Diana: “Siamo assediati dalla cementificazione, con ovvi impatti sull’abbassamento dei laghi, e dalla minaccia del termovalorizzatore voluta dal sindaco Gualtieri”.

Sempre grazie a Diana abbiamo ricevuto un messaggio di Doris, un’altra attivista del Comitato protezione boschi che ci racconta la situazione, e ci spiega anche l’importanza di attivarsi per cambiarla. A te Doris:

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Grazie Doris, vi invito anche io a partecipare alla conferenza se volete saperne di più e vi lascio tutti i riferimento sotto fonti e articoli.

Oggi è il terzo mercoledì del mese, giornata di rassegne siciliane. Parola quindi a Elisa Cutuli.

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