21 Apr 2022

Taiwan, sale la tensione – #505

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Taiwan. Lo avevamo preannunciato, e allora parliamone. La Cina sembra più convinta che mai a reintegrare la “provincia ribelle” mentre gli Usa garantiscono all’isola tutto il supporto necessario e promettono una risposta internazionale in caso di attacco cinese. La situazione di Taiwan è un’altra di quelle da tenere d’occhio, perché, così come l’Ucraina, è uno di quei potenziali detonatori di crisi su più vasta scala, e alcuni ritengono che questa situazione così instabile possa essere un ulteriore fattore di rischio.

Partiamo col capire che cosa è Taiwan. Taiwan è uno stato insulare, composto da un’isola principale, chiamata Taiwan o Formosa (nome che gli dettero i portoghesi) e da tre arcipelaghi di isole minori.

È uno stato de facto, nel senso che sono solo pochi i paesi (13 per l’esattezza più il Vaticano) che ne riconoscono formalmente l’esistenza. E il suo nome ufficiale, per quanto si possa parlare di ufficialità in questo contesto, è “Repubblica di Cina”. Strano? Ancora più strano, per chi non ne conosca la storia, è che sebbene la sua capitale de facto sia Taipei, la città principale, la sua capitale storica sia Nanchino, una città della Cina continentale, e che nella sua costituzione rivendichi anche la sovranità sulla Cina continentale e la Mongolia Esterna.

Insomma, così come la Cina non riconosce Taiwan e la considera una provincia ribelle, all’incirca allo stesso modo Taiwan non riconosce la Cina. Per capire come si è arrivati a questo strano incastro, come per Hong Kong, dobbiamo fare un po’ di storia. 

STORIA DI TAIWAN

Dobbiamo tornare indietro di più di un secolo, al 1912, quando in Cina stava succedendo un cambiamento che definire epocale è poco. Dopo più di duemila anni di dominio imperiale, il sistema dinastico della dinastia Qing giunse al declino. Al suo posto subentrò la Repubblica di Cina. 

Il Paese, ricostruisce Inside Over, veniva da un secolo di forte instabilità, in parte per via della dominazione straniera e in parte a causa delle ribellioni interne, foraggiate dai “signori della guerra“. Questi ultimi erano un’organizzazione di militari situati per lo più nel Nord, che sognavano di conquistare il paese e ereditare il potere imperiale.

Una volta però caduto l’ultimo imperatore, la situazione non migliorò e iniziò una sorta di guerra civile per il dominio del paese. Inizialmente le due fazioni contrapposte erano questa organizzazione militare nota come I signori della guerra, al nord, e Il Kuomintang (KMT, Partito Nazionalista) di Sun Yat-sen, con base nella Cina meridionale che aveva anch’esso iniziato ad addestrare un Esercito Rivoluzionario Nazionale con il quale intendeva sfidare i signori della guerra. Nel frattempo, però, i colloqui tra i rappresentanti del Comintern sovietico e i bolscevichi cinesi determinarono nel 1921 la fondazione a Shanghai del Partito Comunista Cinese.

Che succede quindi: succede che il KMT sconfigge i signori della guerra, e quindi inizia una guerra con i comunisti, che ha fasi alterne ma termina di fatto nel 1949, dopo la famosa lunga marcia in cui Mao Zedong assurge a capo indiscusso del partito e dopo una serie di battaglie molto cruente sul campo, vinte appunto dai comunisti.  

Il 1º ottobre 1949 Mao Zedong proclama la nascita della Repubblica Popolare Cinese e quel che resta del partito nazionalista fugge per l’appunto a Taiwan, che nel frattempo dopo la seconda guerra mondiale era stata riconsegnata dal Giappone alla Cina, portando con sé le riserve auree del paese e quel che restava dell’aviazione e della marina, oltre a tutti i manufatti provenienti sia dalla Città Proibita sia dal palazzo imperiale di Nanchino che si fosse riusciti a trasportare. 

Dal 1949 in poi il KMT continuò a operare sull’isola, fino alla democratizzazione di Taiwan. A circa 160 chilometri di distanza i comunisti si proclamarono gli unici successori della defunta Repubblica di Cina, dichiarando illegittimo il governo nazionalista taiwanese.

Le tensioni tra Cina e Taiwan non si sono mai placate. Anzi: negli ultimi anni sono cresciute sempre di più, di pari passo con lo scontro geopolitico tra Pechino e Washington. Taipei dichiara di essere indipendente dal governo cinese ma il Dragone si oppone con fermezza. Nel 2005 il governo cinese ha approvato una legge anti-secessione che legittima un intervento armato nel caso in cui Taiwan dichiarasse l’indipendenza.

Si stima che sulle coste cinesi siano piazzati oltre 500 missili puntati su Taiwan.

A peggiorare una situazione già di per sé problematica troviamo la presenza degli Stati Uniti. Dapprima ostili a Pechino e alleati di Taiwan, negli anni la posizione degli Usa cos’ì come di buona parte dei paesi era cambiata notevolmente con l’apertura della Cina al commercio mondiale. Ma negli ultimi vent’anni la situazione è cambiata di nuovo, radicalmente. Dopo anni di freddezza Washington è tornata ad avvicinarsi a Taiwan. 

Con la presidenza di Donald Trump il governo americano ha rifornito di armi Taiepi e rassicurato l’isola di tutto il sostegno militare necessario in caso di possibili minacce da parte di Pechino. Già, perché se Taiwan dovesse effettivamente essere assorbita dalla Cina, gli Stati Uniti perderebbero un baluardo piazzato a metà strada tra il Mar Cinese Meridionale e Orientale.

COSA SUCCEDE ADESSO?

Quindi cosa succede adesso? Succede che diversi osservatori internazionali hanno messo in guardia il mondo sul fatto che il governo cinese potrebbe approfittare della confusione generale per annettere Taiwan. Al tempo stesso, ci sono altri analisti che dicono che questa ipotesi è completamente campata in aria e che la Cina non ha nessuna intenzione di fare questa cosa adesso, anzi, il fatto che ci sia già una guerra è un deterrente, perché la Cina non vuole compromettere ulteriormente la sua posizione sullo scacchiere internazionale, essendo già accusata di vicinanza alla Russia.

Non so dire quale di queste due versioni sia la più attinente al vero, ma posso osservare alcuni fatti.

Il primo è che a Taiwan sembrano prendere molto sul serio l’ipotesi di un’aggressione cinese. Il Ministero della difesa ha distribuito ai civili un depliant di 28 pagine in lingua cinese con codici QR e indicazioni per dove andare e che cosa fare in caso di emergenza grave, compresa un’invasione militare. 

Il manuale delinea anche le misure di sicurezza per i civili durante un raid aereo, un grande incendio, il crollo di un edificio, una grande interruzione di corrente, una carenza d’acqua o una carenza di beni essenziali e offre indicazioni di sopravvivenza di base e una hotline di emergenza che la gente può chiamare.

Ieri, 20 aprile, poi c’è stato un falso allarme, indice però di una certa isteria generale. Durante una trasmissione in diretta, il canale tv taiwanese Chinese Television System ha trasmesso la notizia di diversi attacchi missilistici cinesi ad alcune infrastrutture strategiche nei pressi di New Taipei City, poi rapidamente smentita. Verso le 7 di mattina (ora locale), l’emittente filo-governativa ha riportato varie notizie riguardo il presunto attacco cinese, parlando di «un missile guidato dei comunisti cinesi» su New Taipei City, di «navi esplose nel porto di Taipei e strutture danneggiate» e «una stazione ferroviaria principale a fuoco a causa degli esplosivi piazzati dalle forze speciali cinesi». La grafica ha continuato a riportare queste notizie per diversi minuti, annunciando che il presidente di Taiwan aveva dichiarato lo stato d’emergenza nell’isola e parlato dell’ipotesi dello «scoppio di una guerra».  

Ciò che invece è vero è che Pechino ha dato il via a esercitazioni nella mattinata di venerdì 15 aprile, mentre il ministero della Difesa di Taiwan ha denunciato in serata l’incursione di sei jet militari cinesi (quattro J-16 e due J-11) nella sua area di difesa di identificazione.

In tutto ciò cosa fanno gli altri due grandi attori della situazione, ovvero Cina e gli immancabili Usa? Diciamo che non contribuiscono a placare gli animi. Qualche giorno fa il senatore americano Lindsey Graham, un falco tra i repubblicani nelle politiche contro il Dragone, durante una visita con una delegazione del Senato proprio a Taiwan ha detto parole di fuoco: “La Cina deve pagare un prezzo maggiore per il sostegno all’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina”

E ancora: “Gli Usa sostengono ciò che amiamo, siamo con voi: abbandonare Taiwan significherebbe abbandonare la democrazia e la libertà e ricompensare il peggio dell’umanità”. Per questo, in base alla posizione ambigua finora seguita a favore del Cremlino, “inizieremo a far pagare alla Cina un prezzo maggiore per ciò che stanno facendo in tutto il mondo”. “Il sostegno al presidente Vladimir Putin deve avere un prezzo”.

E alla domanda sull’invio di truppe per aiutare la difesa di Taiwan in caso di aggressione dell’Esercito popolare di liberazione (Pla), Graham ha replicato in termini chiari che “ogni opzione è sul tavolo”, nel resoconto dei media locali.

La Cina, dal canto suo, assicura che «ci sarà la riunificazione» con Taiwan e minaccia «misure efficaci» a tutela di sovranità e integrità territoriale dopo l’arrivo nell’isola della delegazione.

Lo ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian, esprimendo la «ferma opposizione» di Pechino a ogni scambio ufficiale tra Taiwan e Usa. «Le azioni dell’esercito cinese sono una contromisura alle recenti azioni negative degli Usa, compresa la visita della delegazione del Congresso», ha detto Zhao, riferendosi alle manovre militari vicino a Taiwan.

FONTI E ARTICOLI

#storia di Taiwan
Inside Over – La questione taiwanese: che cos’è e perché è importante
Il Caffè Geopolitico – Breve storia dell’isola che non c’è: Taiwan

#attualità
il Fatto Quotidiano – Taiwan, forze navali e aeree cinesi intorno all’isola: “Risposta ai segnali sbagliati inviati dalla delegazione Usa”
Quotidiano.net – Taiwan teme l’effetto Ucraina: cosa dice il manuale di sopravvivenza a un’invasione
Ansa – Qui Pechino, da Taiwan l’affondo del senatore Usa
Il Sole 24 Ore – La Cina agli Usa: la riunificazione con Taiwan ci sarà

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